Con “Cheap Land Colorado” Ted Conover, finalista al Pulitzer nel 2001 e giornalista celebre per i suoi saggi immersivi, ci porta con sé in un viaggio attraverso l’America rurale e i suoi abitanti. Raccontando la popolazione della San Luis Valley – fatta di tossicodipendenti, reduci di guerra, “ratti della prateria”, patiti di armi e della marijuana – l’autore ci restituisce una serie di ritratti pieni di empatia, capaci di catturare con cura la vita degli outsider americani. Un sorprendente esempio di “New Journalism”
È il maggio del 2017 quando Ted Conover – giornalista definito un “maestro della saggistica narrativa basata sull’esperienza” – decide di trasferirsi part-time nella San Luis Valley, una regione del Colorado che, a essere precisi, si estende anche in una piccola porzione di New Mexico.
“La San Luis Valley somiglia ancora molto a com’era cento, duecento anni fa. Il Blanca Peak, la quarta vetta più alta delle Montagne Rocciose con i suoi 4372 metri, sovrasta un vasto territorio incontaminato. […] E non è difficile nemmeno vedere una linea sottile che unisce i pionieri del Diciannovesimo secolo alle persone che si stabiliscono in queste terre al giorno d’oggi. La terra non è più di tutti, ma resta la più economica degli Stati Uniti. Sotto molti aspetti si può ancora abitare questo vasto e desolato territorio come un tempo i pionieri hanno abitato le Grandi Pianure, solo spostandosi a bordo di un pick-up anziché di un carro trainato da un mulo, e disponendo di qualche pannello solare, e magari di un debole segnale telefonico. E di marijuana legale”.
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La San Luis Valley, in effetti, è da tempo una calamita per chi sia alla ricerca di una vita lontana dalla società, per chi voglia una via di fuga dal mondo, e una via di fuga a basso costo.
La storia è questa: negli anni Settanta, quando la Valle era una prateria arida e quasi del tutto disabitata, in questa zona vennero ricavati migliaia di lotti da cinque acri, messi in vendita a meno di duemila dollari l’uno. Non c’erano fognature né fosse settiche, ma solo qualche strada appena livellata e molta terra vuota. L’obiettivo di questa manovra, raccontata con fotografie ingannevolmente piene di fascino, era quello di attrarre persone con basse disponibilità economiche, ma un forte bisogno di un posto da abitare. E queste persone, in effetti, arrivarono, spesso acquistando i loro lotti senza neanche vederli, fidandosi delle immagini da sogno. Ma la realtà era molto diversa e i nuovi proprietari – non potendo permettersi di scavare pozzi e costruire case confortevoli – abbandonarono quelle terre in massa.
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Quando Conover arrivò nel 2017, così, nella San Luis Valley trovò roulotte sparse, mandrie di cavalli selvatici e una comunità di un migliaio di persone, molto eterogenea e quasi del tutto fuori dal mondo, che si guadagnava da vivere coltivando marijuana o con piccoli lavori saltuari.
In questo scenario Conover decide di stabilirsi per qualche tempo, dividendosi tra il Colorado, sua terra natale, e New York, dove abitava con la moglie. L’obiettivo di questa immersione, per l’autore, era quello di comprendere l’America dell’era Trump (diventato presidente degli Stati Uniti proprio nel gennaio del 2017). “Il firmamento americano stava mutando in modi che avevo necessità di comprendere, e quei lidi disabitati e caduti nell’oblio sembravano giocare un ruolo fondamentale”.
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Cheap Land Colorado, Bellezza e squallore ai margini dell’America (Black Coffee, traduzione di Sara Reggiani), che è il risultato editoriale dell’immersione di Conover, va però in una direzione piuttosto diversa rispetto alla promessa iniziale. Della lettura del firmamento trumpiano c’è molto poco ma, piuttosto, emerge il ritratto di un’America ai margini, tanto ai margini da non sembrare nemmeno America.
C’è Troy, un ex contadino con una gamba sola. C’è la famiglia Gruber: mamma, papà, cinque figlie istruite in casa, diversi cani, una capretta, un irritante cacatua e molte erbacce. C’è Paul, arrivato nella Valle per la terra a buon mercato, ma anche perché non riusciva a gestire la folla a causa del suo disturbo d’ansia sociale. E poi c’è Zahra, una donna nera del Midwest in una comunità prevalentemente bianca, arrivata nella Valle con i suoi sei figli e tutti i loro averi legati al tetto di un’auto a noleggio. E poi ci sono giovani vagabondi, tossicodipendenti (in particolare da oppiacei), non poche persone nei guai con la legge – anche per reati molto gravi – “ratti della prateria”, omosessuali, patiti della marijuana, reduci di guerra e alcuni dei più diffusi archetipi repubblicani: no-vax, cospirazionisti, pro-armi e via dicendo.
Tuttavia, le cose nella San Luis Valley non sono manichee e non possono essere lette come buone o cattive, bianche o nere. E in questo racconto delle sfumature Conover è straordinario, capace com’è di non ridurre i suoi soggetti a stereotipi. A volte, però, questo dare libero spazio ai pensieri dei suoi personaggi, senza etichette né giudizi, può rendere la lettura un po’ faticosa, “senza centro”. Tuttavia, a guadagnarne sono gli affascinanti ritratti dei singoli residenti – poveri, strani, accoglienti, complicati, gentili, malati, violenti – della Cheap Land Colorado.
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Tutta questa America Conover riesce a incontrarla grazie alla mediazione di La Puente, un’organizzazione non-profit che fornisce assistenza di base – come pasti e legna da ardere – ai residenti della regione, quasi tutti di casa in camper o roulotte: “Senza un accompagnatore, la maggior parte delle conversazioni di Conover si sarebbe svolta attraverso la canna di un fucile, se mai quelle conversazioni si fossero verificate”, racconta il Los Angeles Times.
Con Cheap Land Colorado, Ted Conover è stato capace di catturare con delicatezza la vita degli outsider americani, anche se un ritratto immersivo della zona ha difficoltà a emergere.
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In effetti, lo stesso autore ha dichiarato che questo libro è un po’ diverso dal “giornalismo immersivo“ per cui è noto: “ha fatto l’autostop sui treni merci per il suo primo libro, Rolling Nowhere; si è infiltrato nell’élite di Aspen in Whiteout e ha lavorato come agente penitenziario di Sing Sing per scrivere Newjack“, ha raccontato ancora il Los Angeles Times. Cheap Land Colorado è, invece, il prodotto del New Journalism, convinto che il miglior messaggio che il giornalismo possa trasmettere sia nessun messaggio.
Con quest’opera, infatti, è come se Conover condividesse con noi i suoi strumenti di lettura, lasciandoci però la responsabilità di farne pensiero. E, in quest’ottica, sì che questo è un viaggio immersivo.
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Fotografia header: Margot Guralnick