Intervista a Vincenzo Russi, Chief Digital Officer di Messaggerie Italiane

Per 29 anni la Rizzoli Bookstore, sulla 57sima strada, a New York, è stato il punto di ritrovo preferito di scrittori e amanti dei libri. Finché con un comunicato sul New York Times non ha annunciato di essere stata sfrattata e di essere in cerca della nuova sede. Segno dei tempi che cambiano, certamente, in cui negozi storici, più o meno famosi, chiudono i battenti, piegati dalle logiche del denaro e degli affari.

Ma non solo: lo sfratto alla Rizzoli newyorkese è l’ennesima pagina di un dibattito sulla crisi dell’editoria che, tra il calo dei lettori e l’avvento del digitale, ha bisogno di reinventarsi. E che in Italia – dove a leggere sono sempre in meno – vive un periodo nerissimo.
La situazione però non è disperata: “I luoghi fisici possono sopravvivere, a patto però che riescano a integrarsi con il digitale”, ha detto a Cadoinpiedi.it Vincenzo Russi, Chief Digital Officer di Messaggerie Italiane, tra i protagonisti del seminario di perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri, organizzato dal 28 al 31 gennaio 2014 a Venezia presso la Fondazione Giorgio Cini nell’Isola di San Giorgio Maggiore da Messaggerie Libri e Messaggerie Italiane, in collaborazione con l’Associazione Librai Italiani e l’Associazione Italiana Editori. “Si tratta di accettare la sfida e ripensare anche quei modelli che sono radicati” ha osservato Russi “del resto il digitale, oggi, può richiedere limitati investimenti. Si può sperimentare”.

DOMANDA: La chiusura del Rizzoli Bookstore è stata l’occasione per l’ennesimo dibattito, per lo più apocalittico, sul futuro dell’editoria. Cosa ne pensa?

RISPOSTA: Innanzitutto dobbiamo tenere presente che lì il problema è che il proprietario del building ha deciso di creare qualcosa di nuovo. La libreria, comunque, continua ancora oggi a essere un punto di riferimento. E credo che l’intenzione non sia chiudere definitivamente, ma trasferirsi.

D: Resistere nonostante i cambiamenti, insomma.

R: Io sono nato professionalmente in un’industria, quella delle tecnologia digitali, che ha prodotto ben sette cambiamenti di modelli di business, con cui i prodotti sono stati offerti al mercato. Ho esordito nel 1978 all’università con i mainframe, in cui l’oggetto, l’hardware, era l’unico grande valore da offrire al cliente: il software, i programmi, tutto il resto erano un di più. Quello che contava era fisico.

D: Un modello in linea con tutti i precedenti.

R: Esatto, eppure già digitale. Da lì siamo passati attraverso modelli innovativi fino ad arrivare al cloud, in cui tutto si esprime in termini di servizi e modelli di fruizione senza alcun possesso fisico, tutto si sviluppa solo in rete.

D: Effettivamente è una rivoluzione. Ma come si fa?

R: Il ragionamento a monte deve cambiare. Non può essere solo “difendiamo il negozio così com’è”. Perché il negozio può essere una straordinaria e concreta opportunità di arricchire, in forme oggi impensabili, l’esperienza di chi ci entra attraverso gli strumenti digitali.

D: In che modo?

R: Un paio di settimane fa ho partecipato a due tra i più grandi eventi mondiali a New York. Uno era il Digital Book World, dedicato all’editoria digitale, l’altro l’NRF Big Show, dedicato al commercio online e offline. Bene, la più importante novità per i negozi offline è l’utilizzo intenso degli strumenti digitali, sia quelli che ci portiamo addosso che quelli presenti nel negozio. Indicativo, poi, che in entrambi i casi il più importante competitor, che sta aggredendo qualsiasi mercato tradizionale, è Amazon.

D: Che è considerato una minaccia anche in Europa.
R: Ma negli Stati Uniti sta avviando la vendita del prodotto fresco e la consegna dei prodotti in 6 ore. Alcuni analisti stimano che supererà Walmart nel 2018. Walmart: il più grande retailer mondiale.

D: Vista così non c’è partita. Qual è il modo per competere?

R: Si può fare valorizzando l’esperienza fisica con il capitale e le risorse digitali che sono oggi accessibili ai più.

D: Come?

