Dal peso per l’assenza del padre alle letture giovanili, dal socialismo al tabù dei baci, dai film e dai registi (e dagli uomini) della sua vita da romanzo alla passione per il teatro, tra aneddoti, flirt, successi, stravaganze, incoerenze, vezzi da diva ed episodi iconici: Sandra Milo, che a marzo avrebbe compiuto 91 anni, se n’è andata nella sua casa di Roma

Il bacio. Per Sandra Milo, che aveva fama di gran seduttrice e ottima amante, è sempre stato un tabù. Una volta le chiesero se era vero che sul set aveva remore a baciare i suoi partner artistici. E lei annuì: “Il bacio, per me, è la forma di condivisione più intima”, spiegò al Corriere della Sera, “il bacio è l’incontro di due corpi, ma anche di due anime“. Apparentemente uno strano discorso per un’attrice che avrebbe dovuto essere abituata a “sopportare” scene ben più impegnative. “Lo so. Ma dinanzi ai baci mi bloccavo. In un film un grande attore ci rimase male”. Era nientemeno che Ugo Tognazzi in Totò nella Luna, regista Steno. “Gli dissi: ‘Io questo bacio non lo do’. Allora intervenne, stizzito, Tognazzi: ‘Guardi, signorina, che io i denti me li lavo col dentifricio'”.

Sandra Milo se n’è andata nella sua casa di Roma lunedì mattina. A marzo avrebbe compiuto 91 anni. È stata un’icona del cinema italiano: “Nell’Italia del boom”, ricordava sempre, “c’era la Lollo, c’era Sophia Loren e in mezzo arrivai io: la Sandrocchia”. Copyright: Federico Fellini, di cui fu musa ispiratrice, attrice in Giulietta degli spiriti e 8 ½ che si aggiudicò l’Oscar come miglior film straniero, e (forse) anche amante.

Era nata a Tunisi l’11 marzo 1933, all’anagrafe faceva Salvatrice Elena Greco. Mamma toscana, papà siciliano, entrambi coloni in Tunisia: “Mio padre era nato a Tunisi, come me, ma mio nonno era di Ragusa, e per tradizione i primogeniti dovevano chiamarsi Salvatore o Salvatrice”, raccontò al Corriere , “io non lo volevo perché credo che i nomi abbiano un’influenza sulle persone”. E lei, con vezzo da diva, scelse un altro nome: Sandra: “‘San’ perché è dolce e ‘dra’ perché è dura e inarrestabile, come me”. E Milo? “Quello me lo mise un giornalista dopo un servizio fotografico a Tivoli, in cui ero ricoperta soltanto di poche foglie. Ancora non c’era la televisione. Titolarono: la ‘Milo di Tivoli'”.

L’assenza del padre

Nella vita di Sandra Milo c’è un buco nero: l’assenza del padre. Fino a tre anni Sandra resta in Africa, poi nel 1936 il padre riporta la famiglia a Viareggio, parte per l’Abissinia e fa perdere le sue tracce.

Riappare solo dopo il 1945. Sandra era già un’adolescente. “Un giorno, al paese, incontro un uomo per strada che mi chiede dov’è casa Greco” raccontò a Chi, “era mio padre, non l’avevo riconosciuto. Ma è rimasto pochi giorni, è ripartito e non l’ho visto più. Non ne ha saputo mai niente”.

Alla fine della Seconda guerra mondiale aveva dodici anni, era una delle tante ragazzine cresciute in fretta tra bombe, fame, padri in guerra e madri e nonne a guidare la famiglia. Diceva che a dodici anni aveva già letto Marx, Engels, Proudhon, Lenin perché “volevo capire quale fosse l’atteggiamento giusto da tenere verso gli altri e mi sembrava che l’idea socialista fosse fantastica. È stato un grande sogno, ha illuminato la mia adolescenza“, rivelando di essere stata “socialista da quando avevo dodici anni, volevo capire perché nella mia famiglia erano tutti fascisti“.

