“Perché insegnare l’italiano ai ragazzi italiani. E come” del linguista Paolo Ernesto Balboni affronta le diverse problematiche legate all’insegnamento della lingua italiana, offrendo spiegazioni e possibili soluzioni… – Su ilLibraio.it un capitolo del saggio

Capita ogni anno, con cadenza regolare, che insegnanti, intellettuali e giornalisti denuncino il graduale deterioramento delle conoscenze di lingua italiana, usata in modo improprio, limitato e, talvolta, scorretto dai giovani studenti; prova ne sia la discussa lettera al Governo di questo febbraio, firmata da oltre 600 insegnanti, per segnalare la scarsa conoscenza della lingua, anche da parte degli studenti universitari.

Decano di didattica delle lingue e docente all’Università Ca’ Foscari, Paolo Ernesto Balboni specifica che gli studenti sanno usare la lingua, la parlano, la leggono e la capiscono, ma non la padroneggiano al massimo delle loro capacità, perché non sanno sulla lingua, come spiega nel saggio Perché insegnare l’italiano ai ragazzi italiani. E come (Marsilio).

L’autore, che dirige riviste scientifiche e centri di ricerca sull’educazione linguistica, analizza i diversi aspetti dell’apprendimento e dell’insegnamento della lingua, proponendo una soluzione per ogni problematica sollevata e specificando l’importanza del metodo scelto per lavorare con gli studenti, oltre alla necessità di impartire conoscenze astratte, la teoria della lingua, unico modo per perfezionare al massimo grado delle possibilità la competenza linguistica.

Balboni - Perché insegnare l'italiano ai ragazzi italiani. E come

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro: 

Lo studente e la sua personalità come variabili nell’attività di riflessione sulla lingua

Le riflessioni sulla motivazione che abbiamo condotto in queste pagine vanno individualizzate, perché ogni studente fa storia a sé.
Ci sono molte ricerche sulla diversità tra gli studenti, e in generale prendono tutte le mosse dalla teoria delle intelligenze multiple di Gardner e dagli studi sugli stili cognitivi e gli stili d’apprendimento. Vediamo una sintesi di questi tratti caratteriali, con alcune riflessioni sul fatto che essi favoriscano o no la riflessione sulla lingua.

Anzitutto i tipi di intelligenza. Nella teoria delle intelligenze multiple di Gardner sono sette (o nove in alcune varianti), ma i tipi che hanno un riflesso sull’attività di riflessione sulla lingua sono sostanzialmente tre:

a. intelligenza linguistica: coglie le sfumature, sceglie le parole opportune, usa la lingua per esprimere emozioni e pensieri e per guidare e per capire le altre persone. È un tipo di intelligenza fondamentale per arricchire il lessico “qualitativo”, per focalizzare l’attenzione sulla connotazione delle parole, e quindi sostiene gli studenti che l’hanno molto sviluppata nella riflessione lessicale;

b. intelligenza logico-matematica: coglie l’aspetto logico, grammaticale del linguaggio; rifugge l’ambiguità; tende alla sequenzialità, a gestire un problema sezionandolo e poi affrontando segmento dopo segmento; aiuta, ovviamente, nella riflessione sulla grammatica, predilige il lessico denotativo rispetto alle connotazioni culturali ed emozionali;

c. intelligenza inter-personale: si relaziona bene con gli altri, sia dal vero sia in simulazioni che possano essere eseguite in classe; ha empatia, si mette “nei panni” dell’interlocutore, cerca di coglierne gli scopi anche quando questi sono mal espressi, parla in modo da aiutare la comprensione: è un’intelligenza fondamentale per la riflessione pragmalinguistica, sugli atti comunicativi, sul “saper fare con la lingua”.

Un percorso di auto-osservazione, guidato dall’insegnante, può portare gli studenti a riflettere sulla loro forza in questi tre tipi di intelligenza, e spingerli a integrare la loro capacità: è un percorso che riguarda la persona più importante, se stessi, e quindi è automaticamente motivante. Ma è un percorso che va reso esplicito: i tre tipi di intelligenza vanno illustrati, ciascuno va stimolato a riflettere su se stesso, a definirsi, a scoprirsi, individuando i punti di forza e quelli di debolezza. In tal modo l’ora di analisi linguistica diventa un’ora anche di autoanalisi caratteriale, e le attività di analisi linguistica diventano anche attività di rafforzamento dei punti deboli della propria personalità, della propria intelligenza: si lavora non per la scuola ma per se stessi.