R: Oggi entrare in un negozio – di qualunque tipo, il fenomeno si è sentito per primo nel mondo dei libri ma riguarda anche altri settori come la moda – è ancora il modo preferito in cui io sono informato e sostenuto nella mia decisione di acquisto. L’esperienza online non sempre può soddisfare: magari a convincermi all’acquisto è guardare la copertina, oppure se compro una camicia voglio indossarla. Con i libri abbiamo ancora un rapporto molto personalizzato, spesso mediato dalla cultura e la competenza del libraio: questo, nell’esempio del Rizzoli Bookstore, per un newyorkese è importante, lo aiuta a sentirsi parte della comunità. Oggi molte persone che entrano in un negozio hanno uno smartphone, probabilmente posseggono anche un tablet, e utilizzano costantemente per lavoro un laptop. Così usano contemporaneamente alcuni device anche quando si muovono nei negozi fisici per completare l’acquisto.

D: Il negozio non basta?
R: Le due cose si perfezionano. Per esempio, combino le informazioni che mi dà il libraio alle recensioni degli utenti online. Poi, se io vado in libreria e online trovo degli sconti, sfrutto l’esperienza fisica per prendere la decisione e quella digitale per concludere l’acquisto.

D: Però così la libreria ci perde?

R: No, perché il lettore/consumatore ha ancora bisogno di essere ispirato, per esempio nella scelta di un regalo, nel nuovo prodotto editoriale, nell’ultimo capolavoro dell’autore preferito. La libreria fisica sopravvive e si sviluppa se siamo in grado di costruire una relazione completamente nuova. Ed è questo che è oggetto delle più interessanti sperimentazioni e successi negli Usa, il libro fisico è ormai anche smaterializzato, ma attenzione: i nativi digitali vivono con grande partecipazione l’esperienza di tipo fisico quando questa riesce a integrarsi e completarsi in modo digitale.

D: Mondo fisico e digitale quindi devono giocare nella stessa squadra e non concorrere?

R: Esattamente. Le faccio un esempio: in America la Warby Parker decise, alla sua nascita come startup, di vendere occhiali da vista online, che è una cosa che sembrava illogica. Eppure semplificando il processo di acquisto sulla rete sono diventati leader della vendita di occhiali da vista e da sole online. A quel punto hanno capito di aver bisogno di aprire negozi fisici, ma non tradizionali: negozi dove si racconti una storia e possa realizzarsi una nuova esperienza, un po’ sullo stile dell’Apple Store. Sa cosa ci hanno messo sugli scaffali togliendo spazio agli occhiali?

D: Cosa?

R: I libri. E si pubblicizzano con lo slogan “The best spots to sit and read a book in lower Manhattan”, i posti migliori dove sedersi e leggere un libro. Nei loro negozi ci sono i libri, c’è posto per sedersi liberamente. Poi, se vuoi provare gli occhiali, sono lì, e ovviamente puoi concludere l’acquisto come ti pare, offline o online.

D: Tutto questo però accade in America, dove il commercio ha forme ben più avanzate che in Europa. E mentre lì si ragiona sull’innovare i modelli di vendita, qui il punto è ancora assumere forme di protezione e tutela del mercato interno, come quelle adottate in Francia per le piccole librerie.

R: E’ vero che in America le cose accadono con un’accelerazione che ci sembra molto lontana. È chiaro che ci sono dei settori industriali in cui le cose sono accadute al di fuori dell’Italia e ci siamo dovuti adeguare rapidamente, costruendo però soluzioni con una capacità che è quella che io ritengo siamo bravissimi a fare. Dobbiamo capire che i limiti dal punto di vista tecnologico non esistono. Certo le norme e le regole vanno fissate perché il mercato possa svilupparsi senza asimmetrie. Ricordiamo che i costi delle tecnologie sono sempre più accessibili per tutti, anche per le piccole librerie. Oggi, in questa nuova era digitale, parliamo di innovazione frugale, quella accessibile a tutti.

D. Le resistenze sono tante.

R: Però la sperimentazione va fatta. Ritengo che si debba cominciare ad affrontare questo tema con le potenzialità che ci offre la tecnologia digitale. Cominciamo anche noi a fare, prima di proclamare che gli Usa sono più grandi, e la Francia ha avviato una battaglia per proteggere le piccole librerie. Dobbiamo affrontare la sfida ed accettare cambiamenti di modelli anche se sono radicati. Basta un’intuizione, un servizio express che ti consente di non tornare in libreria se il libro non è disponibile. Dobbiamo provare senza paura a ragionare sulle scelte e le conseguenze delle sperimentazioni, soprattutto alla luce del fatto che non rischiamo investimenti enormi e che la velocità con la quale sapremo muoverci ci difenderà da qualsiasi trasformazione.

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