Nata nel 1984, figlia di uno dei seguaci di Charles Manson, Claire Vaye Watkins è cresciuta nel deserto del Mojave, tra California e Nevada. Nel suo esordio letterario dello stato ripercorre la storia e le abitudini in una serie di racconti che formano quasi un bestiario umano degli abitanti di Reno e dintorni. Il deserto, i bordelli legalizzati e il fiume Sacramento, che è stato l’ambientazione della corsa all’oro, sono il fondale in cui si svolgono le sue storie… – L’approfondimento

“Mio padre non ha ucciso nessuno. E non è un eroe. Non è quel genere di storia”, scrive Claire Vaye Watkins nel primo dei racconti che compongono Nevada, il suo primo libro, pubblicato negli USA nel 2012 e ora anche in Italia da Neri Pozza, nella traduzione di Serena Prina.

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La precisazione è quasi d’obbligo per una “figlia di” come lei. Suo padre era Paul Watkins, uno dei seguaci di Charles Manson, e nel racconto ripercorre – anche – la storia del genitore, a partire dall’arrivo della setta al Ranch di George Spahn, sulle colline di Los Angeles, il luogo che diviene il quartier generale della Family di Manson. “Quando un gruppo di all’incirca dieci ragazzi – la maggior parte adolescenti, tra i quali mio padre – arrivò al ranch nel gennaio del 1968, dopo aver fatto l’autostop da San Francisco, George era quasi cieco”.

Nata nel 1984, Claire Vaye Watkins è cresciuta nel deserto del Mojave, tra California e Nevada e dello stato ripercorre la storia e le abitudini in una serie di racconti che formano quasi un bestiario umano degli abitanti di Reno e dintorni.

Il deserto, i bordelli legalizzati e il fiume Sacramento, che corre attraverso la Sierra Nevada fino alla California e che è stato l’ambientazione della corsa all’oro (oltre che dell’unico racconto della raccolta ambientato nell’Ottocento) sono il fondale in cui si svolgono le storie scritte da Watkins.

Las Vegas è la città in cui accade quello che si preferirebbe non ricordare. La scoperta del sesso da parte di due amiche adolescenti, o la morte di una madre. Sul volo che sta atterrando nella città che non dorme mai “la voce in realtà stava dicendo: vi faremo scendere in questa città che vi prenderà per le caviglie, vi metterà a testa in giù e vi scrollerà di dosso tutto quello che avete. E questo era qualcosa che io e mia sorella dovevamo imparare per conto nostro”.

I rapporti tra genitori e figli, ma anche zie e nipoti ritornano spesso. Così come la maternità non voluta, temuta ma anche desiderata, che raggiunge l’apice quando la scrittrice fa guardare alla protagonista di un racconto il film d’animazione Disney Dumbo, che diventa per lei la metafora perfetta per spiegare la sua decisione di non portare a termine la gravidanza: “Se tu fossi la Cicogna e stessi consegnando il piccolo baby Dumbo e dovessi far passare con difficoltà il suo fagottino tra le sbarre di ferro per calarlo fino a sua madre, non ci penseresti due volte prima di consegnarlo? Il che sta a dire: come può la Cicogna portare in questo mondo un elefantino dalle grandi orecchie, sensibile e facile alla paura?”.

I rapporti familiari in Nevada sono monchi, si basano su non detti e su un passato che si vorrebbe dimenticare o almeno non replicare. La solitudine del deserto entra nelle ossa di chi lo abita, rendendolo solitario fino al limite dell’alienazione.

Non a caso il titolo originale del libro è Battleborn. Termine che si ritrova sulla bandiera del Nevada a ricordare che lo stato è nato durante la guerra di secessione. Ma che in inglese colloquiale viene anche usato per indicare qualcuno formato e indurito da un conflitto, proprio come molti dei personaggi nati dalla penna di Watkins.

Lo stile dei racconti è asciutto, minimale, come la forma mentis di chi porta avanti la narrazione, spesso condotta in prima persona dalle protagoniste femminili, altre volte da un narratore esterno che non fa trasparire alcuna pietà per gli esseri che vede. Uno stile che ricorda una delle maestre del racconto contemporaneo, Joy Williams.

Ma c’è anche la brutalità di un mondo desertico e inospitale che si riflette sul modo di scrivere di Claire Vaye Watkins che lo rende un perfetto esempio della lezione promossa dal grande racconto americano, quella dello show don’t tell.

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