Un secondo ambito in cui ci sono differenze tra gli studenti è costituito dagli stili cognitivi e da quelli di apprendimento, e in particolare dalle opposizioni tra:

a. stile analitico/stile globale: il primo risolve i problemi suddividendoli in unità e affrontandoli in sequenza, quindi riesce bene nell’analisi grammaticale e logica; il secondo punta alla visione olistica, globale, quindi è abile nella comprensione intuitiva, ma ha difficoltà nelle fasi formali; esistono attività, come i cloze e gli incastri (trattati in 3.1.1), che possono aiutare gli studenti, avvertiti della ragione per cui si fanno quelle attività, a equilibrare progressivamente l’attenzione ai due stili – che ovviamente riguardano tutte le discipline scolastiche, non solo l’italiano L1, e che sono utili per tutta la vita;

b. stile induttivo/stile deduttivo: il primo osserva la realtà e ne induce delle ipotesi di regolarità che, dopo una conferma empirica, diventano “regole”; il secondo preferisce avere delle “regole” di riferimento, da applicare alla realtà per analizzarla e comprenderla.
Usando un’altra opposizione nota, e parallela a questa, possiamo dire che l’induttivo procede bottom up, la verità per lui si fonda sulla concretezza, sul tenere i piedi per terra prima di mirare a delle astrazioni, di guardare in alto; invece il deduttivo, top down, parte dal cielo, dall’astrazione, e da quella base posa poi il suo sguardo sulla realtà

c. autonomia/dipendenza: lo studente autonomo si sente responsabile in prima persona dei processi che lo riguardano (imparare, in questo caso – e non solo imparare l’italiano L1). Tende a risolvere da solo i problemi a costo di sbagliare, procede serenamente per tentativi ed errori, si arrangia in qualche modo per venire a capo delle cose, soprattutto impara presto ad applicare anche fuori dalla scuola (o dall’italiano L1, nel nostro caso) quanto ha appreso; lo studente dipendente invece ha bisogno dello stimolo e, spesso, anche della guida dell’insegnante (o del leader, dell’adulto, del compagno “alfa” e così via). Far crescere l’autonomia significa trasformare l’insegnamento della grammatica e delle abilità in educazione vera e propria.

Tutte le classi sono differenziate, per cui ci saranno sempre studenti induttivi e deduttivi, autonomi e dipendenti, globali e analitici: ne deriva che l’approccio deve essere plurale, multiplo, deve agire in parallelo top down e bottom up. Questa indicazione è fondata sulla necessità di essere onesti nei confronti dei singoli studenti che hanno il diritto di essere come sono, e soprattutto per evitare che l’insegnante, che ha una sua combinazione di tipi di intelligenza e di stili cognitivi e apprenditivi, finisca senza accorgersene per premiare chi è come lui e per considerare meno capace chi è solo diverso.

Si noti bene: sosteniamo una didattica plurale, bidirezionale, per non penalizzare gli studenti, che sono differenti e hanno il diritto di esserlo – non perché riteniamo che i due percorsi siano equivalenti. Questo volume – come tutti gli studi della scuola veneziana di glottodidattica – è essenzialmente induttivo, punta sulla naturale capacità ermeneutica delle persone, da guidare e incanalare ma soprattutto da stimolare nei processi di scoperta: nulla di nuovo o inedito, è la inventional grammar, da invenio, –is, teorizzata da Harold Palmer oltre un secolo fa. La nostra ipotesi è che insegnare a pescare sia meglio che dare pesci, che sia meglio dare una tabella vuota da compilare piuttosto che dare schemi preconfezionati da applicare.

Secondo noi la tradizione scolastica, con le sue ricette preconfezionate e la scarsa rilevanza delle abilità di problem solving, privilegia di fatto gli studenti deduttivi e dipendenti, per cui gli induttivi e autonomi vengono penalizzati, non vedono riconosciuto e valorizzato questo loro stile d’apprendimento. Stile che, però, ci pare quello da privilegiare se si vuole che studenti italofoni accettino di “studiare” la lingua che sanno già, o che ritengono di sapere a sufficienza.

Ci sono molti altri elementi dello stile cognitivo e d’apprendimento, come la (in)tolleranza per l’ambiguità, la (in)dipendenza dal campo, la preferenza tra induttivo e deduttivo, che sono meno rilevanti, ma che comunque si trovano nella scheda di auto-osservazione cui abbiamo rimandato nella nota 11.

Infine, ci sono alcuni tratti della personalità trasversali a tutta la vita scolastica (cooperazione/competizione, estroversione/introversione, ottimismo/pessimismo in ordine alla possibilità di farcela – vedi modello motivazionale di Schumann) che hanno un effetto anche nelle attività di riflessione sulla lingua in quanto attività scolastiche, e che quindi rimandano a un discorso che trascende l’educazione linguistica.

(Continua in libreria…)

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