Lisa Halliday racconta a ilLibraio.it il suo romanzo d’esordio, “Asimmetria”, a partire dalla struttura divisa in tre parti, che permette “una visione più ampia dell’esperienza umana: la nostra coscienza segue una struttura stratificata, più che lineare, e le vite non sono ordinate e concluse, nonostante i nostri tentativi di trovare un ordine”. Svela anche di aver scritto “tenendo a mente una frase di Calvino, sulla ‘leggerezza’” e parla dell’editoria italiana, dove esistono “confini molto meno marcati rispetto agli Usa tra narrativa e non fiction”… – L’intervista (in cui parla anche del suo secondo libro)

Lisa Halliday (in copertina fotografata da Vittore Buzzi) è l’autrice americana, da anni residente a Milano, che da inizio 2018 – data dell’uscita del romanzo negli Usa – ha fatto parlare di sé per il suo esordio, Asimmetria (Feltrinelli, traduzione Federica Aceto). Del libro si è detto parecchio perché nella sua prima parte, Follia, racconta la storia d’amore tra Alice, una giovane donna che lavora nell’editoria, e un famoso scrittore settantenne, Ezra Blazer.

Una relazione dove il potere, economico, ma anche della fama e dell’esperienza della vita, sta tutto da una parte, quindi attuale nel clima del #metoo. Ma anche una relazione che, nonostante sia raccontata con un tono quasi cinematografico e distaccato, ha fatto scaturire il gossip: vent’anni fa Halliday, che lavora da sempre nell’editoria, ha avuto una relazione con Philip Roth.

lisa Halliday

La seconda sezione di Asimmetria racconta dell’economista Amar che, dopo una vita negli Stati Uniti, è in viaggio verso l’Iraq in cerca del fratello scomparso. Peccato che il suo viaggio venga interrotto dalla sicurezza aeroportuale di Heathrow.

Infine arriva una parte finale dalla forma inusuale – la trascrizione di un programma radiofonico a cui partecipa Ezra Blazer – che serve da collante tra le due sezioni precedenti.

Asimmetria è un romanzo che sembra composto da due storie diverse e un’appendice, ma in realtà è il ritratto delle discrepanze che creano il nostro mondo. Non solo: è l’esplicazione del rapporto tra arte e artista.

Lisa Halliday, come sono nate le tre sezioni che compongono Asimmetria e in che modo convivono nello stesso romanzo?
“Come mi è già capitato di raccontare, ho sempre desiderato che Alice e Amar convivessero nello stesso libro, nello stesso universo. Nelle prime stesure la loro connessione era più evidente, più legata alla trama. Poi però ho letto Amore a Venezia. Morte a Varanasi di Geoff Dyer – un romanzo in due parti con atmosfere molto diverse ma connessioni implicite – e mi ha spinta a trattare le storie di Alice e Amar in un modo parallelo. Ho scritto Follia e Pazzia quasi contemporaneamente, alternando la scrittura di una e dell’altra ogni paio di giorni o settimane, mentre la terza parte, Desert Island Discs con Ezra Blazer, l’ho scritta verso la fine. Mentre stiravo ho ascoltato un episodio di Desert Island Discs e così mi è venuta l’idea di concludere il romanzo con la trascrizione di una puntata a cui ha partecipato Ezra. Immaginare le sue risposte mi ha permesso di scrivere di musica, un argomento che amo; e mi ha anche dato la possibilità di offrire al lettore altre possibili connessioni tra le due parti precedenti del romanzo e di creare, almeno spero, un unico mondo indivisibile. La struttura tripartita permette anche una visione più ampia dell’esperienza umana: la nostra coscienza segue una struttura stratificata, più che lineare, e le vite non sono ordinate e concluse, nonostante i nostri tentativi di trovare un ordine”.

