“Elsa” di Angela Bubba è più di una biografia romanzata. È un poema dell’inconscio e della scrittura, che dona vita a tutti i fantasmi della Morante. Dalla maternità mancata al rapporto con Alberto Moravia, passando per le ossessioni, il carattere fanciullesco, l’animo sensibile e selvatico, le amicizie con Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini, l’autrice celebra la ragazza che ha inventato storie per tutta la vita. Una ragazza che non amava gli aneddoti, e che qui compare non violata ma viva, immersa nei suoi tanti mondi paralleli, nelle sue fantasticherie con la sua voce straordinaria, bizzarra, dal fascino mai scontato, disperata perché piena di speranza

“Sei tu quella che inventa le storie?”.

Elsa Morante è già tutta qui, nella domanda che le rivolge un amico, quando lei è adolescente. “Sei tu quella del libro?”, le chiederanno cinquant’anni dopo, con una simmetria significativa, quando saranno arrivati il successo, i premi, le interviste, ma non avranno cambiato nulla in lei, rimasta la fanciulla pallida, con un cespuglio di capelli, e la testa piena di pensieri che danzano. Una bambina che metteva in scena recite per fate e gatti, una “miniatura di carne smaltata dall’arroganza” agli occhi del padre Augusto: Elsa Morante è cresciuta sola, forte, misteriosa, con la capacità di vivere, per tutta la sua esistenza e la sua carriera, una fantasia libera, appassionata e senza alcuna moderazione.

Elsa (Ponte alle Grazie) ci restituisce il ritratto di una donna bambina, che è riuscita a rimanere sempre legata alla sua anima fanciullesca, alla sua immaginazione favolistica, al suo spirito anarchico.

Angela Bubba attinge a oltre 15 anni di conoscenze, letture e ricerche sulla Morante, ma va oltre, a fondo come può fare chi ha superato il territorio arido dello studio varcando quello vibrante del cuore. È con un continuo equilibrio tra conscio e inconscio che l’autrice esplora la donna più della scrittrice, portando in superficie il suo mondo interiore tormentato, con pagine in prima persona che la rendono presente, vivida con tutte le sue emozioni e contraddizioni.

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Le idee di Elsa sanno invece di selvatichezza. All’inizio sono sempre ambigue, informi e opulente. Ogni ragionamento ha un che di barbarico.”

La mancata maternità ha segnato una frattura nella vita di Elsa consegnandola al dolore: mai liberata dal senso di colpa, Elsa ha inseguito per tutta la vita l’immagine del figlio mai nato. La madre mancata è, ancora una volta, per Angela Bubba, autrice di Elsa Morante madre e fanciullo, l’archetipo che si rivela chiave per entrare nel mondo di Elsa: dove la nostalgia del non essere diventata madre si trasferisce in una maternità letteraria, fittizia, nell’epica della giovinezza, in eroi bambini, che sono capaci di insegnare il gioco e la noncuranza. La Elsa più intima viene alla luce nella narrazione della Bubba con un’intensità lirica e trasognata e una scrittura ricca e evocativa, quasi arcaica.

Per Elsa il reale è una forma di mortificazione, nonché un grave spreco di tempo… le fa orrore, ecco, dover andare appresso a un sacco di fatti che distraggono l’anima dalla sua altezza”.

Elsa è stata una donna sfuggente, sempre sulla difensiva, pronta a mordere: lei, che odiava essere chiamata signora Moravia, ardeva dal bisogno di riuscire con i propri mezzi, di farsi valere, di affermare la sua identità di donna e di scrittrice.

Il suo animo di poetessa le ha permesso di leggere il mondo attraverso le metafore, illuminando le piccole cose con la sua immaginazione: forse il periodo di Sant’Agata ha rappresentato uno dei momenti più preziosi della sua vita, così ricco di una sacralità semplice piena di simboli. Con lo stesso sguardo deve aver guardato Procida, selvaggia come lei, abitata da gente brusca: era il posto congeniale per incontrare il suo Arturo, l’autarchico, l’eroe in cerca di conoscenza.

“Là, sul molo, ho rivisto Arturo. Anche lui con gli occhi da procidano, i capelli mori e crespi, l’espressione di uno che non vuol stare tranquillo.
Aveva la mia stessa andatura. I miei stessi pensieri, cannibali e allegri.”

Cosa mi rappresenta meglio? L’incendio”.

