Il nome del francese Alexandre Vialatte (1901 – 1971), noto soprattutto per l’importante attività da germanista, in Italia è praticamente sconosciuto. Pubblicato per la prima volta nel 1928, arriva solo ora in Italia “Battling il tenebroso”. Pierre Jourde ha parlato di un “Werther francese tardo” – L’approfondimento
Il nome di Alexandre Vialatte in Italia è praticamente sconosciuto, della sua enorme produzione nulla è mai stato tradotto fino a questo Battling il tenebroso, appena pubblicato da Prehistorica Editore, con la traduzione di René Corona e la postfazione di Pierre Jourde.
Battling è il primo romanzo di Vialatte, uscito in Francia, per Gallimard, nel 1928 e che inaugura una lunga e prolifica carriera intellettuale da scrittore e giornalista, pubblicata per lo più postuma (solo quattro sono i libri editi in vita), e da traduttore e mediatore culturale: il nome di Vialatte, infatti, è noto soprattutto per l’importante attività da germanista (che si ritrova pure nei suoi romanzi): dal 1922, grazie all’aiuto di Jean Paulhan, è redattore della rivista Revue rhénane, pubblicata a Magonza con lo scopo di promuovere gli scambi franco-tedeschi, è lo scopritore francese di Kafka, legge, appena uscito, Il castello e inizia immediatamente a tradurlo (e continua con Nietzsche, Goethe, Brecht, Thomas Mann, Hoffmannsthal, Gottfried Benn).
E l’atmosfera di una Germania e di una cultura tedesca che si sente sempre vicina è palpabile nelle opere narrative di Vialatte a partire proprio da Battling il tenebroso (non a caso per questa storia Pierre Jourde ha parlato di un “Werther francese tardo”), dove si trovano elementi che richiamano certo espressionismo tedesco (in particolare quello cinematografico, come l’uso drammatico della luce che per alcuni versi anticipa un grande libro di poco successivo come La condizione umana di Malraux), influssi variamente provenienti dalle sperimentazioni artistiche della Repubblica di Weimar degli anni Venti (spesso sottoposte a satira e parodia), echi nicciani, situazioni che fanno tornare alla mente il Tonio Kröger di Mann e così via.
Quella di Battling, come molte altre raccontate da Vialatte, è sostanzialmente una storia d’adolescenza, una rievocazione degli anni di scuola, narrati senza nostalgia o pietismo, ma filtrati, straniati, gettati sotto l’alone nero della morte e del vuoto.
Il primo (e più grande) effetto straniante viene proprio dal titolo: Battling, infatti, non fa che la sua comparsa in scena molto tardi e si fa quasi fatica a identificarlo come il protagonista di una storia, raccontata (ma sarebbe meglio dire rievocata come si rievocano i fantasmi di un lontano passato) da un anonimo compagno di scuola.
Una storia che si presenta come un racconto gotico di dannazione e di mistero (Battling è il tenebroso), ma che è in realtà la vicenda di un disagio e di un ribellismo (e di un disgusto) tutto adolescenziale (“gli scarti di un’età inutile”), ambientato in un’anonima provincia francese (l’Alvernia), senza qualità, senza distinzioni particolari e che pertanto si configura come luogo periferico in sé, laterale, dove nulla accade (e il nulla è uno dei grandi temi di questo romanzo, strettamente connesso a quello della morte), se non i vuoti pettegolezzi di provincia e le classiche situazioni che quegli ambienti hanno consegnato alla letteratura: gli uomini “senza fantasia”, l’abitudine che si fa “una necessità”, donne-bovary, anonimi insegnati, presidi bigotti che si scandalizzano per i disegni irriverenti dei ragazzi.
Può interessarti anche
A questo inventario per certi versi volutamente trito fa da contraltare la vena ironica di Vialatte che crea situazioni fra il grottesco e il paradossale (la giovane artista Erna Schnorr, arrivata dalla Germania in questo anonimo posto di provincia si fa costruire una lapide perché è convinta, senza motivo apparente, di morire) e un esposto gusto per la satira.
Al centro della narrazione sta proprio il personaggio di Erna Schnorr e il motivo amoroso filtrato e per certi versi instupidito e degradato dalla coscienza adolescenziale dei personaggi: “guardò verso la finestra di Erna; in quell’ombra ne immaginò la forma bianca, e arrossì; avrebbe voluto picchiarla, umiliarla; si sentiva sempre brutto, stupido e maldestro, e non osava pensare alle donne se non con quella timidezza cattiva della gente che ha paura di essere presa in giro”.
Le stesse relazioni che i giovani intrecciano fra di loro sembrano essere determinate da questa opzione di contrasto con la realtà provinciale (che è tuttavia una realtà piuttosto di grigiore metafisico), in particolare quelle fra Battling e Manuel attraverso una situazione, direbbe René Girard, di desiderio triangolare, il cui unico naturale esito sembra la mancata formazione di questi personaggi e in particolare di Battling: le tenebre che avvolgono Battling nel titolo del romanzo sono quelle, appunto, che spezzano la crescita del personaggio e lo confinano nell’impossibilità di uscire dal disgusto che caratterizza la sua esperienza adolescenziale.