“Le mie eroine erano dalla parte sbagliata e dovevamo leggerle proprio per questo, per condannarle”. Anna Karenina, Pelageja Vlasova, ma soprattutto Emma Bovary. Anilda Ibrahimi, che nel 1994 ha lasciato l’Albania e che da tempo vive in Italia (e scrive nella nostra lingua), torna in libreria con “Volevo essere Madame Bovary”, e su ilLibraio.it racconta le eroine della letteratura di cui ha amato il carattere e il coraggio. “Non avrei potuto mai essere una Karenina…”

Sono stata una grande lettrice e lo ripeto così spesso da sembrare quasi un vanto. Negli anni in cui sono nata, ma soprattutto nel luogo, era normale passare il tempo libero leggendo. M’immedesimavo talmente tanto nelle vite delle mie eroine che ad un certo punto sembravano le mie. Il personaggio preferito della mia insegnante di lettere era La madre ossia Pelageja Vlasova di Maksim Gor’kij, credo che lo fosse un po’ di tutti. Mi commuoveva la scena della sua morte, mentre invocava il suo appello per i lavoratori.  Ma tutto qui. Io, non volevo essere lei e questo non riguardava la brutta fine che aveva fatto. Anche le eroine che amavo io finivano male, una fine tragica, ma era diversa la loro. Morivano per amore. Pelageja invece moriva per gli ideali. 

L’analisi dei personaggi era stata la prima cosa che ci avevano insegnato a fare, forse perché era necessario chiarire sin da subito chi fosse dalla parte giusta e chi da quella sbagliata. Ad esempio le mie eroine erano dalla parte sbagliata e dovevamo leggerle proprio per questo, per condannarle. Certo, c’erano delle attenuanti, tutto sommato non era colpa loro ma di quelle società sbagliate che rendevano le donne vittime. Queste povere donne non riuscivano a trovare ideali più grandi come Vlasova, che grazie al figlio operaio socialista subiva un mutamento e diventava una rivoluzionaria. 

Non voglio prendere meriti che non ho, non ero poi così intelligente da andare oltre e dire che io avevo capito tutto, dietro c’era l’ideologia del sistema e cosi avevo deciso di sfidarlo amando le non eroine. Non ero una dissidente del regime, ma solo una ragazza frivola e vanitosa. Degli ideali in quel momento non m’importava, non ancora, volevo essere una femmina e Pelageja era solo una contadina russa avvilita e percossa dal marito alcolizzato. Non era difficile immaginarla fisicamente, Gork’ij era stato chiaro nelle sue descrizioni. Una donna molto lontana da me. 

All’inizio, volevo essere una cortigiana. In Splendore e miserie delle cortigiane tutti parlavano dell’ascesa del capitalismo e dell’immoralità sociale in cui trionfavano i disonesti. 

Per me invece il romanzo iniziava con la scena in cui Ester van Gobseck esce dal teatro e incontra Lucien, lui folgorato dalla sua bellezza s’innamora perdutamente. Anche il banchiere de Nnucingen, che la vede in una passeggiata notturna, perde la testa per lei. Questo sognavo io, qualcuno che mi guardasse e perdesse la testa per me. Ester si era suicidata per amore, questa parte non è che mi piacesse tanto, sia chiaro che non ero disposta a fare questo sacrificio per nessun uomo. 

Dopo di lei sono arrivate altre eroine, Anna Karenina fu la seconda. Ed anche in questo caso non ero interessata alla figura della donna oppressa da una società ipocrita. Il mio interesse, nonostante le ottocento pagine del romanzo, era focalizzato sull’incontro di Anna con Vronskij, il momento in cui lui la vede, lei leggiadra nel suo vestito pieno di merletti che si muove come una farfalla. Povera Anna, pensava di essere libera dopo essersi sottratta al compito di moglie e madre, ma anche lei ha fatto una brutta fine, mi disturbava la sua morte, da sola e senza trascinare il suo amante con sé, piuttosto lo restituiva alla vita. Io non avrei potuto mai essere una Karenina, non correvo il rischio di mettere in conflitto due forze opposte come la sessualità e la maternità, perché un conte Vronskij dove vivevo io era impossibile incontrarlo. 

Arriva cosi Emma Bovary, l’ultima, ma forse la più importante di tutte. Con lei mi accomunavano tante cose, in primis quella passione per la lettura di romanzi dove si parlava di turbamenti d’amore, amanti lontani, singhiozzi e lacrime. Come lei, volevo essere una seduttrice e già sapevo che il mio futuro sposo sarebbe stato persino più noioso di Charles Bovary. L’uomo nuovo che aveva costruito il socialismo reale non aveva tempo da perdere con le smancerie femminili. Non avrei potuto però soddisfare la mia vanità in acquisti, le donne del mio paese erano diventate l’Uomo Nuovo anche nell’aspetto fisico e i vestiti da femmina dovevo solo sognarli. E non avrei potuto incontrare né Rodolphe né Leon Dupres, le pene d’amore le avrei trovate solo nelle pagine dei romanzi, in un certo senso dovevo vedere i lati positivi, non avrei mai fatto una brutta fine. 

In ogni caso, tutte queste eroine autodistruttive per me non le accomunava solo l’amore passionale che le portava alla morte, ma il fatto che fossero seduttrici, qualcuno le bramava e le desiderava, io ero solo una compagna e un compagno di ideali un giorno mi avrebbe scelta per continuare a costruire insieme L’Uomo Nuovo. Volevo essere Madame Bovary è un tributo a tutte queste eroine, le donne che mi hanno permesso di vivere le loro vite mentre ero solo un’adolescente seduta in un angolo periferico fuorimondo. 

anilda ibrahimi volevo essere madame bovary

IL LIBRO E L’AUTRICE – Anilda Ibrahimi è nata a Valona. Nel 1994 ha lasciato l’Albania, trasferendosi prima in Svizzera e poi, dal 1997, in Italia. Il suo primo romanzo, Rosso come una sposa, è uscito presso Einaudi nel 2008 e ha vinto i premi Edoardo Kihlgren – Città di Milano, Corrado Alvaro, Città di Penne, Giuseppe Antonio Arena.

Volevo essere Madame Bovary (Einaudi) è la storia di un’educazione sentimentale che vuole sdoganare alcuni stereotipi sulle figure femminili. Racconta di Hera, nata in un Paese del socialismo reale dove per la donna bellezza è una colpa, soprattutto per una ragazza ambiziosa come lei, che da piccola divorava i romanzi di Lev Tolstoj e Honoré de Balzac.

A queste eroine si lega la vicenda della protagonista, affascinata dalla loro antitesi interiore e sociale. Sono donne che se commettono tradimento fanno una brutta fine e vivono in bilico tra il ruolo di mogli e madri e i propri desideri, lo stesso limbo in cui vive Hera. Sembra esserne fuggita quando arriva a Roma, ma sente ancora l’eco della lingua madre e a volte ritorna a essere quella ragazzina che cercava il grande amore nel dramma e negli uomini autoritari. Ma appartenere a qualcuno, per quanto crei una certa sicurezza, può anche diventare una gabbia da cui si vuole fuggire.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fotografia header: (c) Pasqualini, Musacchio/MIP

Libri consigliati