Dal 7 giugno si tengono in Francia i Mondiali di calcio femminile, a cui prendono parte le azzurre, allenate da Milena Bertolini. E se i pregiudizi continuano a non mancare, anche in Italia sembra finalmente arrivato il momento del calcio femminile – L’approfondimento

Che il calcio italiano sia in crisi lo si annuncia, a stagioni alterne, da almeno un decennio, ma è impossibile ignorare il baratro in cui è caduto con l’esclusione dai Mondiali del 2018, non solo a livello mediatico.

Come è successo altre volte in passato, è proprio in tempi di difficoltà che, in ambiti contraddistinti dal predominio maschile, le donne riescano a riconquistare il loro spazio, e persino a eccellere. Così accade oggi per le ragazze della nazionale italiana, che si sono qualificate, dopo vent’anni dall’ultima volta, per per il Mondiale di calcio femminile, che si terrà dal 7 giugno in Francia.

Un risultato che ha richiamato grande attenzione, possibile grazie ai sacrifici di tante giocatrici e appassionati, oltre che a un lungo e tortuoso lavoro di sensibilizzazione per cambiare la cultura e la mentalità maschilista che ancora pervade gli stadi italiani.

Se da un lato i numeri di questo crescente successo sono inequivocabili, come le 40mila presenze (un record) del match Juventus Women-Fiorentina lo scorso marzo, dall’altro permangono infatti i pregiudizi, con la differenza che i tempi sono maturi per denunciare adeguatamente quanto accade. Solo due esempi: nei mesi scorsi hanno fatto molto discutere le affermazioni pubbliche dell’ex giocatore Fulvio Collovati (“Se una donna parla di tattica mi si rivolta lo stomaco”), e del telecronista Sergio Vessicchio (“Uno schifo vedere le donne fare gli arbitri in campionato”), laddove probabilmente qualche anno fa avrebbero smosso dell’indignazione passeggera.

La squadra azzurra, allenata da Milena Bertolini, classe 1966, unica allenatrice italiana insieme a Carolina Morace a possedere il titolo per allenare una squadra di Serie A maschile, è composta da giovani atlete di caratura internazionale: Ilaria Mauro, Alice Parisi, Alia Guagni e Sara Gama, per fare dei nomi.

La storia delle atlete italiane, che con fatica si sono guadagnate il loro posto nelle competizioni internazionali, sembra degna di un film, a limite dell’epico. A questo proposito, bisogna guardare indietro al 2002 per trovare l’ultima pellicola cult capace di raccontare il calcio al femminile, Sognando Beckham: opera che oggi apparirebbe leggermente retorica, ma che ai tempi aveva saputo far battere il cuore di tante adolescenti, che nelle protagoniste hanno trovato immedesimazione. Chissà che tra quelle giovani spettatrici ci fossero anche le convocate italiane. Storie così non sono più state replicate, ma ora più che mai la rappresentazione è uno dei primi motori per il cambiamento sociale e di genere.

L’ultima edizione dell’11mm Festival di Berlino, interamente dedicato ai film a tema calcistico, si è concentrata in particolare sulle donne, celebrando la loro lotta per essere prese sul serio in questo sport. A partire dalla commedia francese Let the Girls play/ Comme des Garçons, che racconta, senza cliché, com’è nata la prima squadra femminile francese a Reims nel 1968, quando ancora le donne erano bandite dal calcio. L’intera selezione ha mostrato proprio questo: tutti gli ostacoli socio-economici, politici e culturali che le donne affrontano per i loro diritti, in tutto il mondo.

Eppure, non molti sanno che c’è stato un tempo in cui, invece, il ruolo delle donne nel mondo del calcio era radicalmente diverso: anni in cui il calcio femminile ha avuto un successo di pubblico maggiore del calcio maschile. In Inghilterra, durante e dopo la Prima Guerra Mondiale, con gli uomini al fronte, le operaie rimaste nelle fabbriche organizzano squadre e partite di beneficenza, dando il via a un successo crescente, tanto da mettere in ombra il calcio maschile una volta terminato il conflitto. Tanto che la Football Association, nel dicembre 1921, decise di bandire le donne da tutti i campi di calcio affiliati.  

Ad oggi, secondo il Global Sports Salary Survey 2017, non solo esistono meno opportunità per le donne per potersi mantenere solamente con lo sport a livello professionale, ma per le poche che ci riescono, i contratti sono nettamente inferiori rispetto a quelli maschili. Ma le cose cambiano, eccome. Quando le federazioni restano impigliate nelle maglie della burocrazia e dei vecchi sistemi patriarcali, brand e sponsor ricoprono un ruolo importante per permettere di colmare gap di visibilità e anche economici. Così, ad esempio, la nazionale svedese femminile è stata oggetto di una campagna di empowerment voluta da Adidas: sulle maglie delle giocatrici sono comparse frasi di ispirazione per tutte le donne e i nomi delle grandi pioniere dei diritti svedesi.

Sì, le cose cambiano. Ed è probabile che il Mondiale francese darà una scossa ulteriore, visto anche il ruolo di tv (gli incontri saranno trasmessi da Sky Sport e Rai Sport) e social (Instagram in particolare).

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