Nel centenario della nascita di Pasolini, la scrittrice Dacia Maraini con “Caro Pier Paolo” dedica all’amico un memoir pieno di ricordi, di esperienze, di idee, in forma di lettere aperte

“Non so se siano le tue apparizioni nei miei sogni che danno questa impronta vaga e nuvolosa ai miei pensieri o se l’idea di scrivere questa memoria mi porti a rendere liquidi e scorrevoli i pensieri” (p. 13).

Nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini con Caro Pier Paolo (Neri Pozza) omaggia l’amico che tanto ha contato nella sua vita con una memoria commossa, sotto forma di lettere senza risposta. Queste sono senza data, perché non c’è tempo che possa scandire quei “ricordi” che, vitali e imprevedibili, “saltano come cavallette. Sembravano corpi morti, e invece eccoli vivi e vegeti, che si agitano per farsi sentire e vedere” (p. 193).

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In un primo momento, Dacia Maraini aveva rifiutato la proposta di Roberto Cotroneo di scrivere un libro di ricordi sulla sua amicizia con Pasolini; poi, qualcosa è cambiato: lo scrittore, poeta, regista e intellettuale di Casarsa è tornato a farle visita in sogno, dialogando con lei e portandola a rivedere scampoli delle esperienze vissute insieme.

Ed è così che è nato il libro, come una serie di lettere aperte rivolte all’amico che non c’è più: tra incontri personali e pubblici, esperienze di viaggio e momenti di letteratura, dialoghi anche accesi e condivisione di angoli di solitudine, attraversiamo il secondo Novecento affianco a Pier Paolo Pasolini, a Dacia Maraini e al suo compagno di vita, lo scrittore Alberto Moravia, l’uomo “più generoso e tollerante” (p. 68) che la scrittrice abbia mai conosciuto.

Ecco che così entriamo nella loro casa comune di Sabaudia e partecipiamo ai pasti obbligatoriamente sobri di Pier Paolo e alle loro discussioni sul capitalismo e la borghesia; usciamo e viaggiamo in vari paesi dell’Africa in compagnia di Maria Callas, segretamente innamorata di Pasolini; percorriamo lo Yemen tra avventure e grandi prove di adattamento e poi torniamo a Roma. Ci sono numerosissime escursioni attraverso il tempo e lo spazio, ma spesso Dacia Maraini rievoca l’Africa, perché in quei viaggi lei e Pasolini si sono conosciuti meglio e hanno imparato a convivere, tra capanne poverissime e gesti di ospitalità in luoghi dove non sarebbe più possibile tornare oggi. Quei ricordi, iconici e irripetibili, che rivivono tra odori e profumi, parole e silenzi, visioni e vuoti, trasmettono non di rado nostalgia per un passato ormai estinto.

Intanto, di lettera in lettera, si delineano aspetti del carattere di Pasolini: la sua capacità di provocare (“eri bravissimo a suscitare collere, irritazioni e reazioni rabbiose. Eri contento quando riuscivi ad accendere furie viscerali e urgenti voglie di vendetta”, p. 17); l’approccio schietto alla vita (“La tua sincerità era così aspra e nuda che veniva da proteggerti”, p. 42); la solitudine di uomo “solo e disperato, come un cane scheletrico abbandonato nella periferia di una grande città” (p. 59), a cui fa da contraltare un certo divertimento nel ribaltare i luoghi comuni, “come uno spirito pungente che mescola allegramente umiltà e superbia. Ci hai lasciato le tue parole ridenti e arcane come un rebus da esplorare, risolvere” (p. 125).

E le parole di Pasolini, infatti, rintoccano: di frequente sono le sue poesie a intervallare le esperienze e i ricordi di Maraini. Quei versi, talvolta enigmatici e altrove evocativi, sono generosamente ospitati nel tessuto delle lettere, tant’è che Maraini traccia percorsi di lettura e li contestualizza alla luce della biografia pasoliniana. Impossibile, infatti, non trattare del suo amore assoluto e fagocitante per la madre Susanna, dell’amicizia profonda che lo legava a Elsa Morante, dell’amore platonico con la Callas. Tornano la sua passione per il pallone, l’ulcera di cui non si libererà mai, l’odio per la borghesia e il capitalismo, le discussioni sull’aborto, le tante collaborazioni teatrali, ma anche gli aspetti più irrisolti del suo passato inquieto, fino alla sua morte violenta, per mano di uno o più assassini.

Tante sono le ombre che ancora avvolgono la figura di Pasolini e Dacia Maraini ha il merito, con Caro Pier Paolo, di lasciarci un ritratto pieno di intimità e discrezione e il racconto di un’amicizia vissuta “come una grazia lunare”, con “il gusto di stare insieme senza uno scopo […]. Allora ci si cercava per il puro piacere di trovarsi insieme” (p. 185).

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