Nei microcosmi di “Sabrina & Corina”, raccolta di racconti d’esordio della scrittrice Kali Fajardo-Anstine, non si salva a priori la condotta di nessuno: né quella della comunità latinodiscendente e nativa americana da una parte, né quella dei cittadini bianchi del Colorado dall’altra. Contraddizioni e pregiudizi (di genere e non solo) vengono amplificati per svelare tare complesse e trasversali, che riguardano bambini e anziani, uomini e donne, famiglie e singoli individui, tutti creati con l’obiettivo di interpellarci e di spostare più in là orizzonti che pensavamo ormai di marmo – L’approfondimento

A Denver, in Colorado, nonna Estrella racconta che una pro-pro-zia era morta nel sonno, strangolata dai suoi lunghi capelli. E, se qualcuno ne dubita, lei ribatte piccata: “Mi stai dando della bugiarda?“.

Si tratta della stessa metropoli in cui un detective ha scoraggiato una donna “latina” dal denunciare le molestie subite, perché sarebbe stato lungo e complicato uscirne vincitrice, e lei voleva solo tornarsene a casa. Ma è anche il posto nel quale una donna l’ha fatta franca dopo aver ucciso il marito e il genero – forse perché erano due mostri, forse perché il mostro era lei.

C’è perfino una bambina che, quando ha visto tornare a casa la madre dopo mesi di assenza, si era così indurita nei suoi confronti da pensare che forse alla donna piaceva “passare le vacanze nella sua vecchia vita“. E, poco lontano, una ragazza ha truccato il cadavere di sua cugina quando lei è morta strangolata da un tizio che voleva aprire un bar in California: “Nessuno vuole una ragazza che non parla“, pensava la vittima, “tanto vale essere morta“. E invece.

Sabrina & Corina - Kali Fajardo-Anstine

Sono storie lontane, lo percepiamo, con connotati impossibili da proiettare altrove. D’altronde, la loro unicità risiede in questo: “estrapolata dal suo contesto culturale, la malattia non esiste”, ci ricorda Kali Fajardo-Ansine, scrittrice americana al suo esordio con questi e altri racconti contenuti nella raccolta Sabrina & Corina (Racconti Edizioni, traduzione di Federica Gavioli), ovvero la poderosa prosecuzione di un cammino già “tracciato dallo spirito eterno del mio popolo, che vive nel sudovest dall’alba di questo tempo”.

Nonostante ciò, intuiamo subito che il fenomeno discriminatorio riguardante la comunità latina e nativa americana ha da sempre preso piede anche altrove, pur con forme diverse: schiaccia le persone più deboli, le assimila a un sistema patriarcale e reazionario, e prova a renderle “zitte e buone“, quando in realtà rimane un rantolo nella loro gola, un’opacità indelebile nei loro occhi, e la vera bontà scivola via dai loro gesti un’ora dopo l’altra.

Nei microcosmi di Sabrina & Corina, però, non si salva a priori la condotta di nessuno, né si può prendere una posizione semplicistica tra due modi polarizzati di stare al mondo. Generazioni e comunità differenti vengono forzate a un perenne incontro-scontro à la Flannery O’Connor (1925-1964), tra sparatorie e bambini più sboccati di Huck Finn o del giovane Holden, donne che scompaiono e anziane che cambiano idea all’ultimo momento sui loro averi, nonché ragazze etichettate come “ciccione cocainoma­ni dark” e a cui nessuno darà fiducia quando usciranno di galera.

La penna di Fajardo-Anstine scompagina la narrazione del West con nuove credenze e nuove denunce, e amplifica contraddizioni e pregiudizi per svelare tare complesse e trasversali – “non dovresti dormire alle tre del pomeriggio”, apprendiamo per esempio a metà volume, “solo i barboni lo fanno”, per poi scoprire che il padre di un’altra protagonista “stava morendo di cancro al fegato dopo aver lavorato per tanti anni nelle miniere di uranio”, con una morbidezza e una precisione di lingua e di trama che non turbano meno di Ernest Hemingway (1899-1961) o di Raymond Carver (1938-1988).

Ne consegue che le famiglie sono tutte disfunzionali e tutte prodigiose, tutte capaci di concepire raffinati pensieri di odio o di inventarsi enormi slanci di gentilezza. Non ci sono tipi umani “nel giusto”, né soluzioni o condanne prêt-à-porter, e dalla densità di undici vicende lunghe in media una ventina di pagine (quanto basta per costruire aspettative a lunga gittata, per poi lasciare in sospeso scelte pronte a schiacciare anche il carattere più determinato, o il giro di vite più al riparo dai conflitti) si dipana uno schietto campo sequenza su una comunità mai sondata prima dalla stessa, sibilante prospettiva.

Dopodiché, se i personaggi (specialmente femminili) non riescono ad abbattere nessuna muraglia o a sradicare certe cattive abitudini (viene in mente il trattamento dell’acqua: “Non ne hai mai sentito parlare, Randy? A noi succede sempre. Sei da Woolworth, e così, come se niente fosse, la commessa chiude la cassa proprio quando è il tuo turno. Oppure sei in un diner sulla Colfax e quando ordini un sandwich con il formaggio alla piastra, la cameriera torna indietro con un piatto vuoto”), si resta in compagnia di creature spogliate, neanche più donne o uomini: solo pupazzi di zucchero che si deformano fra le mani di chi li tiene in pugno.

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Il finale non cambiava mai, morivano solo ragazze diverse, e non volevo più sentirle”, dice guarda caso la cugina della ragazza strangolata, cosicché Fajardo-Anstine decide di dedicare l’opera con cui ha scalato le classifiche dei migliori libri del 2019, fino a guadagnarsi, tra gli altri, un American Book Award e la short list del National Book Award, proprio “alle ragazze: spero che vi rivediate nei libri, che ne scriviate voi stesse e che la vostra forza bruci più forte di qualunque sole”, anziché (pare di leggere fra le righe) farsi sgretolare da altri falsi astri.

Dopotutto, se facciamo esperienza di narrazioni come queste non è perché debba esserci necessariamente “una storia da ricordare”. Può rimanere impressa anche solo “un’immagine, una sensazione” scatenata con placida maestria tra le serrate battute di un dialogo; l’importante è che ci interpelli, sfrattandoci dalle norme nelle quali crediamo di abitare e allontanando dalla nostra vista, con un prodigio, orizzonti che oramai pensavamo di marmo.

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