“Che cosa conosce una giovane di oggi del femminismo degli anni Settanta?”. Se lo chiede Ritanna Armeni, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Per strada è la felicità”, descrivendo un dialogo immaginario tra la sua protagonista – Rosa, una femminista che ha vissuto il Sessantotto – e Marta, una ragazza dei nostri tempi: “Vedo che in qualcosa sono d’accordo. Pensano entrambe che la comunicazione attraverso il computer o lo smartphone sia una forma diversa e più moderna di autocoscienza. Prima si faceva nelle case, in piccoli gruppi di amiche; oggi si pratica da una parte all’altra del pianeta. È così che si mettono in comune le esperienze, si confessano le molestie, si costruiscono e si mettono in atto le difese…” – La riflessione

Rosa, la protagonista del mio nuovo libro Per strada è la felicità, è una ragazza come tante, viene dalla provincia, ha una famiglia tradizionale, frequenta l’Università. Il suo mondo viene completamente messo in discussione dal movimento del Sessantotto e, poi, travolto dal femminismo.

Mentre scrivevo di lei, di me e di tante altre; mentre, grazie all’isolamento della pandemia, i ricordi acquistavano nuova nitidezza e riaffioravano particolari che avevo messo da parte, mi sono posta alcune domande: che cosa conosce una giovane che ha oggi l’età di Rosa del femminismo degli anni Settanta?

Sono passati più di cinquant’anni, quell’esperienza è ancora capace di parlare alle nuove generazioni? Quando ho concluso il libro mi sono accorta che non sapevo ancora rispondere.

Di una cosa però ero (e sono) sicura. Il movimento delle donne non è finito col “secolo breve”. Contrariamente ad altri cambiamenti e rivoluzioni non è tornato indietro e non ha negato sé stesso. È ancora vivo, si è esteso, si propone in forme nuove e anche in parti del pianeta che sembravano condannate alla cultura e al dominio maschile. È anche certo però – e non poteva essere altrimenti – che è cambiato, non è più lo stesso, non è quello che Rosa ha conosciuto e costruito.

L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” SUL PROFILO INSTAGRAM DE ILLIBRAIO.IT – Il 12 maggio alle 18 Ritanna Armeni dialoga con Teresa Ciabatti per parlare di Per strada è la felicità

Mi è capitato negli ultimi mesi (anche in questo favorita dall’isolamento) di immaginare una discussione fra Rosa e una donna più giovane. Anche lei, come la protagonista del mio libro, ha studiato, ha cominciato lavorare e tiene molto al suo futuro. Anche a lei non va bene il mondo costruito e regolato dagli uomini. Insomma una femminista giovane e moderna. Nelle mie fantasie l’ho chiamata Marta.

Tutto è cominciato – le ha raccontato Rosa – quando ci siamo accorte che gli uomini che dichiaravano di voler cambiare il mondo non contemplavano la liberazione della donna. La ritenevano implicita, in sostanza la ignoravano, e pensavano che non era il caso di affannarsi a costruirla perché sarebbe arrivata automaticamente. La parità e l’eguaglianza non erano già presenti nella lotta comune per la rivoluzione?

Abbiamo capito che era un inganno. Non solo la parità con gli uomini non c’era, ma ci accorgemmo che non era quello che desideravamo, noi non ambivamo ad essere come loro, volevamo essere noi stesse. La “differenza” divenne parola fondante e, in nome di questa, mettemmo sotto accusa l’intero sistema patriarcale. Proprio tutto, senza eccezioni. Dai fidanzati ai filosofi. “Sputiamo su Hegel” disse Carla Lonzi, la donna considerata la teorica del femminismo italiano, perché “l’umiliazione femminile aveva inizio proprio al centro del pensiero maschile, dai filosofi che avevano costruito i sistemi di coscienza e conoscenza che avevano dominato il mondo. Noi avevamo il compito di capovolgere il pensiero e di ricostruirlo con uno sguardo femminile”.

Marta la ascolta con attenzione, si diverte persino quando Rosa racconta le sue avventure, il dibattito appassionato di quegli anni, la rabbia, la fatica, gli scontri, la ribellione.

Lei è una giovane donna inquieta. Armata del suo smartphone apre decine di campi di battaglia contro un mondo che non le piace: inveisce, cerca di mantenere il punto, crea nuove alleanze. I suoi obiettivi sono tutti giusti, la sua rabbia sacrosanta. Il mondo è ancora degli uomini. E se qualcosa è cambiato, ancora molto resta da fare.

Racconta a Rosa che lei, che era fra le migliori alla facoltà di ingegneria, ha più difficoltà dei suoi colleghi al momento di cercare un lavoro. E poi è furibonda contro il linguaggio permeato di maschilismo, la violenza sottesa ai rapporti con l’altro sesso, le molestie, l’emarginazione dal potere. È mossa – pensa Rosa – da una potente e apprezzabile “indignazione” che si concentra di volta in volta su quel che non va nel mondo. Vuole raddrizzarlo, pretende che vengano ridotte le disparità, colmati i divari, corrette le forme più o meno evidenti di sessismo. Però alla “differenza” ci crede poco, preferisce parlare di “differenze”, che sono tante, si incrociano nel lavoro, nella vita, nei luoghi, nella condizione sociale. Il tuo femminismo – dice Marta a Rosa – è quello di una donna bianca, occidentale, colta. Ce ne sono altri, altrettanto importanti.