Una vita da romanzo nella quale si sommano così tanti aneddoti, amori, successi, stravaganze, incoerenze, vezzi da diva, episodi iconici. Raccontava di essere stata amante anche di Bettino Craxi, di aver beneficiato di un miracolo divino, di essersi sposata a Cuba con un colonnello dell’esercito di Fidel Castro, di aver attraversato la striscia di Gaza in taxi in compagnia di un agente del Mossad.

Aveva lavorato per il cinema, il teatro e la televisione. Tra i suoi film: Eliana e gli uomini (Jean Renoir, 1956); Totò nella luna (Steno, 1958); Il generale della Rovere (1959, Roberto Rossellini); Adua e le compagne (Antonio Pietrangeli, 1960); Fantasmi a Roma (Antonio Pietrangeli, 1960); 8 ½ (Federico Fellini, 1963, Nastro d’argento per la migliore attrice non protagonista); Giulietta degli spiriti (Federico Fellini, 1965, Nastro d’argento per la migliore attrice non protagonista); L’ombrellone (Dino Risi, 1965); Il cuore altrove (Pupi Avati, 2003); La perfezionista (Cesare Lanza, 2007); Happy Family (Gabriele Salvatores, 2010); A casa tutti bene (Gabriele Muccino, 2018).

Dal teatro alla moda

A teatro era un caterpillar riuscendo a fare anche due spettacoli nello stesso periodo: “Ho una gran memoria”, raccontò una volta, “e gli impresari si sorprendono ‘ma allora è brava’. Ho smesso di offendermi. Forse il mio destino è questo. Stupire ad ogni costo”.

Doti di gran seduttrice (“a scuola i ragazzi facevano a gara a mettermi il cappotto sulle spalle”), nel 1948, a 15 anni, si sposa con il nobiluomo Cesare Rodighiero e il matrimonio dura 21 giorni.

Se ne va a Milano dove trova lavoro come fotomodella. Lavora anche con la stilista Germana Maruccelli ma non è soddisfatta: “Le foto non parlano, io mi sentivo una donna a metà”. Scappa e va a Roma dove nel 1954 incontra il produttore cinematografico greco Moris Ergas.

“Lui”, raccontò a Chi, «mi piaceva moltissimo, ma lui era stato appena lasciato da Silvana Pampanini e con la testa stava ancora là. Riuscii a farlo innamorare di me e, nel 1963, nacque Deborah”. E fu lui a lanciarla nel firmamento del cinema. La Milo aveva un approccio soft e una determinazione di ferro: “A Cinecittà ero arrivata per affermarmi. Volevo farcela e per riuscire nell’intento mi mimetizzai. Alle mie colleghe sembravo leggera, vacua, inoffensiva. Ero pericolosa invece, ma se ne resero conto quando era troppo tardi», raccontava, «erano anni in cui il cinema era qualcosa di speciale, faceva sognare. Compresi in fretta dov’ero e perseguii il successo in maniera morbida, insinuante, sottile, senza fretta né ansie apparenti”.

Il primo film con Sordi

Primo film Lo Scapolo, con Alberto Sordi, nel 1955. “Avevo abitudini milanesi dove avevo lavorato come modella, a cominciare dalla puntualità. Quando arrivavo sul set mi prendevano in giro: ‘Ah eccola, l’Eleonora Duse…’. Sa quel sarcasmo tipico romano, bonario eh… Aiuto regista era Franco Zeffirelli, che era molto carino con me, mi diceva di non preoccuparmi'”. Tra il 1955 e il ‘61, lavorando con registi come Becker, Cayatte, Sautet, Steno e Rossellini, gira 18 film.

Nel 1959 interpreta una prostituta con Vittorio De Sica ne Il Generale della Rovere prodotto da Moris Ergas che poi diventerà suo marito e padre della sua primogenita Deborah.

Dopo l’incidente al festival del Cinema di Venezia del 1961, quando il suo film Vanina Vanini diretto da Rossellini (e boicottato da Ergas) venne fischiato e lei si mise a piangere, lasciò il cinema e si ritirò in casa a scrivere poesie.

