Definire “Almarina” di Valeria Parrella è una questione complessa: è un romanzo politico e d’amore, dunque tanto collettivo quanto intimo, e negli anni in cui il ragionamento sulla Letteratura, sulla letterarietà e sul ruolo della Letteratura vacilla, la scrittrice lo declina a favore di tutti: di chi i libri li scrive, di chi li pubblica, di chi soprattutto li legge…

“Nella vita dei bambini sono le minuzie che contano”.
(Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Paolo Spriano, Einaudi, 2014)

In tre dei romanzi di Valeria Parrella (nella foto di Leonardo Cendamo, ndr) Lo spazio bianco, Tempo di imparare e l’ultimo Almarina – ci sono un Prologo e un Epilogo. 

Nei Prologhi prendono la parola donne che insegnano, in senso lato, e stanno a loro volta imparando qualcosa di nuovo; sono alle prese con un intimo antefatto che annuncia la scena.

valeria parrella Almarina

Maria de Lo spazio bianco (Einaudi, 2008) affronta la morte assieme alla nascita, l’”io” di Tempo di imparare (Einaudi, 2013) cerca di capire come gestire il binomio con il tu che si scompone, Elisabetta di Almarina (Einaudi, 2019) fronteggia ogni giorno un dentro e un fuori che si specchiano. Le relazioni primarie descritte in tutti questi romanzi sono a due: un genitore e un figlio – non importa se consanguinei – si trovano e l’amore che ne deriva è totale e intimo.

Elisabetta, “vado in giro con il passaporto invece che con la carta di identità, perché sul passaporto non c’è scritto lo stato civile” e Almarina, “un campo dissodato, d’inverno” si conoscono a Nisida, il carcere minorile di Napoli. Una è la cinquantenne insegnante di matematica del penitenziario, l’altra è una ragazza romena che sta scontando una pena, entrambe hanno un passato oneroso. 

Hanno la possibilità di incontrarsi dove è più impensabile che accada: dentro, infatti, entrano in contatto, in un modo che pare del tutto casuale, ma trasparente rispetto alle loro intenzioni: Elisabetta cerca una breccia, Almarina ha bisogno di qualcuno a cui chiedere e l’innamoramento scintilla inevitabile.

Le solitudini di Elisabetta e Almarina sono compiute: l’una è vedova, non ha figli, l’altra non ha mai avuto alternative, una volta separatasi dal fratello; se, però, il matrimonio di Elisabetta è descritto attraverso contrappunti della memoria, concreti e sentimentali, o la figura del comandante si scontorna viva attraverso il desiderio, la relazione con l’altro per Almarina è difficile e abitudinaria rispetto alla violenza.

Nisida e Napoli, ora sullo sfondo ora sul proscenio, sono i luoghi dove la storia si sviluppa e le mura entro cui l’amore può nascere, dove Elisabetta Maiorano afferma ogni giorno se stessa: a partire dal nome e cognome, dalla strada per giungere al carcere, dalle sbarre dei cancelli che la riconoscerebbero ovunque. Sono anche gli spazi che, rispettivamente, aprono e chiudono le possibilità: il mondo alla rovescia di un carcere minorile è proprio il luogo oltre l’ingresso che guarda al futuro dei ragazzi che lo abitano. Napoli, lo Stato, li ha già traditi, ma dentro ci sono occasioni di riscatto come porticine sul domani: tornare indietro, senza riappacificazione, o andare avanti, assaporando la libertà.

“Dentro: questo posto è meraviglioso – e fuori ci sta la città che ti costringe al tutto o al nulla […] Fuori vai mendico nel mondo […] – dentro: questo posto è meraviglioso, è tutto quello che i nostri ragazzi non hanno mai avuto […]”.

Nisida e Napoli incarnano lo scheletro della comunità e i muscoli che la sorreggono: la città è il passato dei ragazzi che vivono a Nisida, ma per alcuni sarà anche il loro futuro; Nisida, di contro, è un’isola temporanea che potrebbe aprire o meno a un cambiamento. 

Tale dualità dei luoghi che esiste in ogni pagina del romanzo serve per inquadrarne il contesto: la comunità fallisce e salva allo stesso modo, la società fallisce e migliora spesso nelle medesime persone e tanto Nisida quanto Napoli diventano dunque esemplari. Il luogo è in generale un punto focale del racconto: anche quello più sfumato ed emotivo in cui Elisabetta e Almarina si incontrano esiste, ma ha i contorni sfumati, è un luogo senza coordinate nette.

Gli incastri del romanzo – dentro e fuori, passato e presente, fisico ed emotivo – finiscono per registrare ogni movimento e ogni azione e ci conducono con naturalezza attraverso la narrazione.

Definire Almarina è finalmente una questione complessa: è un romanzo politico e d’amore, dunque tanto collettivo quanto intimo, e negli anni in cui il ragionamento sulla Letteratura, sulla letterarietà e sul ruolo della Letteratura vacilla, Valeria Parrella lo declina a favore di tutti: di chi i libri li scrive, di chi li pubblica, di chi soprattutto li legge. 

La complessità di Almarina ha a che fare con l’intesa di noi lettori fra il dentro e il fuori che cogliamo seguendo l’andamento del racconto: come Elisabetta a Nisida, noi entriamo nel romanzo senza troppo voltarci indietro, senza ragionamenti presupposti, ma con il carico inevitabile lasciato fuori. Il dentro è un posto formato dalla densità di una narrazione stretta alla semplicità della relazione fra Elisabetta e Almarina: “Io mi sono legata ad Almarina così, mentre guardavamo il mare, e le ho raccontato che mio marito era un magnifico nuotatore”.

Negli Epiloghi dei tre romanzi di Valeria Parrella citati in apertura, le protagoniste vivono un presente nuovo, in cui la dicotomia annunciata si scioglie. Maria lascia finalmente uno spazio bianco per continuare, l’”io” di Tempo di imparare si affida a una nuova distanza, Elisabetta trova in una stanza un’occasione di rinascita. La risoluzione è obbligata: la vita scorre e in virtù di questa bisogna operare – noi con loro – una scelta.

 

 

Fotografia header: Valeria Parrella - foto di Leonardo Cendamo

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