La prima sezione è narrata in terza persona, la seconda in prima e la fine è una trascrizione di un programma radiofonico. Perché la decisione di dare a ogni sezione un punto di vista e una voce differenti?
“Nelle prime stesure ho sperimentato una voce più riflessiva, analitica, in prima persona per la storia di Alice, ma non ero soddisfatta del risultato”.

Perché?
“Mi suonava troppo pesante, troppo faticosa e intima. Così ho optato per una voce descrittiva, da cinema, in terza persona, che permette al lettore di vivere un’esperienza vivida e chiara della relazione, oltre a lasciare aperte molte più interpretazioni delle dinamiche di coppia. Lo stile della prima parte serve anche come contrasto con quello della seconda, raccontata in prima persona da Amar, la cui consapevolezza in qualche modo capovolge il romanzo. Le voci contrastanti contribuiscono anche ad aumentare la sensazione di progresso: l’evoluzione di Alice come scrittrice e come cittadina del mondo cosciente e responsabile. In altre parole il narratore in terza persona all’inizio e quello in prima nella seconda parte sono una delle molte asimmetrie del romanzo. E l’ultima parte, che non è né in prima né in terza persona, ma una registrazione, rinforza l’asimmetria estetica del romanzo e, allo stesso tempo, invita il lettore a riconsiderare la voce autoriale di ciò che ha letto prima”.

In una recente intervista a Rivista Studio ha discusso di come la stampa si sia focalizzata su un gossip riguardante il libro, ossia che Ezra è in qualche modo ispirato a Philip Roth – autore con cui lei ha avuto una relazione – piuttosto che su altri aspetti del romanzo, forse anche perché lei è una donna. Da scrittrice le sembra che il lavoro delle autrici venga percepito e valutato diversamente da quello degli scrittori?
“Ho discusso del fatto che qualche volta mi chiedo se un romanzo scritto da un uomo su una relazione d’amore come quella raccontata in Follia richiamerebbe tanta attenzione sulle vita privata di quell’autore. Ma, ripeto, me lo chiedo perché lo trovo interessante e non so se sarebbe così o meno. Quello che so di sicuro è che oggi è impossibile leggere un libro senza sapere nulla del suo autore e per questo molti scrittori stanno sperimentando dei modi per raccontare, più o meno esplicitamente, la relazione tra il contenuto e il contesto dei loro libri. I fattori esterni cambiano nel tempo e generano nuove prospettive per parole che sono rimaste invariate. Il livello di rigore, chiarezza e generosità con cui uno scrittore arrangia le parole è molto più importante di ogni pettegolezzo e – a prescindere dal genere dello scrittore – è quello che va valutato”.

Vive in Italia da otto anni: chi sono gli autori italiani che apprezza?
“Italo Calvino, Giorgio Bassani e Antonio Tabucchi, tra gli altri. Mentre scrivevo Asimmetria ho cercato di tenere a mente una frase di Calvino, sulla ‘leggerezza’: nelle Lezioni Americane scrive: ‘La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio…Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose’”.

Nell’intervista a Rivista Studio parla anche della tendenza italiana all’autofiction. Da lettrice, come vede la letteratura italiana?
“Più che della tendenza all’autofiction mi riferivo ai confini molto meno marcati in America tra narrativa e non fiction. Tuttavia si tratta di un giudizio un po’ incerto: dovrei prendere in considerazione esempi e controesempi per ore e addirittura giorni prima di poter affermare di aver identificato una tendenza nazionale”.

Sta lavorando a un altro libro?
“Sì, sto lavorando a un nuovo romanzo, che sarà ambientato in Lombardia, Calabria e Campania (il luogo da cui provengono alcuni dei miei avi materni), ma anche in New England e a New York. Quasi sicuramente esplorerà le metodologie e le emozioni che supportano i nostri tentativi di verificare che qualcosa sia ‘reale’ o ‘vero’ – soprattutto in relazione alle teorie del complotto e alla dietrologia italiana – e potrebbe anche esserci un personaggio che partorisce a Milano. Però il progetto è solo agli inizi, quindi non posso promettere ancora nulla”.

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