“Una delle ragioni per cui ho scritto questo libro, rendendomene conto solo dopo, è far capire al mondo – anche e soprattutto letterario – quanto ami fare lo sceneggiatore… la maggior parte degli scrittori ha un sistema creativo che non prevede la condivisione. Per fare gli sceneggiatori è fondamentale e bisogna avere la capacità di essere doppi”. Francesco Piccolo si racconta a tutto campo con ilLibraio.it in occasione dell’uscita de “La bella confusione”, che definisce “un libro sulla creatività e sulla creazione di un’opera. Racconta come nasce un film, come prende vita un romanzo e che cosa c’è accanto, intorno e dentro questo processo”. L’autore premio Strega con “Il desiderio di essere come tutti” ammette: “Alcuni miei romanzi sono stati molto amati e molto odiati allo stesso tempo. Questo credo sia un libro difficile da odiare”. Tanti e diversi i temi affrontati nell’intervista: si parla di Claudia Cardinale e Suso Cecchi d’Amico, di Fellini, Visconti e Flaiano (“ho amato Fellini alla follia, ho rispettato Visconti, ma il mio vero mito, quasi dell’inconscio, è sempre stato Flaiano”), di autofiction e politicamente corretto (“In un’opera creativa non esiste, non può e non deve esistere… per la società è sempre una via verso la morte”), ma anche di Berlusconi e di Elly Schlein (“rappresenta qualcosa di totalmente innovativo. Ha delle caratteristiche dirompenti, oltre alle idee politiche”). Quanto alla corsa alla direzione del Salone del Libro di Torino…

È il 1963. Federico Fellini e Luchino Visconti danno vita a due capolavori della storia del cinema mondiale come Otto e mezzo e Il Gattopardo. La loro rivalità, scoppiata e fomentata dalla critica, germoglia nel 1954 alla Mostra del Cinema di Venezia. E in mezzo, contesa come vuole la migliore tradizione, è una donna, Claudia Cardinale, “costretta” a fare la spola tra un set e l’altro, a cambiare epoca, tra l’Italia degli anni Sessanta e quella risorgimentale, location e colore dei capelli.

È dal racconto di quest’ultimo particolare, carpito in un’intervista prima di salire sul palco nazional popolare del Festival di Sanremo nel 2014 che scatta la scintilla de La bella confusione (Einaudi), l’ultima prova letteraria di Francesco Piccolo.

E così la visione del mondo e il metodo di lavoro dei due registi prima rivali, poi riconciliati, si intrecciano con la vita dello scrittore e sceneggiatore casertano. E nuovamente con quella di quell’epoca straordinaria in cui Pasolini, Flaiano, Bassani, Moravia, Tomasi di Lampedusa e ancora Giulietta Masina, Sandra Milo, Suso Cecchi d’Amico e Camilla Cederna, insieme a Marcello Mastroianni, Alain Delon e Burt Lancaster sono interpreti delle storie su pellicola e della Storia. In cui il valore di un film non passa (solo) dalla bellezza, ma da quanto può assurgere a bandiera ideologica, indipendentemente dalla volontà del suo autore.

Sia con Il desiderio di essere come tutti, vincitore del Premio Strega nel 2014, sia con L’animale che mi porto dentro (2018), editi da Einaudi, Piccolo parte da sé stesso per indagare le contraddizioni del nostro tempo, di una certa idea di politica e di maschio. Lo fa con uno stile personale, divertente e spietato al contempo.

Ma in quest’ultimo romanzo, più che all’autofiction che tanto deve all’impronta felliniana, si ispira al metodo di Visconti nel Gattopardo. Che è poi quello dello sceneggiatore. Lui che ha scritto per il cinema per Virzí, Moretti, Bellocchio e Soldini e per le serie tv tratte da L’amica geniale e La vita bugiarda degli adulti.

Così setaccia lettere, filmati, appunti, diari, interviste, pettegolezzi, testimonianze e ricostruisce aneddoti e fatalità che si intrecciano fortuitamente anche con la sua vita, generando “una bella, euforica confusione”. A cui decide di dare la forma del romanzo.  In questa intervista per ilLibraio.it ricostruisce il perché.

