Claude Cahun (1894-1954) è stata una delle artiste più interessanti e originali del primo Novecento. Oggi è ricordata soprattutto per le sue fotografie, ma si è cimentata anche nella recitazione, nell’arte visiva e nella scrittura in prosa e in versi. Una figura eccentrica, che ha vissuto contro, in nome di una libertà ricercata come valore assoluto e, in particolare, rispetto alle norme patriarcali e eterosessiste. Come conferma la lettura di “Eroine” (un libro divertente, disturbante, ironico, gioioso e terribile al tempo stesso), Cahun mette in atto una sovversione continua, attraverso un gioco di straniamenti, che opera attraverso la ripresa costante dei miti e delle ideologie della cultura moderna, pervicacemente ribaltata e rimessa in forma altrimenti…
Il 25 luglio del 1944 cinque soldati delle SS perquisiscono la casa in cui alloggiano Claude Cahun e Marcel Moore nell’isola di Jersey. Nel resoconto di questa spedizione, l’ufficiale barone von Aufsess, annovera fra i materiali trovati, oltre a volantini sovversivi di propaganda anti-nazista, anche degli “orribili dipinti cubisti”, del “materiale pornografico di natura rivoltante”, raffigurante una donna con la testa rasata, ritratta nuda o in abiti maschili, o ancora fotografie che mostravano “entrambe le donne che praticano perversioni sessuali, esibizionismo e flagellazione”.
La donna con la testa rasata e vestita da uomo è Claude Cahun (nata Lucy Schwob), che insieme alla compagna di una vita, Marcel Moore (alias di Suzanne Malherbe), da qualche tempo portava avanti una campagna clandestina di lotta anti-nazista, soprattutto attraverso la diffusione di volantini per minare il morale dei soldati tedeschi e convincerli a ribellarsi ai propri ufficiali. Le due donne vengono arrestate e portate nell’ospedale-prigione di Saint-Hélier, dove rimarranno fino alla liberazione del maggio 1945.
Delle fotografie di cui parla l’ufficiale von Aufsess rimangono poche tracce, per lo più sono state distrutte dai nazisti, ma ne restano echi indirette anche nella sua opera di scrittrice, in cui il tema del sadomasochismo è un tratto costante, e noti sono ormai gli autoritratti di Cahun con la testa rasata, allo specchio, en travesti.
La fama di Cahun è, oggi, infatti associata soprattutto alla sua opera fotografica, ma abbiamo a che fare con un talento davvero plurimo, che si è cimentato nella recitazione, nell’arte visiva, nella scrittura in prosa e in versi; un talento anche collaborativo: molte delle sue opere sono realizzate con Marcel Moore, artista visiva, e non sempre il contributo delle due donne è scindibile, a testimonianza di un tentativo di trascendere l’identità fissa, granitica, anche attraverso il sodalizio artistico, oltre che sulla propria pelle.
Cahun è stata una delle artiste più interessanti e originali del primo Novecento, vicina al gruppo dei surrealisti, da cui pure ha mantenuto una certa autonomia, ha scritto sulle principali riviste francesi del tempo, ha collaborato con grandi intellettuali come Andrè Breton, eppure il suo nome è rimasto pressocché sconosciuto e dimenticato fino agli anni Settanta, quando viene riscoperta soprattutto come fotografa, e inizia a guadagnare una certa fama in particolare grazie agli studi femministi, che si trovano davanti un soggetto eccentrico, che scrive e fotografa e vive contro, in nome di una libertà ricercata come valore assoluto e, in particolare, rispetto alle norme patriarcali e eterosessiste.
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Il lavoro di Cahun si costruisce così come una sovversione continua, attraverso un gioco di straniamenti, che opera attraverso la ripresa costante dei miti e delle ideologie della cultura moderna, pervicacemente ribaltata e rimessa in forma altrimenti.
Questo avviene tanto nelle fotografie, che pure Cahun non pubblica quasi mai mentre è in vita, sia per la sua opera letteraria – a oggi praticamente sconosciuta in Italia. A rimediare parzialmente a questo oblio, VandA Edizioni pubblica una nuova edizione e traduzione (dopo quella del 2011 di :duepunti) di Eroine, curata da Desiré Calanni Rindina. Un’edizione, va detto subito, coraggiosa e inusuale: il testo è pubblicato, infatti sia in italiano sia in francese, ed è preceduto da una corposa e ben documentata introduzione della curatrice, fondamentale per inquadrare il percorso di Cahun e entrare con la giusta consapevolezza in un libro che è solo all’apparenza facile, e che anzi ci chiede di tornare a interrogarci su questi brevissimi racconti di continuo.
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Eroine è senza dubbio il testo migliore per avvicinarsi all’opera di Cahun, è il più narrativo, il più godibile anche, e si inserisce (anzi: anticipa), una pratica di riscrittura femminista dei miti e delle grandi personagge della tradizione, che per certi versi ha molta fortuna nel mainstream contemporaneo – e che pure non potrebbe essere così distante da Cahun. Eroine è, se mai, più vicino alla Camera di sangue di Angela Carter, e anzi ne anticipa variamente i procedimenti: Carter prende alcune favole della tradizione, riscrivendole dal punto di vista dei personaggi femminili che acquisiscono una loro agency a partire soprattutto dal controllo del proprio corpo.
Qualcosa di simile avviene in Cahun: qui non abbiamo a che fare con riscrittura solamente di favole, ma abbiamo Cenerentola accanto alla Vergine Maria, la Margherita del Faust di Goethe con Dalila, Elena di Troia e Penelope, Salomè e Giuditta.
Calate nelle loro vicende arcinote, queste eroine acquisiscono, tuttavia, la parola, raccontano per lo più in prima persona la loro storia e soprattutto ognuna a modo proprio ribalta la mistica costringente della femminilità: Cenerentola diventa una favola sadomasochista in cui la protagonista vuole diventare principessa per poter godere di più nell’essere umiliata; a Dalila non piacciono gli uomini; Giuditta è una sadica fin dal titolo, “davvero condannata, criminale fin dall’infanzia, a distruggere tutto ciò che amo”; Eva non è ammaliata dal serpente tentatore, ma è una donna senza indipendenza economica che, circondata dalla pubblicità assordante, compra una mela e la fa mangiare anche a Dio; Elena è una donna brutta e, come da sempre funziona il desiderio triangolare, viene scambiata per rafforzare il legame fra due uomini; Penelope, “civetta” e “indecisa” non vuole scegliere il suo uomo fra i pretendenti di Itaca, perché di fatto, li vorrebbe tutti; Margherita è una sorella incestuosa; Salomè è disgustata dalla testa “di cartapesta” di Giovanni il Battista perché, come la sua autrice, detesta l’arte che copia pedissequamente la vita; la Bella della favola chiede alla Bestia, dopo la sua trasformazione in uomo, “l’indirizzo di un altro mostro, un mostro autentico”; Salmace del mito ovidiano è definita, nel titolo, una suffragetta, si fa togliere le ovaie e il suo mito si confonde con quello della nascita dell’omosessualità.
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Insomma, