Mentre la politica statunitense da mesi è divisa sulla questione del muro al confine con il Messico (fortemente voluto dal presidente Trump), arriva in libreria il saggio “Solo un fiume a separarci”

Mentre la politica statunitense da mesi è divisa sulla questione del muro al confine con il Messico (fortemente voluto dal presidente Trump), arriva in libreria il saggio Solo un fiume a separarci (minimum fax, con la traduzione di Fabrizio Coppola). Il memoriale di Francisco Cantú (classe 1985), che racconta alla madre, sua confidente da sempre, la propria esperienza come agente di polizia di frontiera.

Solo un fiume a separarci Francisco Cantù

Pronipote di immigrati, messicano di origine ma americano di nazionalità, Francisco Cantú potrebbe essere considerare un esempio di perfetta integrazione. Laureato in diritto internazionale, traduttore, sembrava avviato a una brillante carriera come giornalista e studioso. Finché un giorno, sfidando le paure e le perplessità della sua famiglia, ha deciso di iscriversi all’Accademia di polizia per diventare una guardia di frontiera, convinto che, per capire fino in fondo il fenomeno dei flussi migratori e le storie di ordinaria e straordinaria umanità che lo sottendono, non bastassero i libri, i manuali o le statistiche, ma fosse necessario vedere le cose in prima persona, era infatti stanco di “leggere e basta tutto ciò che riguardava le questioni di frontiera”, come si legge nella recensione del libro pubblicata dal Guardian.

Sono proprio gli incontri con i nuovi “dannati della terra” che Cantú racconta in questo memoriale, diviso in tre parti: in cui prima descrive la formazione al lavoro di agente sul campo, per dedicarsi poi al suo trasferimento a una divisione di intelligence e alla sua presa di coscienza sul fatto che, come si può leggere ancora sul Guardian, “i compromessi del lavoro portavano alla luce una parte fondamentale del suo spirito”.

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