Fellini e Flaiano la riportarono sul set

Durò poco. A riportarla sul set fu Federico Fellini: “Ennio Flaiano mi invitò al loro tavolo, ero vestita di bianco. Quando i miei occhi si incontrarono con quelli di Federico ne rimasi subito affascinata“, raccontò lei a Oggi, “alto, moro, indossava i pantaloni neri e la camicia bianca con la cravatta nera, come faceva vestire Mastroianni nei suoi film. Mi innamorai subito. Un’attrazione fatale, inevitabile… Siamo stati amanti 17 anni”. E Giulietta Masina sapeva? “Non lo so. Penso di no, non ce lo siamo mai detto… Eravamo inseparabili all’epoca. Io dormivo a casa loro. Pensa che quando lavoravo fuori dall’Italia lei mi telefonava sempre. Mi chiamava sorellina… Non mi sono mai sentita in colpa! E che vuol dire essere l’amante? L’amore non è una cosa vergognosa, è una cosa sublime. Il sesso è un’altra cosa: io e Federico ci amavamo“.

Una passione smentita dal più accreditato biografo di Fellini, Tullio Kezich, che l’ha definita sempre e solo una “simpatica, fantasiosa costruzione mentale” della Milo. Al che lei rispose: “E che poteva saperne, Kezich? Federico non era uomo da confidare i propri amori a nessuno. L’unico col quale parlò di me fu Mastroianni. Ma molti altri lo sapevano: il produttore Cristaldi, ad esempio'”.

“Sandrocchia”

È Fellini a darle il soprannome di “Sandrocchia” facendola ingrassare di dieci chili per farle interpretare Carla, l’amante di Mastroianni in 8 ½ . Poi Fellini la voleva per il ruolo della Gradisca in Amarcord, ma non se ne fece niente: “Avevo lasciato un’altra volta il cinema, perché era nata mia figlia e avevo problemi di affidamento. Fellini mi voleva assolutamente, ma avevo garantito a mio marito e al Tribunale dei minori che non avrei più recitato. Mi chiamò a Cinecittà per fare un provino: fu emozionante, c’eravamo solo noi e la cinepresa. Lo guardai, gli tesi una mano, lui si tolse il basco e me lo porse: nacque così il personaggio con basco e boccoli neri. Mio marito però mi minacciò: ‘Se torni a fare cinema, non vedrai più i tuoi figli. Ti denuncio e dico che sei una sfasciafamiglie’. Rinunciai. Fu un dolore terribile, anche per Fellini: mi spedì un mazzo di cento rose rosse con una lettera straziante‘”.

Tra il 1967 e il 1968 incontra Ottavio De Lollis, studente di medicina più giovane di lei, appartenente a una importante e colta famiglia romano-abruzzese, dal quale ha due figli, Ciro e Azzurra.

Da Fellini a Craxi

Dopo l’avventura con Fellini, ecco Bettino Craxi. “Ci incontrammo e ballammo al Don Lisander. Primo approccio non memorabile. Quel ragazzone sudato non mi affascinava. Poi mi conquistò“, disse al Fatto, “non era un amante affettuoso, d’altronde un amante non deve essere affettuoso. Deve essere passionale, e lui lo era”.

Una passione amorosa che diventa anche politica: “Ho fatto molta campagna elettorale per Bettino, insieme con Giovanni Minoli e Gianni Minà. Mi chiedi se mi ha aiutato sul lavoro. Lui diceva che dovevo fare la giornalista e io invece ero un’attrice, anche se poi ho fatto anche l’autrice di programmi. Tu sai che le prime cose in televisione le ho fatte a Tam Tam, all’inizio degli anni Ottanta, e sai che non ti è arrivata nemmeno una telefonata. Ero una delle meno pagate. Poi ho lavorato alcuni anni con Minoli per Mixer e Piccoli fans, che fu un grande successo. Da quando è finito il socialismo non ho più votato”.

Quando uscì il film di Amelio Hammamet lei raccontò che non aveva voluto vederlo: “Lo voglio ricordare quand’era forte e si batteva per la sua idea di Italia. Non ho voluto vedere il suo declino. Voglio ricordarlo quando si batteva per Sigonella“.