La bella confusione Francesco Piccolo

Sanremo 2014. Claudia Cardinale le racconta di come nei primi anni Sessanta dovette tingersi i capelli per passare dal set del Gattopardo a quello di Otto e mezzo. Un particolare che da allora la ossessiona.
“Nella vita di uno scrittore ci sono le casualità. E ci sono anche dei domino che sono totalmente personali e possono apparire illogici. Dovevo raccontare quella storia. Ma non sapevo che forma darle, se film, documentario o romanzo”.

Cosa c’entrano in tutto questo Natalia Ginzburg e La famiglia Manzoni?
La famiglia Manzoni mi ha fatto capire che la storia di Fellini e Visconti, di Claudia Cardinale e Sandra Milo, pur essendo lontana temporalmente da me, non necessariamente lo era dalla mia voce”.

Come?
“Bisognava mettere in piedi un meccanismo di presenza. Una presenza che rispetto agli altri miei libri è molto più lieve, sullo sfondo, però c’è. Non è solo una voce, ma rappresenta il motivo per cui ho scritto questo romanzo e per cui ho voluto renderlo esplicito. Ed è allora che ho provato l’euforia”.

L’euforia insita nel processo creativo.
Una bella confusione è un libro sulla creatività e sulla creazione di un’opera. Racconta come nasce un film, come prende vita un romanzo e che cosa c’è accanto, intorno e dentro questo processo”.

E cosa ha imparato?
“Tutto ciò che si vive intorno ad un’opera, la contamina o vi entra in maniera completa come nel caso di Otto e mezzo. Racconto tanti fatti che succedevano mentre venivano concepiti, girati e uscivano in sala due capolavori. La vita che accade intorno ha sempre un valore”.

Un valore non da poco nel contesto culturale degli anni Sessanta fortemente ideologizzato. Quanto ha inciso nell’opera di Visconti e Fellini?
“Non so quanto abbia inciso, e non so nemmeno se abbia inciso positivamente o negativamente”.

Lei ha parlato di “scempio ideologico”. Non lo è stato per loro?
“Si può dire che Fellini se ne è fregato della pressione del partito comunista, che ne abbia persino giovato. Alla fine, come si può affermare che Fellini sia stato castrato avendo in quegli anni realizzato La dolce vita e Otto e mezzo? Sembra impossibile. Forse una cosa confortante di quella pressione ideologica, della follia di quel periodo culturale, è che non lasciava indifferenti”.

In che senso?
“Qualsiasi cosa si facesse di importante coinvolgeva i governi, i partiti, la società, le persone, l’Italia tutta. Forse lo scempio di cui parlo ha determinato poco di negativo. Lo dico dal punto di vista dei grandi. Poi è probabile che abbia limitato altri autori o abbia deviato il corso di molte opere. Ma non nel caso di Fellini e Visconti”.

Come lo spiega?
“Grazie alla loro personalità eccezionale e alla loro ostinazione, al voler fare quel che più amavano. Per questo, nonostante siano stati assaliti, Fellini dal partito comunista e Visconti dal clima opposto, sono riusciti a rimanere saldi e a uscirne tutto sommato illesi”.

Lei riporta una stoccata di Suso Cecchi d’Amico agli scrittori prestati al cinema come Giorgio Bassani: “Sanno lavorare soltanto da soli sui libri”. Concorda?
“Penso che ci sia molto di vero. La maggior parte degli scrittori ha un sistema creativo che non prevede la condivisione. Per fare gli sceneggiatori è fondamentale e bisogna avere la capacità di essere doppi”.

Doppi?
“Sì, essere il personaggio della vita quotidiana che si trasforma in supereroe per poi tornare a essere individuo comune. C’è bisogno di cambiare pelle quando si scrive una sceneggiatura. Ed è un atto estremamente euforizzante e vitale. Eppure, capisco che molti autori si sentano a disagio”.

