Un destino bizzarro è capitato alla lussuria. Da vizio animalesco, che renderebbe l’uomo simile alla bestia, è stato consacrato allo stato di virtù, o quantomeno di qualità da esibire. Dietro, però, lo stesso moralismo sottinteso, lo stesso pruriginoso pregiudizio contro il corpo…
Dopo le riflessioni su accidia e gola, la scrittrice Ilaria Gaspari torna a confrontarsi su ilLibraio.it con i vizi capitali

Lussuria
Non esistono atti impuri

Un destino bizzarro è capitato alla lussuria. Da vizio animalesco, che renderebbe l’uomo simile alla bestia, è stato consacrato allo stato di virtù, o quantomeno di qualità da esibire: per rendersi attraenti, per essere desiderati o quantomeno rispettati nel grande bazar para-darwiniano del prestigio sociale. Ma quello che è più strano è che la sua sorte bicefala è stata determinata dallo stesso moralismo sottinteso, dallo stesso pruriginoso pregiudizio contro il corpo.

Lucas Cranach, Adamo ed Eva

La lussuria, fra i sette vecchi vizi capitali, è probabilmente quello che oggi si considera il più degno di ostentazione; eppure anche questo genere di ostentazione è molto più inquietante di quello che sembra a prima vista. D’Annunzio ebbe il vezzo di anticipare, a volte, pose che l’invenzione commerciale della ribellione adolescenziale avrebbe poi diffuso come comportamenti giovanili socialmente accettati e spesso incoraggiati: per lui, la lussuria non contava fra i peccati, anzi le peccata (altro vezzo) perché era una parte fondamentale del suo armamentario estetizzante di dedizione al piacere.

Adamo ed Eva, perdendo il loro primordiale stato di perfezione, per prima cosa perdettero il privilegio di non conoscere la vergogna; e la loro vergogna, non appena l’assaggiarono, cadde non – come forse sarebbe stato logico – sulla scelta di disobbedire all’unico comandamento che avrebbero dovuto rispettare, ma sulla nudità. La colpa della trasgressione, quando nascono le idee di colpa e di trasgressione, è subito del corpo.

L’uomo sa di essere stato cacciato dal giardino dell’Eden nel momento in cui si scopre le pudenda. E cerca, subito, di coprirle: la nascita della vergogna e della civetteria sono una cosa sola, e l’Antico Testamento le fa coincidere con l’inizio della vita terrestre.

Lussuria

Il catechismo che condanna la lussuria come massima espressione dell’egoismo, condanna la ricerca del piacere in sé in quanto ‘moralmente disordinata’; ma il disordine di quella ricerca istintiva è il segno della curiosità, di una pulsione incontrollabile a provare, a assaggiare, a sentire, a trasgredire divieti e dare un morso al frutto proibito. Il povero Pietro Abelardo, filosofo e teologo che pagò, per il suo amore famoso quanto quello fra Paolo e Francesca, il tributo infame della mutilazione, discettava di un’innata ‘complessione fisica’ incline alla lussuria, e connessa con il peccato originale. Il principio di piacere è, anche, un principio conoscitivo; ed è un principio di disordine, di movimento, di ricerca; è un principio di entropia, di indipendenza e certamente anche di egoismo;  soprattutto se si intende il piacere come una forza rispetto alla quale si è per forza di cose passivi, e si può solo scegliere se resisterle o cederle.

È irresistibile, e solipsistica, la tentazione, se vista come qualcosa rispetto alla quale l’unica scelta possibile è fra essere e non essere soggiogati; il concetto antico di passione – che oggi, curiosamente, è ancora in auge – risponde proprio a questa idea. Il fascino della lussuria che si esibisce per ostentare, o anche solo dimostrare, la propria sensualità, sottintende l’idea di un corpo che idealmente potrebbe essere tenuto sotto controllo, o volutamente lasciato ‘libero’ – come se fosse una parte accessoria di noi, come se noi non fossimo il nostro corpo ma potessimo disporne come di un oggetto. Per questo la consacrazione della lussuria non risponde a un’idea più illuminata di quella che la demonizzerebbe, ma si radica in un’antica e forse inconsapevole immagine di dualismo fra anima e corpo, presupposta da ogni morale repressiva.

l'ultimo decameron

Fra tutti i vizi capitali, la lussuria è forse quello che fa più ridere e più paura; più paura ancora dell’invidia, il vizio vergognoso, rimosso e nascosto. Se l’invidia suscita una vergogna puramente morale, la lussuria questo carattere l’ha conservato in maniera occulta e quindi più insidiosa. Rimane appiccicato alla lussuria il senso di un’offesa, di un turbamento dell’ordine; di un abuso da cui bisogna difendersi anche nel piacere di incoraggiarlo; di una trasgressione – parola di cui si fa un uso compiaciuto e smodato, quando si parla di sesso, come pure dell’aggettivo ‘osceno’. Che –  l’etimologia è incerta – rimanda a un segno di cattivo augurio, a qualcosa che è laido perché porta male. Di cattivo augurio, perché offende il pudore della comunità, ed è dunque punibile dalla legge se commesso in pubblico. Ma fare dell’osceno un idolo non è facile; e non è il gesto liberatorio che sembra.


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Alla lussuria esibita rimane appiccicato un aspetto di oltraggio fisico, corporale, anche quando viene celebrata. La retorica dell’osceno e della carne, che vuole consacrare il corpo, asseconda lo stesso pregiudizio dualistico che consente di colpevolizzarlo, di imbrigliarlo, di controllarlo come se fosse uno strumento, o un oggetto estraneo alla mente. Forse per questo sono spesso così brutte, così goffe e poco realistiche, nella letteratura contemporanea e spesso anche nel cinema, le scene di sesso: a volte esilaranti, come quelle premiate in un apposito concorso, il Bad Sex in Fiction Award, ormai alla 24esima edizione.

Per liberarsi dalla condanna dell’oscenità, dalla risata compiaciuta, dalla retorica della trasgressione e dalla paura del corpo e del sesso, la strada si trova risalendo la corrente. In una novella che forse è la meno boccaccesca di tutto il Decameron, Boccaccio ha salvato la lussuria dal moralismo. È la storia di Gian di Procida, sorpreso a fare l’amore con una giovane donna promessa al re. I due, per punizione, vengono legati nudi a un palo nella pubblica piazza, presto saranno bruciati. Si vergognano, come Adamo ed Eva, stanno a testa bassa e cercano di coprirsi; la gente si raduna nella piazza per vederli, sghignazzare e spettegolare. Ma quando li vedono, i due, tutti nudi e belli come il sole, non solo nessuno si azzarda a ridere di loro, ma la folla si commuove. Il re li grazia tutti e due.

ilaria gaspari

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari, classe ’86, si è diplomata in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa e ha debuttato nel romanzo per Voland con Etica dell’Acquario.
Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.


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