Il romanzo di Auður Ava Ólafsdóttir ci porta a conoscere la società maschilista dell’Islanda degli anni sessanta. Una realtà a cui la protagonista, che si sente diversa e che porta il nome di un vulcano, si ribella
L’islandese Auður Ava Ólafsdóttir – finalista al Premio Strega Europeo nel 2018 con Hotel Silence – in Miss Islanda (Einaudi, traduzione Stefano Rosatti) riporta i lettori alla scoperta della sua terra, tratteggiando i contorni di una natura ostile, il cui silenzio è interrotto raramente e in modo spettacolare dall’urlo dei vulcani.
La vicenda si svolge negli anni sessanta: il contesto è quello di una società maschilista, che attribuisce alla donna il ruolo di moglie e madre, e che concede un unico spiraglio al di fuori della famiglia, ossia concorrere per il titolo di Miss Islanda.
Dall’esordio del romanzo, che coincide con la nascita della protagonista, i ruoli sono chiari. Dopo aver dato alla luce la bambina, la madre diventa una figura marginale, ed è infatti il padre a segnare il destino della piccola:
“Benvenuta, Hekla mia.”
Aveva deciso il nome senza consultarmi.
“Non il vulcano, non la porta dell’inferno,” – dico io dal letto.
(…) La decisione ormai l’aveva presa.
Nonostante le premesse e il contesto in cui cresce, Hekla desidera per sé un futuro non convenzionale e sogna di diventare scrittrice. Appena possibile lascia i prati di Dalir per andare in città; lavora come cameriera ignorando le attenzioni sgradevoli – eppure socialmente tollerate – dei clienti, sperando di vedere pubblicato il frutto di notti insonni e fiumi di inchiostro.
Hekla, con la sua bellezza accecante e un carattere apparentemente mite, rifiuta costantemente la prospettiva di viaggi, vestiti scintillanti e auto di lusso offerti dal concorso di Miss Islanda. Lei si sente diversa, porta il nome di un vulcano, una rappresentazione perfetta della sua indole: “Non fai trasparire niente in superficie. Quando uno convive con un vulcano sa che c’è del magma incandescente, sotto…”.
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Quella della protagonista è una figura silenziosa, ma in perenne ascolto. Assorbe le richieste di aiuto delle figure che ruotano intorno alla sua vita: da DJ Johnsson, suo primo amore e ora emarginato da tutti perché omosessuale, all’amica di sempre Isey – che ogni giorno cerca la felicità nella vita di moglie e madre -, fino a Starkadur, con le sue velleità poetiche, messo in crisi dal talento di Hekla. Lei ascolta, si fa carico di tutto questo e lo lascia sgorgare sulla carta, perché solo così ha la sensazione di avere una voce.
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Se nell’evolversi della vicenda si intravede la possibilità di una realizzazione per Hekla, più agrodolce è la sensazione quando si chiude il romanzo e si torna alla realtà. Quando ci si ricorda che non siamo più negli anni sessanta e molte circostanze – nel panorama letterario e non – sono più che mai attuali.