“Adorate creature” segna il brillante esordio narrativo dell’autrice inglese Amy Twigg. Un romanzo audace, a tratti disturbante, che esplora temi come l’identità, il potere, l’ossessione amorosa e la rabbia femminile, e che invita a riflettere sull’idolatria, sul desiderio e sui rischi della manipolazione

Vincitore del BPA Pitch Prize e inserito dall’Observer tra i romanzi più attesi, Adorate creature segna il brillante esordio narrativo dell’autrice inglese Amy Twigg. Un romanzo audace, a tratti disturbante, che esplora con profondità e verve narrativa temi come l’identità, il potere, l’ossessione amorosa e la rabbia femminile.

Pubblicato in Italia da Neri Pozza con la traduzione di Claudia Durastanti, Adorate creature ha per protagonista Iris, trentaduenne ancora alla deriva, incerta su quale direzione dare alla propria vita. Dopo la fine della sua relazione con Nathan – una storia in cui ha cercato invano di calarsi nel ruolo della compagna perfetta – decide di tornare nella casa in cui è cresciuta, nel Kent, una villetta che “cade a pezzi”. Ma lì non trova conforto, tutt’altro: la madre, segnata da anni di nevrosi, è ancora prigioniera del dolore per un matrimonio pieno di ombre e per la perdita del marito, avvenuta vent’anni prima in circostanze poco chiare.

Copertina adorate creature

C’era un senso di sconfitta rispetto a tutto ciò“, confessa Iris, terrorizzata dall’idea di rimanere intrappolata nella sua vecchia stanza, ma allo stesso tempo incapace di immaginare un futuro possibile per sé. Sa però con chiarezza cosa non desidera: una vita ordinaria, fatta di carriera, matrimonio e figli. “Volevo qualcosa di diverso, qualcosa di più”. Ed è così che nella sua vita entra Hazel, una donna enigmatica e sfuggente, in cui “ogni cosa colpisce per il suo eccesso”. È proprio Hazel a condurla a Breach House, “un posto per donne che hanno bisogno di un cambiamento”: una sorta di comune femminile nascosta nei boschi, lontana da tutto.

Qui Iris incontra un gruppo di donne che hanno deciso di allontanarsi dalle costrizioni e dalle aspettative che la società ha sempre nutrito nei loro confronti. Coltivano la terra e vivono in modo autosufficiente, praticando il sostegno e la solidarietà reciproca. A guidarle è Blythe, leader carismatica di Breach House, che incute in tutte le altre timore e devozione. Ha mani grandi e ruvide che “sembrano zampe” ed è “così grande” da mettere soggezione con la sua sola presenza.

Blythe chiarisce subito alla nuova arrivata che vivere a Breach House non è per tutte: bisogna essere disposte al sacrificio, alla solitudine, a versare letteralmente il proprio sangue nei campi. Ma Iris non si lascia spaventare. È così ossessionata da Hazel, dal desiderio di somigliarle, di poter vivere in simbiosi con lei, da dimostrarsi fin da subito disposta ad affrontare le prove più insidiose.

Col passare dei giorni, Iris viene a conoscenza delle storie delle altre abitanti della comune, e sono tutte storie di violenza perpetuata dagli uomini: c’è chi è stata violentata dal padre, chi picchiata dal marito, chi era semplicemente stanca di sentirsi dire come comportarsi e vestirsi, o di guadagnare meno sul lavoro. Tutte, in qualche maniera, sono state degradate, sminuite o umiliate dagli uomini, e ora sono lì per cercare qualcosa di diverso. L’unica regola a Breach House, sostiene Blythe, è lasciare gli uomini fuori: “Non possiamo permettere che il mondo esterno entri qui dentro. Le donne là fuori sono trattate come cagne, come se appartenessimo a una specie diversa, pericolosa”.

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Iris vede nella vita a Breach House l’opportunità di cambiare, di diventare qualcun altro. La ricerca di una propria identità la porta a disperdere sé stessa nel gruppo, a fondersi in un “noi” che sembra offrirle una possibilità di riconoscimento. E non importa che la gente del paese guardi alle donne della comune con un misto di ostilità e inconfessabile desiderio, insultandole, definendole pazze, streghe, lesbiche: finalmente Iris sente di appartenere a qualcosa. È felice di ingrassare, di mettere su muscoli, di avere la pelle secca e le unghie rovinate, di tagliare i capelli cortissimi e di smettere di depilarsi: la sua trasformazione fisica è un inno a un ritrovato contatto con la terra, alla libertà dai dettami del patriarcato.

Ma la vita a Breach House, poco alla volta, mostra le sue ombre. La violenza s’insinua lentamente nella quotidianità della comune. All’inizio è una forza dionisiaca che si manifesta nei rituali del cibo e del gioco, poi prende il sopravvento quando alcune delle donne contravvengono alla regola dell’assoluto isolamento e il loro territorio viene profanato.

Ma è davvero possibile vivere isolati dal mondo esterno, tenere lontano il male? Le dinamiche di potere non finiranno comunque per replicarsi in ogni tipo di organizzazione comunitaria, per quanto piccola e utopica?

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E dove va a finire la rabbia delle donne, così a lungo trattenuta e messa a tacere? Fino a che punto la rete della solidarietà può reggere, senza spezzarsi davanti alla minaccia e alla paura?

Amy Twigg è abile nel tratteggiare l’escalation della violenza: l’inquietudine attraversa ogni pagina del romanzo, gli indizi di un pericolo crescente si moltiplicano, e così l’isolamento di Breach House si trasforma – quasi senza che il lettore se ne accorga – in una vera e propria forma di segregazione.

“Non sapevo cosa fosse peggio”, afferma Iris, “la devastazione in sé o la velocità con la quale si era scatenata, la facilità con la quale eravamo diventate delle bestie”. A quel punto, la caccia al capro espiatorio diventa inevitabile.

Adorate creature – con uno stile crudo e viscerale, e immagini spesso perturbanti o brutali legate al corpo e ai suoi umori – non ha paura di spingersi fino in fondo nell’esplorazione delle dinamiche di potere e della rabbia femminile, a lungo silenziata in una società che nega alle donne la libertà di essere sé stesse, senza il peso del giudizio.

Il romanzo ci invita a riflettere sull’idolatria, sul desiderio e sui rischi della manipolazione, attraverso una storia profondamente contemporanea che però attinge a una dimensione arcaica, in cui la ritualità diventa una forza simbolica e trasformativa.

Con il suo esordio, Amy Twigg racconta cosa significa convivere con la colpa e con la nostalgia di qualcosa – o qualcuno – che ci ha fatto del male. Perché Iris ritrova sé stessa proprio nella rinuncia a un amore totalizzante e simbiotico, ricordandoci che scegliere la propria salvezza può essere, a volte, l’atto più doloroso di tutti.

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Fotografia header: Amy Twigg, foto di Chlow Dungate

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