Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022, è arrivato nelle sale il nuovo film di David Cronenberg, “Crimini del futuro – Crimes of the Future” (con Viggo Mortensen e Léa Seydoux) – La recensione

Il cinema è la morte al lavoro sul corpo dell’attore, diceva Jean Cocteau. Il cinema soffre del complesso della mummia: salvare l’essere mediante l’apparire, suggeriva André Bazin. Di questa natura funeraria, liminale, terminale (forse in questo caso testamentaria) del cinema, ora che poi il cinema appare qualcosa di tra-passato, i film di David Cronenberg si sono sempre (pre)occupati. E anche in quest’ultimo, covato a lungo, progetto, che pare riassumere e mettere in mostra, fino alla maniera, tutto l’immaginario di questo autore, è evidente una vocazione autoptica, un lavorare chirurgico, con sguardo affilato, su un mondo livido e cadaverico, o per lo meno agonizzante, in cui il distopico è un maniera di analizzare una società in disfacimento, in decomposizione.

Se le profezie sono sempre lacere e sporche (era Crash che lo stosteneva?) ecco qui un’ambientazione in rovina, postuma e postumana: una nave affondata (prima significativa immagine del film), mura opache e scrostate, luoghi poco illuminati dove polvere, muffa, degrado dominano un’atmosfera di corruzione e perdita. Un mondo spopolato e solitario, che è già e all’ennesima (im)potenza rovina, vestigia, resto. Catacombe di un futuro rétro, come un’orizzonte insieme astratto per essenzialità e tragico per destino, non a caso rinvenuto in una Grecia post apocalittica, incrostata, spoglia e materica.

Così gli uomini, o quel che ne resta, hanno perduto sensibilità, pena e desiderio, non possono neppure mangiare o dormire senza una qualche protesi che gli imbocchi o li culli. Senza ferite e passioni, senza veri sogni o bisogni, che cosa resta? Se il dolore è bandito, lo è anche il piacere, e la ricerca  di spazi residuali e resistenti di sofferenza e di godimento, in un universo insensibile, al confine dell’anestesia, prende le strade più perverse: la chirurgia come nuovo sesso, la body art come creazione e rimozione di organi inauditi senza una precisa funzione, la prospettiva di un apparato digestivo che possa nutrirsi di plastica, inghiotta e metabolizzi lo scarto che non non embrerebbe smaltibile…

In un mondo che ha superato il dolore, l’infanticidio che apre la pellicola non tanto è un gesto effrattivo (la rottura di un tabù), quasi concettuale e inaugurale, di un mondo nuovo. Il mo(n)do narrativo stesso, privato del periglio, della sofferenza e del conflitto, in qualche modo è un corpo morto, il cui scopo non è più (farci) viaggiare e trasformarsi, ma mostrarsi e mostrizzarsi, in questa ostensione delle proprie viscere alla quale corrisponde la voyeristica attrazione per una bellezza interiore, delle interiora, che ci rimette allo specchio.

Crimini del futuro è summa e ricapitolazione, è arte concettuale e performance, è archeologia del futuro, è il racconto della Nuova Carne, spesso anticipata/profetizzata da Cronenberg, ma l’autore, più che vedere il futuro e i suoi crimini, come suggerirebbe il titolo, racconta con uno sguardo nostalgico ancorché futurologico, come sui nostri corpi stanchi si stia compendo una mutazione, riflettere sul presente che ci trasforma, e sulla passione senza passione che questa metamorfosi comporta, come una necrosi inarrestabile dell’umano. Può sembrare fantascienza. Sappiamo, in fondo, che è una storia vera.

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