“Ricordo le mie notti insonni, le sigarette fumate in balcone guardando luci lontane, sparizioni strategiche e ritorni con i fuochi d’artificio, scatti di gelosia violenti e ingiustificati che mi rendevano la donna più felice del mondo”. In occasione dell’uscita del romanzo “Volevo essere Madame Bovary”, su ilLibraio.it Anilda Ibrahimi riflette sull’attrazione che proviamo nei confronti delle relazioni tormentate: “Oggi penso che mi sarei risparmiata volentieri quelle inutili sofferenze, se avessi capito che la mia eroina ero io e l’eroe l’uomo che m’avrebbe vista come tale, e non come una debole principessa che aspettava di essere salvata”

Nella mia infanzia non vi erano state le principesse Disney che vengono salvate, quindi non sono stata plagiata dalla narrazione che trovare l’amore è l’unico scopo per una donna e la bellezza è il mezzo per conquistarlo.

In ogni caso, io le favole le ho conosciute da adulta, quando potevo capire che il principe che arriva alla fine non è in realtà l’eroe.

Il desiderio d’amore è nato sotto forma del tormento, nella sofferenza vedevo il sublimarsi del sentimento. Forse bisogna avere una certa inclinazione al dramma, ed io la avevo.

Ho scoperto che, indipendentemente dalla mia educazione sentimentale e del luogo geografico dove sono nata, esistono molte donne simili a me, e questo per escludere i fattori più ovvi quando si cerca una spiegazione.

M’innamorai di Georges Duroy, ero stata tutte le sue amanti e per un certo periodo ricordo d’esser stata addirittura Zinaida. Ero convinta che il vero amore, quello che non avrei mai dimenticato, mi avrebbe uccisa, metaforicamente parlando.

Perdevo la testa per uomini più grandi di me, dovevano salvarmi da qualche cosa, anche se non sapevo bene cosa, non correvo mai nessun pericolo.

Volevo sentirmi protetta e nel appartenergli avvertivo la protezione, dovevano esercitare un potere, non soltanto su di me, ma anche sugli altri.

Questi uomini, li accomunava la forza ed autorevolezza, il loro fascino sedeva in grembo alla certezza che non avrebbero salvato né me né nessuna donna, ma ci avrebbero trascinate alla scoperta d’un sentimento dal quale non vi sarebbe stato ritorno.

Erano dispotici, intensi, freddi. Vivevo nell’attesa, dell’amore ricordo solo quello, un eterno attendere. Non ho nessuna memoria di momenti sereni, un gelato in un chiosco, due chiacchiere sulle nostre letture, una passeggiata al parco, un asciugamano steso sulla sabbia.

Ricordo solo le mie notti insonni, le sigarette fumate in balcone guardando luci lontane, sparizioni strategiche e ritorni con i fuochi d’artificio, scatti di gelosia violenti e ingiustificati che mi rendevano la donna più felice del mondo.

E in quel tempo ho sempre pensato a quanto io fossi fortunata, guardavo le altre ragazze normali e le compativo, mi chiedevo, ma l’apatia delle giornate tutte uguali accanto ai loro amati, non le uccide? Cosa sono quei bravi e noiosi ragazzi nei confronti dei affascinanti e seducenti uomini, seppur narcisisti? L’ago della bilancia andava sempre dall’altra parte, ai sogni tranquilli preferivo le strette allo stomaco.

Ero metodica e abbastanza scontata, capivo se un uomo potesse essere quello giusto solo in base del mio malessere, e così mi ritrovai a scartare “i giusti”, quelli che alla mia vita probabilmente avrebbero aggiunto invece di togliere.

Mi sono domandata a lungo, se questa forma d’amore m’attraeva perché mi faceva sentire speciale, sarà successo forse perché nessuno mi aveva davvero fatta sentire tanto preziosa e quindi l’amore era diventato soltanto un mezzo?

Ho valutato anche l’altra risposta, la felicità acquista consistenza solo nel passato, si annida nei ricordi e di solito nessuno ricorda i momenti tranquilli con quei bravi fidanzati che ci aspettano a casa con la tavola apparecchiata.

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Alla fine mi sono confrontata con altre donne che come me hanno sperimentato questa forma di amore dolorosa ed intensa, desideravano essere predate da uomini che le avrebbero salvate secondo loro dalla monotonia di un amore facile. Bramavano quel tipo di relazione in cui si sentivano al tempo stesso dominate e dominanti, perché quegli uomini con la loro forza e autorevolezza, quegli uomini che volevano salvarle, non lo facevano forse perché pazzi d’amore e loro meritavano questo amore totalizzante?

Oggi, sorrido e penso a quanto io sia stata ingenua, non che ora io mi senta una maestra di vita per dare consigli alle altre donne, non lo faccio nemmeno nei miei romanzi, io narro storie e non stabilisco cosa è giusto e cosa sbagliato.

Penso solo che mi sarei risparmiata volentieri quelle inutili sofferenze, se avessi capito che la mia eroina ero io e l’eroe l’uomo che m’avrebbe vista come tale, e non come una debole principessa che aspettava di essere salvata. Qualche volta invece, accade che prima di andare a dormire penso a quel fidanzato che mi aveva tanto tormentata e mi manca da morire, di lui non ricordo nemmeno il viso, ma lo struggimento che provavo sì.

anilda ibrahimi volevo essere madame bovary

IL LIBRO E L’AUTRICE – Anilda Ibrahimi è nata a Valona. Nel 1994 ha lasciato l’Albania, trasferendosi prima in Svizzera e poi, dal 1997, in Italia. Il suo primo romanzo, Rosso come una sposa, è uscito presso Einaudi nel 2008 e ha vinto i premi Edoardo Kihlgren – Città di Milano, Corrado Alvaro, Città di Penne, Giuseppe Antonio Arena.

Volevo essere Madame Bovary (Einaudi) è la storia di un’educazione sentimentale che vuole sdoganare alcuni stereotipi sulle figure femminili. Racconta di Hera, nata in un Paese del socialismo reale dove per la donna bellezza è una colpa, soprattutto per una ragazza ambiziosa come lei, che da piccola divorava i romanzi di Lev Tolstoj e Honoré de Balzac.

A queste eroine si lega la vicenda della protagonista, affascinata dalla loro antitesi interiore e sociale. Sono donne che se commettono tradimento fanno una brutta fine e vivono in bilico tra il ruolo di mogli e madri e i propri desideri, lo stesso limbo in cui vive Hera. Sembra esserne fuggita quando arriva a Roma, ma sente ancora l’eco della lingua madre e a volte ritorna a essere quella ragazzina che cercava il grande amore nel dramma e negli uomini autoritari. Ma appartenere a qualcuno, per quanto crei una certa sicurezza, può anche diventare una gabbia da cui si vuole fuggire.

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