Pamela Lyndon Travers, l’autrice di “Mary Poppins”, scrisse “Vado per mare, vado per terra” (pubblicato per la prima volta in Italia) dopo un viaggio su un piroscafo con trecento bambini sfollati. Su ilLibraio.it a presentare il libro è la traduttrice, Marta Barone: “È stupefacente la naturalezza con cui l’autrice riesce a rendere vivida e credibile la voce di una ragazzina di undici anni, senza mai sovrapporvi la propria…”

Pamela Lyndon Travers nacque in Australia nel 1899 ed emigrò a Londra nel 1924. La sua fama è legata al romanzo Mary Poppins, pubblicato nel 1934 e portato sullo schermo nel 1964 da Walt Disney. Per la prima volta viene pubblicato in italiano (da Bur Ragazzi) Vado per mare, vado per terra. Pamela Lyndon Travers scrisse questa storia dopo un viaggio su un piroscafo con trecento bambini sfollati. Su ilLibraio.it lo presenta la traduttrice, Marta Barone.

vado per mare vado per terra

Nell’agosto 1940, Pamela Lyndon Travers, nata con un altro nome, australiana naturalizzata britannica e autrice di successo (negli anni Trenta aveva pubblicato i primi due romanzi di una delle serie più famose della letteratura per ragazzi di ogni tempo: Mary Poppins e Mary Poppins ritorna), lasciò l’Inghilterra insieme al figlio adottivo Camillus. Sul piroscafo che li portava in America c’erano trecento bambini e adolescenti sfollati dalle città inglesi bombardate, diretti in Canada. L’anno successivo Travers scrisse un libro con protagonisti immaginari ma che, in un certo senso, era un omaggio alle storie di sradicati dei ragazzini su quella nave. Il titolo, bellissimo, uno di quei titoli così perfetti e maliosi che sono già in sé un racconto compiuto, veniva da un verso di una poesiola inglese per bambini: I Go By Sea, I Go By Land. Vado per mare, vado per terra.

Il viaggio è quello di Sabrina, undici anni, e di suo fratello James, otto. Quando il villaggio del Sussex dove sono cresciuti viene bombardato, i loro genitori prendono la durissima decisione di mandarli in America da un’amica di famiglia. Così, devono lasciare il luogo della loro vita e della loro memoria, e le persone amate, senza sapere quando torneranno; senza sapere, soprattutto, se ritroveranno quei luoghi e quelle persone intatti. Sabrina decide di tenere un diario, che è il libro che stiamo leggendo, per poter ricordare tutto. Ad accompagnarli sulla nave che li porta oltre l’oceano è Pel, una scrittrice per ragazzi amica dei loro genitori – il modo che Travers ha escogitato per entrare lateralmente nella storia. Pel, infatti, per quanto sia un’adulta molto bizzarra, irrazionale, prepotente e confusionaria, è anche un mezzo di comprensione (seppur parziale) della realtà ingiusta e imperscrutabile in cui si trovano catapultati i due bambini. Ma più semplicemente è innanzitutto un affetto “di casa”, un appiglio per mantenere il passato presente, che infatti tornerà altre volte dopo la loro separazione in terra americana, gloriosa e rumorosa apparizione su un’auto scalcinata presa in prestito.

Pamela Lyndon Travers
La magia vera e propria, quella di Mary Poppins, in questo libro non c’è: ma di personaggi un po’ magici, come Pel, Sabrina e James ne incontreranno parecchi, durante il viaggio e poi nella nuova vita nei sobborghi di New York. Sublimi prozie sorde e colleriche con l’immancabile cornetto acustico, ufficiali di marina pronti a partire per isole immaginarie, signore misteriose che partecipano a falò notturni, gentili e fatati tuttofare italiani che hanno contribuito a costruire la Statua della Libertà, vicine incinte che conoscono tutte le cose del bosco e sanno indicarti il nome di una pianta speciale o di un insetto mai veduto, altre prozie con lingua tagliente, passo danzante e la capacità di comparire all’improvviso nei posti più improbabili – per esempio nella stanza delle meteoriti dell’Esposizione Universale, intente a pungolarne una con il bastone pronunciando frasi sibilline (il capitolo sull’Esposizione Universale di New York del 1939, con la dettagliatissima e spassosa cronaca di tutte le sue meraviglie, dal Futurama alla capsula del tempo, è forse il più delizioso del libro), e così via, in una girandola di comparse che lasciano dietro di sé favolose scie di cometa, con il talento straordinario di Travers per la caratterizzazione fulminante.

Vado per mare, vado per terra è un libro anomalo rispetto ad altri romanzi di guerra venuti dopo, per il fatto stesso di essere stato scritto e pubblicato ben prima della fine della guerra, e soprattutto prima di capire quando e come sarebbe potuta finire. Come i suoi personaggi, l’autrice non conosce il futuro. E il diario di Sabrina, infatti, racconta soli tre mesi e si interrompe nell’ottobre 1940, con un finale aperto su una durata imprevedibile. Lei e James, però, hanno imparato il coraggio grande di accettare i cambiamenti traumatici dell’esilio e trasformarli nella loro storia.

Quando, qualche mese fa, mi è stato proposto di tradurre questo libro bello e strano, in un’ottica di riscoperta delle “altre cose” di Travers, mi è sembrato subito che potesse trovare un posto importante nel nostro presente. Per quello che racconta, certo – cosa significa essere profughi, in qualsiasi tempo? – ma anche per il modo in cui lo fa. È stupefacente la naturalezza con cui Travers riesce a rendere vivida e credibile la voce di una ragazzina di undici anni, senza mai sovrapporvi la propria, con lo stesso rispetto e la profonda conoscenza anche dei moti più sgradevoli e segreti della testa di un bambino che emergono anche nei libri su Mary Poppins. E sono straordinarie la semplicità e la precisione con cui riesce a descrivere sentimenti complessi come la paura, la nostalgia, l’inadeguatezza. Sabrina ci arriva dal passato viva, tangibile e commovente, con il suo buffo umorismo, la sua tenerezza e i suoi errori di ortografia, la felicità della sua scoperta del paesaggio americano, la sua passione per i neonati, la botanica e le brutte poesie, i suoi egoismi e i suoi desideri nascosti. È ora di aggiungerla alla collezione di bambini letterari che ci piacciono molto; ed è ora di far parlare la sua storia al nostro tempo.

«Praticamente tutti gli uomini americani sono uomini d’affari. Micky dice che è per questo che muoiono giovani. Perché quando smettono di fare affari non sanno fare nient’altro e sono disorientati, e l’unica possibilità è la morte. Be’, è un vero peccato per le loro mogli. Ci sono due grandi cimiteri qui vicino. Sono molto ordinati e puliti. Su alcune tombe sono piantate bandiere americane, e poi ci sono molte casette. Penso che contengano uomini d’affari».

 

 

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