Rosa apprezza la concretezza della giovane donna ma non indulge a un atteggiamento condiscendente e materno. Se paragona l’indignazione della sua amica alla ribellione che ha fatto scendere in piazza le donne degli anni Settanta pensa che la prima è insufficiente, consente di vedere quel che non va ma non riesce a collegare, a costruire una risposta collettiva, vincente. “Fai una battaglia contro il sessismo di cui è permeato il linguaggio. Anche io detesto il maschilismo delle parole ma un vocabolario dominato dal maschile è solo il sintomo di un male più profondo da sradicare”, le dice.

La femminista degli anni Settanta guarda con soddisfazione al fatto che temi per anni ignorati dall’opinione pubblica, le molestie, le violenze, i femminicidi siano oggi presenti sui mass media. Le fa piacere che le diseguaglianze di retribuzione e di potere siano diventate argomenti di pubblico dominio. Ma teme, e lo dice a Marta, che le lotte per raggiungere la parità su singoli punti e in singoli campi senza un progetto collettivo possano essere inglobate nell’aridità del “politicamente corretto”. Oppure nel vittimismo femminile. Due paludi mefitiche nel quale prolifica il potere maschile.

E poi ha l’impressione che la sua giovane amica a volte sia sola. “Noi – le dice – eravamo tante, un movimento, ci conoscevamo, stavamo insieme e parlavamo tanto di noi e fra noi. Sono sufficienti i social a creare un clima di solidarietà, a far diventare l’indignazione un fatto politico, cioè motore di cambiamento? Insomma – ma in quei momenti Rosa mi confessa di sentirsi proprio vecchia – è possibile pensare di cambiare singoli punti, senza un progetto per cambiare il mondo, per rovesciare interamente il sistema patriarcale?”.

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Le vedo discutere con passione e accanimento. A Marta non piace la differenza che è diventata separazione e che, a un certo punto, ha ostacolato la visione dei cambiamenti. Ideologica e fine a sé stessa, dice. Rosa nota con compiacimento che nei grandi movimenti femminili che nel pianeta emergono e si sommergono come un fiume carsico oggi non ci sono leader, come non ce ne erano negli anni Settanta. Le donne non si adeguano al modello maschile. Neppure oggi accettano capi, padri fondatori, autorità irremovibili. Un legame fra il vecchio e il nuovo quindi c’è: “La differenza è servita, ti pare?”.

Vedo che in qualcosa Rosa e Marta sono d’accordo. Pensano entrambe che la comunicazione attraverso il computer o lo smartphone sia una forma diversa e più moderna di autocoscienza. Negli anni Settanta si faceva nelle case, in piccoli gruppi di amiche; oggi si pratica da una parte all’altra del pianeta. È così che si mettono in comune le esperienze, si confessano le molestie, si costruiscono e si mettono in atto le difese .

“Che cosa è stato il Metoo – spiega Marta – se non un momento di autocoscienza planetaria? Oggi è possibile costruire una rete femminista ben più potente di quella che potevate realizzare con epici viaggi in autostop“.

Rosa annuisce. È vero, lo sguardo femminista avvolge il mondo e non importa se non è proprio come lo aveva immaginato. Guarda Marta china sul suo smartphone che scorre le prime pagine dei quotidiani: “Sai quante sono le firme femminili in prima oggi sul Corriere? Una su nove. Adesso guardo Repubblica, sono due, ma le donne si occupano di cronaca, non scrivono editoriali”. Rosa si indigna. Fra loro uno sguardo di complicità.

“Il femminismo ha inizio quando la donna cerca la risonanza di sé in un’altra donna perché capisce che il suo unico modo di ritrovare sé stessa è nella sua specie”. Lo ha detto Carla Lonzi oltre cinquant’anni fa. È ancora vero.

Per strada è la felicità, Ritanna Armeni

L’AUTRICE – Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice, ha lavorato al Manifesto, Il Mondo, Rinascita, l’Unità. È stata portavoce di Fausto Bertinotti e ha condotto la trasmissione Otto e mezzo con Giuliano Ferrara. Attualmente scrive per l’Osservatore romano, Il Foglio, Rocca.

Qui gli articoli che ha scritto per ilLibraio.it.

Ha pubblicato, tra gli altri, Di questo amore non si deve sapere, Una donna può tutto e Mara. Una donna del Novecento, tutti editi da Ponte alle Grazie.

Il suo nuovo libro è Per strada è la felicità (Ponte alle Grazie), che racconta di tre anni e di tre rivoluzioni per diventare donna, ma che è anche una storia d’amore e molto altro ancora. Protagonista è infatti Rosa, una brava ragazza di provincia che arriva a Roma a 20 anni con l’obiettivo di laurearsi e trovare un lavoro. Ma siamo alla vigilia del Sessantotto e il fermento della rivolta serpeggia tra i viali dell’università, gli striscioni delle piazze, i cancelli delle fabbriche.

Quando il movimento studentesco esplode tutto cambia, anche Rosa. In quei mesi concitati, in cui si occupano le facoltà e si scatena la violenza di manganelli e lacrimogeni, Rosa si trasforma in una giovane donna, va a vivere in una “Comune“, prende in mano la sua vita e ne paga pegno. Orientandosi tra amore e amicizie, tra i grandi classici del marxismo e i libri e le lettere di un’altra grande Rosa, Rosa Luxemburg, coglie a piene mani l’occasione di diventare sé stessa.

Il vento della rivoluzione non risparmia nessuno e Rosa e le sue compagne lo cavalcano, in un percorso di emancipazione coraggioso e creativo che le porterà a far sentire – forte e felice – la loro voce. E a lanciare il loro assalto al cielo.

Abbiamo parlato di...