Non è così per lei.
“Credo che una delle ragioni per cui ho scritto questo libro, rendendomene conto solo dopo, sia proprio quella di far capire al mondo – anche e soprattutto letterario – quanto ami fare lo sceneggiatore”.

Può interessarti anche

Proprio come un altro gigante presente nel romanzo, Ennio Flaiano.
“Esatto, e fin dal titolo, che era quello che lui propose inizialmente a Fellini per Otto e mezzo”.

Eppure Melania Mazzucco nella sua recensione al libro scrive: “Piccolo sceglie Carrère come guida, ma credo non abbia finito di fare i conti col suo unico vero predecessore”.
“La Mazzucco coglie un punto nodale, quasi psicanalitico: io ho amato Fellini alla follia, ho rispettato Visconti, ma il mio vero mito, quasi dell’inconscio, è sempre stato Flaiano”.

Quindi li ha fatti i conti con lui?
“La voglia di raccontarlo anche nella sua enorme malinconia, di cui poco si è detto, ha a che fare con una sorta di involontaria identificazione. Perché poi, se uno fa lo scrittore e lo sceneggiatore, il suo punto di riferimento non può che essere Flaiano”.

Quanto c’è di Visconti e quanto di Fellini nel suo modo di lavorare a questo romanzo?
“Fellini è stato il primo regista a osare un film su sé stesso”.

Precorrendo l’autofiction, genere a lei caro.
“È così. Anche se questo libro è più vicino al metodo del Gattopardo”.

In che senso?
“Pur partendo dal testo di Tomasi di Lampedusa, Visconti finisce per fare un film autobiografico. E lo fa attraverso il principe Fabrizio Salina con il volto di Burt Lancaster, che dovette dimostrare di non essere solo un cowboy”.

Eppure nei suoi libri è sempre stato più felliniano…
“Se ho scritto sempre come se fossi un nipote di Otto e mezzo – e lo siamo in tanti, nel cinema e nella letteratura – in questo caso il metodo che adotto nelle sceneggiature, cioè quello di scrivere le storie di altri cercando di metterci qualcosa di mio, è diventato anche il metodo del libro”.

Un libro ricco di fonti e in cui aneddoti e fatalità si intrecciano tra loro e con la sua vita. Come è riuscito a sbrogliare una tale matassa narrativa e personale?
“In realtà non sono sicuro di aver capito come ho fatto. Sono stati anni di concentrazione quasi ipnotica, in cui razionalità e istinto si sono alternati. Però sono contento del risultato, anche se non mi sembra di esserne del tutto consapevole. Forse lo capirò col tempo”.

Qual è stata la parte più soddisfacente?
“Studiare. Il tempo che ho passato a leggere, guardare e analizzare qualsiasi cosa, dai film alle riviste scandalistiche dell’epoca. Ecco, quella è stata veramente una gioia euforica che mi è spiaciuto a un certo punto abbandonare”.

In una sua intervista a Repubblica ha dichiarato che come scrittore lei propende più per il vero che per il giusto. Cosa significa?
“Io preferisco raccontare la verità, piuttosto che le cose piacevoli o confortanti. Credo, e spero, di aver scritto un po’ di libri controversi che si fanno carico di questa istanza. Stavolta la verità è addirittura letterale. La bella confusione è come un documentario letterario: non c’è nulla che non sia vero”.

Proprio nulla?
“No, c’è dentro tutto ciò che ho letto, visto, che mi hanno raccontato e che fa parte della vita vera. Tuttavia, dalle reazioni che sto cominciando ad avere, devo ammettere di essere stato meno controverso”.

Ed è un male?
“Pur avendo affrontato la realtà storica e la verità, anche personale, in maniera diretta, mi sembra che il libro non abbia quelle contraddizioni che venivano colte nei miei precedenti. Alcuni miei romanzi sono stati molto amati e molto odiati allo stesso tempo. Questo credo sia un libro difficile da odiare”.

E le fa piacere?
“Sì, ma non è un compito che mi sono dato. È un risultato e me lo godo. Anche perché dubito di sottrarmi a scrivere cose controverse in futuro. È stata una pausa”.

