“Nel nostro fuoco”, il nuovo romanzo di Maura Chiulli è la storia di un’incapacità ad amare – Su ilLibraio.it un estratto dal nuovo romanzo di Maura Chiulli, scrittrice e mangiafuoco

Maura Chiulli, scrittrice e mangiafuoco, si interessa di body art e arte performativa. Ha esordito con Piacere Maria (Editrice Socialmente, Bologna, 2010), cui sono seguiti i saggi Maledetti Froci & Maledette Lesbiche (Ed. Aliberti Castelvecchi, Roma, 2011) e Out. La discriminazione degli omosessuali (Ed. Internazionali Riuniti, Roma, 2012), e il romanzo Dieci giorni (Hacca, 2013). Ora l’autrice di Pescara, classe ’81, torna in libreria, sempre per Hacca, con Nel nostro fuoco, romanzo di grande impatto. Il protagonista, Tommaso, è un uomo che ha un’idea precisa di vita: si sveglia sempre alla stessa ora, compie gesti ordinati, puliti. Ha, nelle mani, la misura degli spazi e del tempo. Disprezza il caos, o meglio lo teme, come tutto ciò che non può controllare. L’amore, improvviso, arriva per una donna drago, che di notte si esibisce per strada, sputando fuoco dalle labbra. Servirà un poco di coraggio, a quest’uomo che sembra diretto da una voce venuta dal passato, per provare a vivere la sua storia di amore. Un rapporto, quello con Elena, che a poco a poco gli insegnerà una lingua nuova, in grado di nominare – per la prima volta – un’emotività dolce e generosa. Ma l’amore, talvolta, chiede un pegno. E’ così che arriva un inciampo, un guasto. Una figlia, Nina, che tradisce ogni loro aspettativa, che non cresce come gli altri bambini, che non parla.

Nel nostro fuoco è la storia di un’incapacità ad amare, di una paternità difettosa. Di un alfabeto emotivo da costruire attraverso i segni nascosti nelle pieghe di gesti ripetuti e sguardi incantati.

maura chiulli

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

 

Tommaso tutte le mattine, domeniche comprese, si sveglia alle sette e, con ossessiva fermezza, si ripete. Nessuna deviazione, nessuno scarto rispetto alla media degli atti dovuti. In camera non può tenere la tv, quindi il rituale si compie in religioso silenzio. Apre gli occhi per accendersi una sigaretta: la fuma sempre al letto la prima del giorno e gode. Ieri sera, per occuparsi di Nina, ha perso di vista le sue necessità. C’era da preparare la pasta in bianco, c’era da metterla in un piatto bianco e pesante che doveva portarsi appresso da casa della madre, c’era da posizionare il piatto sopra una tovaglia stirata e bianca, da cambiare ad ogni pasto, perché se c’era una macchia, non andava bene. C’era da versare un bicchiere d’acqua ogni tre bocconi, che venivano ingollati solo con un grosso cucchiaio d’acciaio, sempre di provenienza materna. C’era da sequestrare il telecomando, cambiare il pannolone e fare finta di dormire, per consentire anche il sonno di Nina, che si sarebbe alzata quattro volte nella notte, per farsi versare quattro bicchieri d’acqua. Al suo risveglio, quando vuole solo accendersi una sigaretta a letto prima dell’inferno, si guarda intorno, fruga nelle tasche dei pantaloni, nel primo cassetto, dove nasconde sempre la scorta, ma niente. Scende in salotto. Nina scapigliata siede sul divano. Come un ladro, s’è trascinata lì senza fare rumore e ha acceso la tv. Tommaso sente delle fitte spaventose allo stomaco. Prende le chiavi e si chiude la porta dietro le spalle. Cammina frettolosamente e più accelera, più il suo affanno cresce. Ma deve fumare una sigaretta, costi quel che costi. Ha comprato una casa in centro pensandolo un investimento e si è ritrovato in un bell’appartamento immerso in un gigantesco cesso a cielo aperto. Escrementi, immondizia, vomito. Randagi ovunque. Pescara pare sopravvissuta allo scoppio di una centrale nucleare. In giro c’è della paranoia. Tommaso cerca di memorizzare il viso di tutti i passanti che incrocia. Lo fa da quando ha cominciato a camminare da solo. Capelli neri occhi a mandorla, negro cappuccio in testa, pantaloni verdi, treccine corte, signora capelli arancioni, vecchio dentiera gialla, occhiali, riporto, abito scuro, ciabatte rosse. Come un mantra, l’elencazione procede con un filo di voce, ogni volta, solo che oggi non ce la fa. Non ha le forze. Le fitte allo stomaco crescono in potenza, si piega, si ingobbisce, come se qualcuno da dentro gli tirasse la pelle. Nell’aria c’è un odore rugginoso di sangue secco. Svolta per via Roma fino a via Nicola Fabrizi. La città è morta.

Ci sono trentanove gradi e sotto i suoi piedi l’asfalto si scioglie e lo vuole ingoiare. Un’estate canicolare. Indossa delle ridicole ciabatte da tedesco, con due fasce larghe di pelle marrone, che gli danno un’aria giovane, trasandata, un’impressione di fascino, diceva Elena. Dallo stomaco alla pancia, le fitte iniziano a piegargli la schiena. Si ferma per appoggiarsi, l’addome si chiude, mentre davanti a lui si apre Piazza Salotto, in un cerchio di mani invisibili. Solo lui e quest’aria ferma di ferragosto. Si decide a imboccare Corso Umberto, la sua andatura si fa più incerta. – Il tabaccaio è vicinissimo, il tabaccaio è vicinissimo, il tabaccaio è vicinissimo – ripete ad alta voce. Mucchietti scomposti di gente insudiciata dal mare. Ogni estate lui si rifugia in Salento, da almeno vent’anni. È il suo unico modo per sopportare quella stagione infame. Eppure questa volta no, questa volta bisognava restare. Dell’estate gli fa schifo la sua capacità di resistere: quegli odiosi granelli di sabbia che lo seguono fino in cucina, le notti che si fanno seccare dal caldo e l’alba che diventa umida e puzzolente, un rigurgito mucillaginoso della notte.

(continua in libreria…)

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