“Storia del mio breve corpo” apre una prospettiva inedita sulla minoranza indigena e queer del Canada contemporaneo. La testimonianza diretta del poeta Billy-Ray Belcourt, una denuncia violenta e lirica raccontata attraverso la memoria del proprio corpo – L’approfondimento

Il glossario è ciò che per definizione si trova alla fine dell’opera. Ma poiché Storia del mio breve corpo di Billy-Ray Belcourt (Black Coffee, traduzione di Sara Reggiani) è un libro che parla della fine – di una nazione, di uno Stato, di una classe – allora forse bisogna partire dall’atomo primo del linguaggio, dalla parola, e risalire lentamente verso il discorso.

NDN: acronimo di Not Dead Native – nativo non (ancora) morto – indica quella fascia di nativi americani che si oppone allo stereotipo occidentale dell’indigeno in procinto di estinguersi, di sparire, o di rimanere confinato nella miseria della propria esistenza coloniale.

Futuribilità: possibilità che un fenomeno si verifichi come conseguenza di una scelta consapevole opposta al modello del futuro capitalista/bianco/etero idealizzato come inevitabile e inamovibile.

Poesia: ciò che si oppone alla seduzione del romanzo, alla sua natura ambigua. La poesia è il centro violento ed epistemico della lingua, è fatta di idee e non di storie. Di conseguenza, la vera poesia è sempre politica.

Amore: la confessione di essere pronti a farsi sconvolgere.

Che cosa significa essere un maschio nativo, gay, intellettuale nel Canada del 2021? La risposta di Billy-Ray Belcourt a questa domanda impossibile non può che articolarsi in un ibrido tra poesia, saggio comparativo, memoir sessuale.


Gli indizi sulla vita dell’autore sono sporadici e devastanti. Nasce nella riserva della Driftpile Cree Nation, nemesi di un gemello tanto amato quanto opposto a lui: eterosessuale, innanzitutto. Il primo trauma, per un individuo come Belcourt, ha proprio a che fare con la storia del popolo indigeno. Un maschio che non può generare è l’emblema di una nazione cadaverica, che vede nella procreazione l’unico avanzo di futuro.

“La condizione NDN: essere immersi nel presente ma non esservi ancorati; appartenere a un passato che non tramonta e a un futuro che procede a ritroso. Il problema è che il presente è nell’aria, è adesso, è una mano libera che si apre e chiude dentro di noi, come un cuore che batte”.

Se il futuro imposto dall’eteropatriarcato bianco sembra non dare altra scelta oltre a quella dell’estinzione, il presente rappresenta un orizzonte ancora più labirintico, in cui i diversi livelli di complessità si intrecciano e si contaminano a vicenda. Prendiamo il Belcourt NDN: come tutti i ragazzi NDN lui è un’idea ancora prima di essere una persona, un corpo. Molto simile al Belcourt queer, sempre sospeso tra l’oggetto di un feticismo razziale e la freddezza di amanti braccati dalla Storia, dal Canada, dalla loro stessa famiglia.

La storia del breve corpo di Belcourt è più una storiografia che una vicenda: su di esso si colgono le citazioni di un’agenda governativa volutamente cieca e disinteressata, che proclama stati di emergenza nelle nazioni indigene affinché nulla cambi; sulla sua pelle si scrivono le parole degli unici alleati, le intellettuali come Judith Butler e i poeti come Ocean Vuong; si leggono i 13 tentati suicidi di giovani indigeni avvenuti in un solo giorno, e le 49 vittime della sparatoria di Orlando.



“Al tramonto i ragazzi NDN sembrano rossi, intrisi di biopotere. La nostra è una furia bestiale“.

La lotta contro il suprematismo bianco non avviene solo nel mondo dei corpi, è un genocidio che avviene quotidianamente nel linguaggio. Da qui la decisione di rifuggire a qualsiasi costo la descrizione, la mera trasposizione delle esperienze NDN e queer. Quella di Belcourt è l’imposizione di utilizzare una lingua che sia politica e poetica, che urli delle idee immediate, ma anche sconvolgenti, brutali, furiose. In un orizzonte crepuscolare come quello delle praterie in cui è cresciuto, la voce è prima di tutto una testimonzia di solitudine.



Sono un anacronismo come lo sono tutti gli uomini queer – sono troppo in anticipo sui tempi. Sono un poeta come lo sono tutti gli uomini queer (non è un pensiero innovativo, ci scommetto)”.

Storia del mio breve corpo è un’opera talmente singolare che non può essere compresa. A tutti è capitato, davanti al dramma di qualcun altro, di chiosare con la frase “Lo sai, ti capisco”. Un libro del genere richiede lo sforzo esattamente opposto: “Amare qualcuno significa innanzitutto confessare: Sono pronto a farmi sconvolgere da te“.

Ecco, questo è un libro per chi è pronto a farsi sconvolgere.

Fotografia header: per gentile concessione dell'editore

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