È il fuoco l’elemento di Elsa, la combattiva. Se credere alla realtà è doloroso e inaccettabile, credere alla fantasia è una prova dura, una battaglia dell’autrice con i suoi personaggi, i suoi veri antagonisti: sono così i suoi momenti di solitudine in cui le si presenta il figlio, Arturo come il poeta del fuoco e dell’illuminazione, Arthur Rimbaud, ma anche Medea. Sono pagine di grande potenza poetica e umana dove Elsa diventa anch’essa figura mitica, e celebrano una dimensione che è fondamentale nella sua scrittura.

Angela Bubba credit Jorge Nobre Alves

Angela Bubba nella foto di Jorge Nobre Alves

Quando Alberto Moravia fa la sua comparsa, è nella confusione di una birreria. E tanto lui è spigliato in mezzo alla gente, tanto Elsa è turbata, dimentica di ogni cosa attorno a sé, e si accende nella conversazione con la sua passione.
Alberto Moravia è l’uomo che lei ama, osserva affascinata, invidia e odia, tutto insieme, tutto con l’esagerazione che la contraddistinguono. Alberto è la compostezza, la misura, la logica che lei non ha: nel guardarlo lavorare, Elsa vede un monaco, dalla quiete “micidiale”.

La loro è l’unione di due diversità, l’eclettismo pacato di lui, che non mostra mai i suoi tormenti, e lo spirito randagio di lei, disordinato e infervorato.

“È incantato da quella donna che impone tanto bruscamente le proprie opinioni, è affascinato dalla sua aria tempestosa e dalla sua presenza fintamente insicura, tutt’altro che in soggezione. Le rivolge un altro sorriso.”

Il loro matrimonio si incrina, ma non si scinde mai, rimane tutta la vita con la forza indistruttibile di un margine, che tiene insieme smania di vivere e calma.

Donna di grandi passioni, Elsa ha avuto amori e amicizie nei quali ha infuso se stessa con tutta la sua disperata frenesia di vivere. Luchino Visconti è nella sua aria dissoluta, quasi animalesca: indecente e esaltato il suo sguardo, senza pudore il loro rapporto.

“Per me è una commozione”: l’incontro con Pier Paolo Pasolini è invece poesia, riconoscersi in una comunione di rabbia e dolcezza, un’amicizia finita in amarezza. Sfacciati, Luchino e Pier Paolo, ognuno a modo suo, cuori infantili e tirannici nell’accendere i suoi sentimenti più vividi e poi ferirla.

È in Bill Morrow che trova il vero figlio, il suo Arturo nel corpo e nello spirito, un angelo fragile e giovanissimo: il pittore che la voleva dipingere nei toni del blu, perché sapeva che in lei doveva riuscire a contenere ogni gioia e ogni sconforto. La perdita di Bill è la perdita del fanciullo, e la spezza dentro.

Se tutte le vite sono in un modo o nell’altro vite mancate, l’arte è lì per soccorrere alle mancanze: la frase che Umberto Saba scrive a Elsa Morante è il senso dell’esistenza che Angela Bubba fa emergere nel ritratto di una donna dalla personalità eccezionale, sempre in bilico tra l’immaginazione e la realtà, che ha fatto della sua fantasia una spada.

Elsa. Si apre e si chiude con il suo nome l’omaggio di Angela Bubba che scrive più di una biografia romanzata. Il suo è un poema dell’inconscio e della scrittura, che dona vita a tutti i fantasmi della Morante. Si legge con gratitudine, perché celebra, rispettandola, la ragazza che ha inventato storie per tutta la vita, che non amava gli aneddoti, e che qui compare non violata ma viva, immersa nei suoi tanti mondi paralleli, nelle sue fantasticherie con la sua voce straordinaria, bizzarra, dal fascino mai scontato, disperata perché piena di speranza.

“Vivere, dunque? O scrivere? Non chiedetemi di scegliere. So solo che la vita pare inaccettabile, mentre la scrittura è una tragedia di gran lunga più felice”.

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L’AUTRICE E IL LIBRO – Elsa (pubblicato a febbraio da Ponte alle Grazie) è il quarto romanzo dell’autrice Angela Bubba, studiosa di italianistica che ha dedicato alla scrittrice romana anche la sua prima pubblicazione critica, Elsa Morante madre e fanciullo (Carabba 2016).

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