Jack London ha avuto una vita avventurosa a cui si è ispirato per i suoi romanzi. Vagabondo e pescatore di frodo, cercatore d’oro nel Klondike, ha scritto libri che hanno fatto la storia della letteratura americana come “Il richiamo della foresta” e “Zanna Bianca” – L’approfondimento

Le avventure che Jack London racconta nei suoi romanzi e nei suoi racconti nascono tutte da un’esperienza diretta: con due o tre cose nella sacca, London è uno scrittore che si chiude la porta alle spalle per seguire le pieghe della vita senza porle troppe domande, raccontando la propria esperienza solo a posteriori. Per sua stessa ammissione, London non era uno scrittore immaginifico, ma aveva una penna felice, capace di modellare a suo piacimento la realtà.

Jack London: a pesca di ostriche con John Barleycorn

Jack London, al secolo John Chaney London, nasce nel 1876 dalla relazione tra una spiritualista e un astrologo, una storia destinata a finire nel peggiore dei modi non solo su carta: alla notizia della gravidanza, l’astrologo Chaney abbandona la compagna, che a sua volta tenta di suicidarsi. Per nostra fortuna il tentativo non va a buon fine e la donna sopravvive, dà alla luce il figlio e futuro scrittore, e si sposa con il muratore John London.

London scoprirà di essere figlio di Chaney solo diversi anni più tardi ma, nonostante la relativa stabilità famigliare, fin dalla prima adolescenza dimostra di avere uno spirito turbolento e avventuriero e un’intelligenza acuta, che resteranno tali per il resto della sua breve vita. London, infatti, ha appena tredici anni quando abbandona la scuola e comincia a fare lavori più o meno leciti: passa dall’essere strillone, per esempio, al pescare ostriche di frodo, all’imbarcarsi come marinaio. Viene arrestato per vagabondaggio e dopo un mese di prigione decide di fare gli esami di ammissione all’università, passandoli brillantemente nonostante la sua discontinua carriera scolastica.

Martin Eden di Jack London

Le sue esperienze sregolate e avventurose, accompagnate, ovunque vada, dalla consapevolezza di poter trovare conforto al tavolo di una locanda, si riflettono in due opere in particolare – oltre che in numerosi racconti: Martin Eden, del 1909, e Quel diavolo di John Barleycorn. Memorie di un bevitore, del 1913.

Se Martin Eden è un romanzo di avventura e formazione, con protagonista un marinaio nei cui tratti e nelle cui esperienze possiamo riconoscere London, Quel diavolo di John Barleycorn è un vero e proprio memoir, in cui ci dobbiamo affidare all’autore (e fidarci di lui). Sono, come dice il titolo italiano, le memorie di un bevitore, nelle quali cui London parla del suo rapporto con l’alcol (“Joh n Barleycorn” è una sorta di nomignolo con cui in Nord America vengono chiamati gli alcolici prodotti dall’orzo, come birra e whiskey), accusando la società di indurre gli uomini al bere, e racconta episodi della sua vita: sostiene, ad esempio, di aver sedotto, ancora giovanissimo, l’amante del pescatore di frodo che gli aveva venduto la barca con cui andava a caccia di ostriche.

Il memoir di London

Il richiamo della foresta: dal Klondike al successo letterario

Gli anni della giovinezza di Jack London sono però anche gli anni della febbrile corsa all’oro: è lo Yukon, regione tra Canada e Alaska, e soprattutto il fiume Klondike, con il ricco terreno delle sue anse, ad attrarre lo scrittore. London resta nell’impervia regione per un anno, in cui ha modo di vedere con i suoi occhi miserie e crudeltà dei cercatori d’oro, ma anche la tempra degli uomini e degli animali che sopravvivono a quella natura selvaggia, che non si piega al progresso ma chiede di essere assecondata nei suoi più antichi istinti.

London torna alla civiltà, a San Francisco, senza un soldo, ma nascondendo negli occhi e nella mente immagini e ricordi che daranno forma alle sue opere più evocative, che gli valgono già in vita un buon successo e che rimangono, a distanza di più di un secolo, nel cuore di lettori di ogni età. Sono i romanzi Il richiamo della foresta, del 1903, e Zanna Bianca, del 1906.

Il richiamo della foresta tradotto da Michele Mari

Entrambi i testi sono ambientati nel selvaggio nord, tra distese innevate, crepacci, fiumi in piena e boschi impenetrabili all’uomo. Ed entrambi narrano le storie di due cani che scoprono prima la legge crudele della supremazia dell’uomo, quella che London chiama “della mazza e della zanna”, ma se in Zanna Bianca la vicenda si risolve con la riappacificazione del protagonista canino (metà cane, metà lupo) con gli uomini, per Buck, il cane del Richiamo della foresta, complice un twist di trama finale, ha la meglio la chiamata ai primordi, a una vita antica di lotta per la sopravvivenza e di libertà. Il titolo inglese del romanzo, infatti, è The Call of the Wild, intraducibile in italiano se non per approssimazione, come fa notare Michele Mari nella prefazione della sua traduzione per Bompiani. Quello a cui fa riferimento il titolo originale è il richiamo alla vita selvaggia, a una regressione all’istinto che non è negativa come il termine italiano implicherebbe (“regressione”: che parola infelice!), ma è una vitale e vitalistica liberazione, un percorso di salvezza.

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Come Buck e Zanna Bianca, Jack London stesso crede, secondo le teorie del darwinismo sociale, all’inevitabilità della supremazia del più forte nei rapporti tra gli uomini. Politicamente socialista fin dagli anni universitari, London è affascinato per contro da dottrine che lungi dall’affermare l’uguaglianza degli uomini, danno ampio spazio alla prevaricazione nel nome di una forza che non è solo bruta ma è frutto di scaltrezza e velocità d’istinto e pensiero.

Il romanzo Zanna Bianca, di London

In ogni caso i due libri, Il richiamo della foresta in particolare, pubblicati prima a puntate e dunque in un’unica edizione, sanciscono il successo letterario del loro autore, che, da giovane manigoldo, diventa, alla soglia dei trent’anni, uno scrittore a tutti gli effetti.

London pubblica articoli, romanzi, racconti, parte come corrispondente di guerra in Corea e compie numerosi viaggi per mare con Charmian Kittredge, sua seconda moglie e donna a lui affine per indole e tenacia.

La morte di Jack London, ad appena quarant’anni nel 1916, è il riflesso di una vita vissuta intensamente ma avviene nella tranquillità del suo ranch californiano. Lo scrittore è devastato da una serie di mali, ha la sifilide, un’insufficienza renale e la gotta, ma non sono queste a ucciderlo direttamente: muore per overdose di antidolorifici. Le speculazioni su un suo supposto suicidio si sono sprecate, ma ormai è quasi del tutto acclarato che non sia stata un’azione volontaria, quanto una semplice, tragicamente umana, sfortuna.

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