Durante la sua vita Lucia Berlin (1936-2004) scrive più di settanta racconti, prendendo spunto dalla sua stessa vita, l’esistenza di una donna a cui nessuno ha insegnato come vivere in modo tradizionale. Dopo “La donna che scriveva racconti”, arriva la nuova raccolta “Sera in paradiso”, che conferma la scrittrice come un’osservatrice a cui non sfugge niente, perché se “ci sono cose di cui la gente non parla. Non intendo le cose difficili come l’amore, ma quelle imbarazzanti, come il fatto che i funerali a volte sono divertenti o che è eccitante guardare bruciare gli edifici”, queste non possono sfuggirle… – L’approfondimento

“Maria aveva passato quasi tutta la vita in viaggio. Il padre era un ingegnere minerario; la madre era malata, o pazza. Non parlava di loro, se non per dire che l’avevano ripudiata quando si era sposata e non rispondevano alle sue lettere. Dava l’impressione che nessuno le avesse spiegato o mostrato come crescere, come fare parte di una famiglia o essere una moglie”.

Maria è solo una delle tante donne che costellano i ventidue racconti di Sera in paradiso di Lucia Berlin (Bollati Boringhieri, traduzione di Manuela Faimali). E come tutte le altre donne, bambine, ragazze, madri single è un alter ego della scrittrice. Maria, in particolare, è la Lucia Berlin non ancora ventenne che si sposa con uno sculture che la lascia mentre lei è incinta del secondo figlio.

Ma andiamo con ordine. Nei racconti di Sere in paradiso, come in quelli che compongono La donna che scriveva racconti (Bollati Boringhieri, traduzione di Federica Aceto), Lucia Berlin racconta con distacco e un occhio quasi clinico momenti della sua vita e altri che potrebbero esserlo stati. A partire dalla sua infanzia. Prima nelle città minerarie, a seguito del padre ingegnere, in baracche con i muri di cartone, dove la madre trascorreva le sue giornate a giocare a bridge, con indosso pellicce e gioielli.

Poi durante la guerra, a casa dei nonni a El Paso, con la mamma e la sorellina, ma soprattutto con il nonno, un famoso dentista alcolizzato, lo zio John – anche lui alcolizzato – e la nonna Mamie. Tutti personaggi che ritornano in numerosi racconti di Lucia Berlin, nata Brown. Dagli anni Quaranta provengono scene come: “Mi svegliai quando rincasò mia madre. Stetti svegli accanto a lei mentre mangiava i bastoncini al formaggio e leggeva un giallo”. E le scorribande a Juarez, la città messicana che si raggiunge attraversando solo un ponte, dove Lucia, soprannominata Lucha, scappava con gli amici.

Dopo la guerra il trasferimento in Cile, sempre a causa del lavoro del padre: “Sarebbe stato difficile capire che Laura era americana. Figlia di un intendere minerario, aveva la capacità di adattamento tipica dei figli di militari e diplomatici. Imparano in fretta, non solo la lingua o il gergo ma come si fa, chi bisogna conoscere. Il problema di questi bambini non è l’essere isolati o sempre nuovi, ma il fatto di adattarsi così in fretta e così bene”.

Una capacità di adattamento che ha permesso a Lucia Berlin di vivere quasi in ogni angolo del continente americano, di imparare lo spagnolo prima in Texas a El Paso e poi in Cile, e di trovare lavoro come traduttrice e insegnante di spagnolo dopo aver studiato al college del New Mexico: “Era il mio primo volo, la prima volta in assoluto in cui viaggiavo da sola. Stavo lasciando il Cile per andare al college in New Mexico. La cosa davvero affascinante era il fatto di andare da sola”.

E anche ad adattarsi alla solitudine. Dopo il primo matrimonio con lo scultore che la ha lasciata sola con due figli piccolissimi, Lucia Berlin si sposa altre due volte: prima il pianista Race Newton con cui si trasferisce a New York e poi con il sassofonista Buddy Berlin con cui va in Messico – altra presenza ricorrente nei suoi racconti – nel 1960. Tra il 1961 e il 1968 la coppia ha due figli, ma Berlin si rivela un tossicomane e la coppia divorzia nel 1968.

Lucia Berlin a trentadue anni è madre di quattro figli e reduce da tre divorzi. Tornata in New Mexico riprende gli studi e inizia a insegnare.

“Claire era divorziata, trent’anni al massimo, e quattro figli. Il più grande era sulla decina, l’ultimo non camminava neanche. Insegnava spagnolo all’Università, dava anche qualche lezione privata”.

In seguito si trasferisce in California con i figli e svolge molteplici lavori: dalla donna delle pulizie all’infermiera – esperienze da cui sono ispirati alcuni dei racconti ne La donna che scriveva racconti. E anche l’insegnante, che è l’occupazione di gran parte delle madri single di Sera in paradiso.

In questi anni Berlin sviluppa una dipendenza dall’alcol, una situazione che racconta spesso nei suoi scritti, sia dal punto di vista della madre – insegnante alcolizzata, sia di quello della bambina nel Texas degli anni Quaranta cresciuta con nonno, madre e zii alcolisti.

“Non posso farcela. Posso farcela, devo smetterla di bere. Ci ho messo un attimo a incasinare di nuovo tutto. Domani ridurrò le dosi”, fa dire a Maggie, protagonista di uno dei racconti raccolti in Sera in paradiso. E infatti Lucia Berlin sconfigge la dipendenza e nel 1994 inizia a insegnare all’Università del Colorado, dove lavora fino alla pensione, nel 2000. Poi torna in California, dove si spegne nel 2004. Dieci anni dopo i suoi racconti, già pubblicati, ma ben presto dimenticati da lettori e critica, vengono riscoperti.

Dagli anni Sessanta in poi, infatti, Lucia Berlin scrive più di settanta racconti prendendo spunto dalla sua stessa vita, l’esistenza di una donna a cui nessuno ha insegnato come vivere in modo tradizionale. Da un lato il padre e i continui trasferimenti per via del suo lavoro, dall’altra la madre e tutta la sua famiglia, i Moynahan, sempre in cerca di divertimento, nuovi metodi per sperperare denaro e una bottiglia colma di bourbon. E poi la vita da madre single, l’esotismo del Messico come evasione da una quotidianità opprimente. I ricordi degli anni in Cile, un periodo di sfarzo in cui Lucia Berlin, ancora ragazzina, svolgeva il ruolo di padrona di casa, per sostituire la madre chiusa nella sua camera con una bottiglia.

Quello di Lucia Berlin è un mondo di donne: madri, nonne, amiche, compagne di scuola, colleghe che sperimentano ogni livello della conoscenza reciproca. Dalla continua ricerca di figure materne alternative, fino al fastidio causato dalla competizione.

Storie che potrebbe inzuppare di nostalgia e tristezza, ma che invece scrive come se non fossero accadute a lei. Come un’osservatrice a cui non sfugge niente, perché se “ci sono cose di cui la gente non parla. Non intendo le cose difficili come l’amore, ma quelle imbarazzanti, come il fatto che i funerali a volte sono divertenti o che è eccitante guardare bruciare gli edifici”, queste non possono sfuggire a Lucia Berlin.

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