Claudia Cardinale fin dalla copertina e poi Sandra Milo. Giulietta Masina e Suso Cecchi d’Amico. Al di là dei due giganti, Visconti e Fellini, sono le donne a tessere la tela, anche narrativa. Si ritrova in questa lettura?
“È una lettura figlia del presente e dell’ossessione che il presente ha sul femminile”.

Ossessione?
“Beh, è una costante di questo tempo. L’epica disegnata da queste donne è innegabilmente gigantesca. Sono personaggi importantissimi, dentro questo romanzo e nella vita che lo ha ispirato. In particolare, la figura di Suso si sposa con lo spirito di oggi”.

Come?
“È stato uno dei più grandi sceneggiatori mai avuti in Italia, un’anomalia totale, perché per lungo tempo è stata l’unica donna a fare questo mestiere. E la sua grandezza è stata finora poco sottolineata. Questo è un buon momento per farlo”.

E non ha niente a che vedere con il politicamente corretto?
“Il politicamente corretto per la società è sempre una via verso la morte”.

Drastico.
“Le dirò di più. In un’opera creativa il politicamente corretto non esiste, non può e non deve esistere. È ciò che fa morire per sempre un’opera d’ingegno. E non è qualcosa che sto inventando io. È la base di qualsiasi narrazione. I racconti si fanno per svelare la verità, non per cercare di rassicurare le persone”.

Lei ha lavorato recentemente con Paolo Giordano alla sceneggiatura di Siccità di Paolo Virzì insieme a Francesca Archibugi. Che idea si è fatto di quanto accaduto per la direzione del Salone del Libro di Torino?
“Ho un’idea molto semplice: non si fanno bandi per dei ruoli prestigiosi. Si scelgono le persone. Così come non si fanno primarie per i segretari di partito. Si sceglie collettivamente la persona migliore in quel momento. Penso che Giordano, come gli altri, sia stato vittima di un meccanismo che la politica ha innestato che è totalmente sbagliato, ovvero quello del bando”.

Ha citato le primarie. Cosa ne pensa di Elly Schlein alla guida del Pd? Michela Murgia l’ha definita “la donna giusta nel partito sbagliato”.
“Mi sento di dire che è stata la scelta assolutamente migliore. Io sono contro le primarie perché è un metodo divisivo. Tuttavia, questa elezione è la prova ulteriore che le persone, fuori dal partito, hanno voglia di cambiamento”.

Ed Elly Schlein lo rappresenta?
“Elly Schlein rappresenta qualcosa di totalmente innovativo. Ha delle caratteristiche dirompenti, oltre alle idee politiche. E tutto questo scardina quel meccanismo di maschilismo profondo che c’è in parte della sinistra e degli intellettuali. Un maschilismo molto più insidioso di quello evidente o ancestrale perché è travestito da non-maschilismo. La sua vittoria è stata liberatoria”.

La sentenza di assoluzione per Silvio Berlusconi per il processo Ruby ter ci ha catapultati indietro di dieci anni, proprio quando usciva il romanzo che le è valso lo Strega, Il desiderio di essere come tutti (Einaudi, 2013). Che riflessione ha fatto?
“Nessuna. I processi sono una cosa che non riguarda il giudizio politico o l’etica letteraria. Non è che non ho fatto riflessioni. Ma a me dei processi in quanto scrittore non importa. Le persone possono essere condannate o assolte. Essendo un grande amante della politica, mi faccio la mia idea. Ma non lego i miei giudizi agli esiti processuali”.

Adesso a cosa sta lavorando?
La storia di Elsa Morante con la regia di Francesca Archibugi è un progetto che è ormai in fase di montaggio e di cui ho curato la sceneggiatura. Andrà in onda la prossima stagione, così come l’ultimo capitolo de L’amica geniale”.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fotografia header: La bella confusione. L'anno di Fellini e Visconti Francesco Piccolo GettyEditorial 06/03/23

Libri consigliati