La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni dà voce ai partigiani romani che hanno dato origine a un’azione di guerra in via Rasella: uniti per un obiettivo comune, ma ognuno con una propria personalità. Tra storia e narrazione, “A Roma non ci sono le montagne” restituisce l’atmosfera di un’epoca in cui la libertà è messa in dubbio o proibita, e ogni certezza è negata dall’occupazione tedesca… – La recensione e la video-intervista per “LibChat”
“Colpire sempre. Non dare respiro” (p. 107): questa è la regola suprema che regola l’azione dei partigiani e soprattutto dei Gap (Gruppi di azione patriottica) centrali. In una Roma sconvolta dall’occupazione tedesca, l’imperativo per aiutare la Liberazione è agire, non solo restare a guardare. Lo sanno bene i protagonisti del nuovo libro di Ritanna Armeni, A Roma non ci sono le montagne (Ponte alle grazie): si tratta dei dodici antifascisti che hanno preso parte all’attentato di via Rasella, episodio divisivo della nostra storia, spesso taciuto dai libri.

La copertina del nuovo libro di Ritanna Armeni, “A Roma non ci sono le montagne”. Ricordiamo che, all’attentato di via Rasella del 23 marzo 1944, seguì, il giorno dopo, e senza preavviso, la rappresaglia tedesca, con l’eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui furono uccisi 335 prigionieri completamente estranei all’azione gappista
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Lo scopo dell’operazione è chiaro: dare origine a un’azione di guerra, “una battaglia come mai è stata combattuta nella città occupata dopo l’8 settembre” (p. 39). Per far questo è fondamentale un’unione di intenti, che effettivamente accomuna chi prende parte al piano. L’obiettivo è presto definito: sfruttando il fattore sorpresa, sterminare i soldati tedeschi che passeranno, come ogni giorno, in via Rasella per partecipare alla celebrazione del venticinquesimo anniversario della nascita dei fasci.
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Se questi sono fatti noti, soffermiamoci però sulla costruzione narrativa ideata da Ritanna Armeni. Il romanzo storico inizia in medias res: siamo letteralmente catapultati nella Roma del 23 marzo 1944, e ci avviciniamo con una sequenza molto cinematografica a via Rasella, accompagnando un finto spazzino, Sasà, che porta una bomba in un cassonetto. Sono le 13.20, e il tempo è fondamentale per il piano, ma anche per il romanzo: la prosa dedicata al piano del presente ticchetta inesorabilmente, portando noi lettori ad attendere insieme ai protagonisti il segnale convenuto.
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Se per gran parte del libro il presente è il tempo dell’attesa e la suspense è palpabile, il passato, segnalato dal corsivo, è invece la dimensione dell’azione, dove si concentrano la ricostruzione degli eventi e la delineazione dei personaggi attraverso i pensieri, i dialoghi e le azioni. Insomma, è tramite gli antefatti che Ritanna Armeni dà voce ai personaggi e descrive quelli che per i tedeschi sono dei “Banditen”, ovvero “giovani colti, borghesi che vanno nelle periferie, si fanno nascondere, si procurano armi. Poi agiscono di sorpresa” (p. 21).
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Benché sia chiara la coralità dell’azione, Ritanna Armeni tiene a delineare i singoli individui e a dar loro il giusto spazio: soprattutto a partire da queste analessi conosciamo i pensieri e i caratteri dei dieci uomini e delle due donne che hanno messo in gioco la vita per attuare l’attentato di via Rasella. A muoverli c’è l’odio verso le atrocità commesse ogni giorno dai nemici, ma anche il desiderio di agire e di portare il proprio contributo esemplare alla Resistenza, pur con le notevoli difficoltà legate all’agire in città, senza luoghi dove nascondersi:
A Roma non c’erano le montagne. Chi nel resto del Paese combatteva fascisti e nazisti si nascondeva sui monti e poteva contare sulla loro amicizia. Le grotte e gli anfratti lo proteggevano, i sentieri scoscesi e sassosi, i boschi riparavano dalla luce del sole e dal fuoco nemico. Persino i burroni, i dirupi, i precipizi erano alleati benevoli.
Qui era tutto diverso. Per nascondersi, si poteva contare solo sui portoni, sulle strade strette del centro, sui quartieri che in periferia si intrecciavano e si confondevano con le campagne, su qualche casa amica, sulla compassione delle chiese o dei conventi. Le truppe nazifasciste non si annunciavano, ma c’erano sempre, apparivano all’improvviso, sfilavano per le strade, perquisivano i quartieri, entravano nei portoni. Toglievano il respiro, assorbivano l’anima, finivano con la loro sola presenza. (p. 57)
In una quotidianità in cui i nazisti e i fascisti restringono progressivamente e arbitrariamente le libertà personali, la partecipazione attiva degli intellettuali non è una scelta, è una necessità.
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Questi giovani partigiani, perlopiù d’estrazione borghese e spesso studenti universitari, sentono l’urgenza di contribuire alla causa della Liberazione, consapevoli che tutto ha un costo. Oltre a mettere in gioco la propria vita e quella delle proprie famiglie, l’azione armata chiede di venire a patti con i propri valori, superando dubbi umanissimi (“Le atrocità che commettevano ogni giorno erano tante, ma era giusto rispondere con la violenza alla violenza?”, p. 86). E se si sottrae un’arma, bisogna poi portarla con sé, pronti a usarla, ben sapendo di rischiare la vita, se solo i soldati si accorgessero di una pistola o di un esplosivo detenuti illegalmente.
Questo vivere nel rischio costante restando leali ai propri compagni diventa presto – e sorprendentemente – la quotidianità: “Ogni giorno mettevano in gioco la vita e proprio per questo se ne sentivano pieni, e capivano meglio e fino in fondo i motivi della loro lotta” (p. 51). E in nome di questi ideali condivisi nascono collaborazioni, amicizie, amori, in attesa di una ritrovata libertà.
E allora, se l’azione di via Rasella è stata un’azione militare perfetta, come non ne è stata effettuata alcuna nell’Europa occupata, perché si tende a non ricordarla? Ritanna Armeni riflette sulla ricezione dei fatti di via Rasella e su come la memoria sia andata via via rarefacendosi. Ed è quest’assenza di targhe, lapidi o qualsiasi altro segno che ha portato l’autrice a voler continuare nella sua ricerca e nella scrittura di questo libro storicamente e narrativamente efficace, che rinnova l’imperativo di non dimenticare.
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