Jay McInerney torna con un nuovo romanzo, “La luce dei giorni”, che completa la trilogia iniziata con “Le mille luci di New York”, cult degli anni Ottanta, e poi proseguita con “Good Life” – Su ilLibraio.it un capitolo

Jay McInerney torna con un nuovo romanzo, La luce dei giorni (Bompiani), che completa la trilogia iniziata con Le mille luci di New York, romanzo cult degli anni Ottanta, e poi proseguita con Good Life.

Se Le mille luci di New York, acclamato esordio di McInerney, colpì la critica per la cruda realtà che descriveva e il particolare stile in seconda persona che adottava, oggi l’autore ha maturato una scrittura più sobria e meno sperimentale, per concentrarsi in modo più scoperto sulla psicologia dei suoi personaggi. Adelle Waldman sul New Yorker ha scritto che “ancora una volta il vero soggetto di Jay McInerney è la felicità, e la sua possibilità di sopravvivere ai colpi inferti dalle nostre inquietudini e ambizioni”.

Jay McInerney la luce dei giorni

I protagonisti sono ancora Russel e Corinne Calloway, ormai diventati una coppia matura nella New York degli anni Duemila, e come nei libri precedenti, il racconto delle loro  vicende si intreccia ad un grande evento storico, che in questo caso è rappresentato dalla crisi finanziaria del 2008. Lui è editor di un piccolo coraggioso marchio indipendente, lei si dedica alla beneficenza, hanno due figli gemelli adolescenti: entrambi affrontano gli scossoni della maturità. Lei vede tornare in scena l’amante con cui aveva vissuto una storia appassionata; lui rischia troppo pubblicando un memoir di guerra che si rivela falso; i figli si ribellano, li spiano, li mettono in discussione; e intorno a loro coppie di amici che divorziano, uomini che cercano una seconda giovinezza, scrittori esordienti destinati a bruciarsi. Ai figli, al lavoro, alle passioni e ai tradimenti, si accompagna il tentativo disperato di ritrovare la vivacità della giovinezza e il senso dell’amore e degli ideali, in una città troppo cambiata eppure irrinunciabile.

Jay McInerney, classe 1955, originario del Connetticut, sarà protagonista al Festivaletteratura di Mantova sabato 10 settembre alle ore 21 presso il teatro Ariston (modera l’incontro Stefano Salis).

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, il 14esimo capitolo del romanzo:

