Incombe un silenzio pesante attorno alle mestruazioni: pur trattandosi di un aspetto intimo che accompagna la vita di ogni donna, lo si vive con vergogna, ed è un argomento di cui si tace. “Questo è il mio sangue”, il saggio di Élise Thiébaut, prova a rompere il tabù e rende omaggio alla natura femminile. L’intervista de ilLibraio.it all’autrice francese

“Volevo fare un libro sulla situazione femminile oggi: perché ci troviamo in questo sistema di dominazione e non abbiamo fatto i progressi che ci saremmo aspettate? Ha sicuramente a che fare con la nostra autostima. Le donne sono convinte della loro inferiorità. Perché succede? La mia ipotesi è che, dato che sanguiniamo ogni mese per oltre 40 anni della nostra vita, siamo convinte di essere ripugnanti, che dobbiamo vergognarci di ciò che accade al nostro corpo”. Élise Thiébaut, giornalista e saggista francese, sostiene che delle mestruazioni non si parli abbastanza. Proprio a questo argomento ha dedicato il suo saggio Questo è il mio sangue, edito in Italia da Einaudi e tradotto da Margherita Botto, un progetto a cui si dedicava da tempo: “Ho lavorato a questo libro per circa 15 anni, ma non sapevo quando sarebbe stato il momento giusto per pubblicarlo. Un libro del genere non sarebbe stato possibile, anche solo 5 anni fa”, ha dichiarato a ilLibraio.it. Il libro di Thiébaut parla con disinvoltura del tanto temuto “ciclo”, e in patria è stato accostato a L’intestino felice di Giulia Enders, altro libro rivoluzionario per il tono diretto con cui tratta i problemi che affliggono molte donne e che spesso sono legati alla soppressione della conversazione intorno a una parte del proprio corpo.

Questo è il mio sangue

Thiébaut nel suo saggio parla di “stigma”: lo stigma non è (solo) uno stato di emarginazione, come molti potrebbero pensare. Lo stigma “è l’incapacità di parlare con chiarezza e disinvoltura del proprio corpo. È sentire il bisogno di scusarsi quando si parla di mestruazioni. È chiedere sottovoce a un’amica un assorbente invece di farlo apertamente, come faresti se ti servisse un cerotto”. Lo definisce lei stessa come una dichiarazione d’intenti: questo è un manifesto di attivismo mestruale, un modo di affermare il proprio femminismo attraverso la valorizzazione delle mestruazioni, tenute taciute proprio a causa della società patriarcale, trasversale e comune a moltissime culture. Non è solo l’incapacità di parlarne a costituire il tabù infatti: alcune tradizioni, come quella Chaupadi del Nepal, prevedono che le donne mestruate vengano tenute in isolamento senza avere accesso a nulla, oppure riguardano riti di iniziazione corrispondenti al menarca, la prima mestruazione, con prove fisiche durissime. Una discriminazione che è sotto gli occhi di tutti e che a cui tutti si abituano diventandone indifferenti, ma che viene percepita in tutta la sua bruciante umiliazione proprio da quelle ragazzine pubescenti che subiscono sguardi e battute che ne dichiarano l’ingresso nel mondo delle “donne”.

L’autrice, attraverso il racconto della propria esperienza, è in grado di veicolare con efficacia la sua tesi: figlia di genitori divorziati (ancora prima che in Francia il divorzio venisse approvato), entrambi militanti comunisti da generazioni. Una famiglia le cui donne celebravano le mestruazioni come un aspetto glorioso della vita di una donna, di cui andare fiere, in contrasto con il dolore e il disagio che invece causavano in lei, scatenando un ulteriore senso di colpa. Una celebrazione da lasciare pur sempre circoscritta al “gineceo” e da tener ben lontana dagli uomini.

Un libro che deve servire alle donne per liberarsi dalla vergogna che riguarda questo tabù, dunque, con un linguaggio leggero, spassoso a volte, dietro cui si cela un potenziale divulgativo altissimo. Non solo di nozioni mediche, ma anche storiche e antropologiche. Ed è inevitabile, quando si parla di tabù: essi permettono alle culture di sopravvivere e prosperare (come i tabù dell’incesto o dell’antropofagismo), sono i cosiddetti “scrupoli” di cui parla Salomon Reinach, che Thiébaut cita nel libro. Non c’è bisogno di scomodare le immagini sacre per spiegare questo tabù, anche se scopriremo molto del nostro pudore, o meglio della vergogna, è legato agli archetipi positivi che sono stati occultati durante l’affermarsi del cristianesimo, secondo i quali le mestruazioni possiedono un bagaglio di potenzialità mediche ai più sconosciute. Ad oggi è stato scoperto che il sangue mestruale contiene cellule staminali, dagli innumerevoli impieghi e con capacità di rigenerazione, potenzialmente “donatrici di immortalità”.

Gli aspetti positivi non sono gli unici a passare sotto silenzio a causa della reticenza legata al mestruo: problemi come la tassazione al 20% (quella dei beni di lusso) degli assorbenti, che in Francia è stata ridotta al 3% grazie a una mobilitazione popolare nel 2015, oppure la sensibilizzazione verso malattie che rendono le mestruazioni molto dolorose, addirittura invalidanti, come l’endometriosi. L’Italia è stato l’unico paese in Occidente a proporre una legge per un congedo mestruale per la dismenorrea (tuttora ferma in Parlamento): secondo Thiébaut “è una sicurezza e un aiuto sociale, un riconoscimento importante che permette alle donne con endometriosi che gli venga riconosciuta la sofferenza che accompagna il ciclo: è una malattia vera e propria e non va sottovalutata.”

Questo ci dice che è il momento giusto per parlare di tutto ciò che riguarda le donne e che è soggetto di discriminazione, per innescare quella che Thiébaut chiama una rivoluzione mestruale. Parlare apertamente di mestruazioni renderà le donne libere, prima dalla vergogna, e poi da tutte le ingiustizie che ancora impediscono una vera parità di genere.

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