“Ciro, Ciro!”: il celebre scherzo

Sandra Milo è entrata anche nella storia della tv italiana per un celebre scherzo ai suoi danni nel 1990, durante la trasmissione pomeridiana L’amore è una cosa meravigliosa. Una telefonata anonima in diretta informa che suo figlio Ciro è ricoverato in ospedale in gravi condizioni in seguito a un incidente stradale. La Milo non riesce a trattenere le lacrime e scappa dallo studio urlando “Ciro, Ciro“. La notizia dell’incidente risultò falsa, ma le sue urla divennero sui media un tormentone.

Sull’amore è sempre stata tranchant: “Non ho mai creduto nella fedeltà fisica“, confidò una volta, “di uomini ne ha amati tanti, anche allo stesso tempo: mica mangi solo pasta o pizza. Innamorata, lo sono stata solo di Fellini”. E sul suo rapporto con il grande regista confidò a Io Donna nel 2019: “Con lui ho un rapporto tuttora intenso. Dormo in un letto grande e sotto il cuscino tengo una sua foto. Quando allungo la mano lo sento e quando ho bisogno di conforto ci parlo”. Su che cosa penserebbe Fellini della società di oggi rispose: “Non l’amerebbe per la violenza e l’aggressività che ci circonda. Gli esseri umani sono molto infelici perché hanno perso il senso del dovere, dell’onore, del sacrificio e del rispetto. Questo malessere lo farebbe soffrire, ma avrebbe continuato a dirigere film sognanti per distrarci dalla crudezza della realtà”.

Dalle poesie al miracolo…

Una delle sue passioni laterali fu quella di scrivere poesie dove mescolava passione, amore, attaccamento alla terra, malinconia, tributi a illustri personalità (come Marina Ripa di Meana) e riflessioni su temi attuali. Prima edizione nel 1991, poi ripubblicate nel 2019 con il titolo Il corpo e l’anima.

Nel 1995 dichiarò a una tivù privata iraniana di avere una collezione di 60 mila mutandine: “Non le ho mai contate”, spiegò, “ma la confessione fu sufficiente al governo di Teheran per negarmi un visto turistico“.

Nella vita da romanzo della Milo c’è anche un miracolo, riconosciuto dalla Chiesa, e che è valso l’onore degli altari per suor Maria Pia Mastena, fondatrice dell’ordine delle suore del Santo Volto, beatificata nel 2005 da Benedetto XVI. Così lo raccontava lei: “Quando Azzurra è nata, io ero di sette mesi. Avevo avuto dei problemi durante la gravidanza. Partorisco una bambina piccolissima, meno di un chilo, ma muore. Cercano di rianimarla in tutti i modi, poi la avvolgono in una copertina per portarla nella cella mortuaria. C’è una suora, suor Costantina, che dice ai medici: ‘Datela a me!’. Prende quel fagottino e va verso la nursery. Prega la Madonna, perché siamo a maggio, e prega Madre Maria Pia Mastena. Dopo mezz’ora sente un vagito! Azzurra viene trasferita al Regina Elena e messa in incubatrice. Sono stata un anno a casa con lei, l’ho seguita tutti i giorni, tutte le ore. La vestivo con gli abitini delle bambole di Deborah, tanto era piccolina. Oggi è una bellissima donna e sono state le suore a segnalare il fatto, poi riconosciuto come il miracolo necessario per avviare il processo di beatificazione di suor Maria Pia Mastena, celebrata da papa Ratzinger il 13 novembre 2005 a San Pietro. Quel giorno eravamo lì'”.

L’11 maggio 2021 le è stato assegnato il premio David di Donatello alla carriera. E guardava al futuro senza nostalgia. Protagonista su Sky Uno nel viaggio televisivo di Quella brave ragazze accanto a Mara Maionchi e Marisa Laurito e tra i protagonisti della serie comedy di Prime Video, Gigolò per caso, regia di Eros Puglielli.

Una volta Malcom Pagani sul Fatto Quotidiano le chiese se non si stancasse mai. E lei rispose: “Ogni tanto penso che forse sì, morirò anch’io”. Un vezzo da diva per andare incontro alla fine anche se le vere dive non muoiono mai.

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