Non diversamente dalla campagna, la città segue i ritmi delle stagioni, anche se qui è l’autunno, più che la primavera, il tempo della rinascita e del rinnovamento – l’inizio di un nuovo anno per i gentili non meno che per coloro che celebrano Rosh haShana, il momento in cui scuotersi di dosso il torpore e l’indolenza di agosto e rimandare i figli a scuola, dove cominceranno da capo, stringeranno nuove e interessanti amicizie e se la caveranno meglio dell’anno passato; una stagione di inaugurazioni di ristoranti e gallerie; il periodo in cui le mode dell’anno venturo vengono svelate sulle passerelle mentre le foglie di ginkgo ingialliscono, la Settimana della Moda cede il passo al New York Film Festival, alla riapertura della Metropolitan Opera, della Filarmonica e del City Ballet, ai grandi gala di beneficenza, e più avanti alle aste d’arte da Christie’s, Sotheby’s e Phillips de Pury, che ci dicono quanto ricchi si sentano quest’anno i ricchi.
È anche, meno proficuamente, la stagione in cui le case editrici presentano i loro titoli più importanti e promettenti. Prima di uscire a pranzo, Russell si fermò da Jonathan, che era giusto dall’altra parte del corridoio.
“Quando arriva il ‘Times’?”
“Da un momento all’altro.”
L’ufficio di Jonathan era disadorno, con le pareti nude a parte il poster pubblicitario del libro di Carson e un altro degli Arcade Fire.
“Hai saputo qualcosa?”
“Le mie fonti dicono che saremo più che soddisfatti.”
Stavano aspettando l’anticipazione della recensione del libro di Jack che a quanto pareva sarebbe apparso quella domenica sulla “New York Times Book Review”. Il fatto che due settimane prima la redazione avesse mandato un fotografo nel Tennessee a fargli un ritratto era un segno incoraggiante, e Jonathan aveva saputo che il recensore era uno scrittore di rilievo, un altro buon segno, anche se Russell non era del tutto entusiasta che fosse a sua volta del Sud; proprio come quando il “Times” affidava inevitabilmente a una donna il compito di recensire un’altra donna.
“Nel frattempo, non si è presentato alle ultime due interviste.”
“Hai chiamato in albergo?”
Jonathan annuì. “Non risponde.”
“Probabilmente avrei dovuto prevederlo.”
“Forse possiamo volgere la faccenda a nostro favore,” disse
Jonathan, “dando la chiave di lettura del ribelle, del poète maudit.”
“Stiamo tentando di far sì che i giornalisti parlino della sua opera,” disse Russell. “Di quello che è scritto sulle pagine del libro. Qui stiamo cercando di vendere della letteratura.” Si rese conto di quanto suonasse pretenzioso già mentre lo diceva, ma lo credeva veramente. Però non era sicuro di riuscire a trasmettere l’idea a questo ventottenne che indossava una maglietta vintage del Pasto nudo sotto una camicia di flanella aperta.
“Non voglio che Jack venga etichettato fin dall’inizio come un sudista strafatto di amfetamina. È già destinato a rientrare negli inevitabili stereotipi: gli scrittori del Sud vengono quasi sempre relegati nel loro ghetto di esotica decadenza.”
In senso più generale, Russell era contrario al culto della personalità, al falso mito dell’autenticità, all’idea che l’intensità della vita attestasse in qualche modo il valore dell’opera, a tutte le stronzate sul divino genio dell’ubriacone/tossico con cui si equiparavano l’eccesso alla saggezza, la cirrosi al talento. A suo
modo di vedere, William Blake non era privo di responsabilità.
La via dell’eccesso conduce al centro di disintossicazione, o al cimitero, più spesso di quanto non conduca al palazzo della saggezza. Russell pensava che la letteratura venisse creata nonostante la sregolatezza, non grazie a essa.
“Sono arcistufo di quest’idea che ubriacarsi e/o farsi di eroina possa trasformare uno studente di lettere in un genio.”
“Però devi ammettere, capo, che un sacco di scrittori e artisti sono alcolisti e tossici.”
“Non lo ammetto affatto. Non credo che la percentuale di letterati alcolizzati sia superiore a quella di idraulici alcolizzati.”
Si domandò, e non per la prima volta, dove Jonathan trovasse dei jeans così attillati, o se non li facesse stringere. E come diavolo faceva a entrarci?
“Non lo so,” disse Jonathan. “Gesù, potrei farti una lista, a cominciare da Christopher Marlowe. La maggior parte degli scrittori che entrambi amiamo erano ubriaconi o drogati o tutte e due le cose. Basta guardare i modernisti – Hemingway, Fitzgerald, Faulkner. Alcolisti all’ultimo stadio. Per non parlare della beat generation. E anche parecchi scrittori nel nostro catalogo sono fuori di testa ed emotivamente instabili.”
“Sarebbero più bravi e produttivi se mettessero la testa a posto. Tenera è la notte sarebbe stato un libro migliore se il suo autore non fosse stato ubriaco per metà del tempo e imbottito di dexedrina per l’altra metà.”
“Se lo dici tu, papà.”
“Ehi, non voglio fare il moralista. Sto solo dicendo che non
dobbiamo confondere causa ed effetto.”
“E cosa mi dici di Burroughs?”
“I suoi temi erano le droghe e l’alienazione, quindi credo che in questo caso dovremmo fare un’eccezione. Lo stesso vale per Hunter Thompson.”
“E quindi come ci comportiamo con il fuori di testa in questione?
Con Jack?”

McInerney, Jay, Bright, precious days
Copyright © 2016 by Jay McInerney
All rights reserved
First published in 2016 by Alfred A. Knopf, a division of Penguin Random House LLC, New York
© 2016 Bompiani / Rizzoli Libri S.p.A., Milano

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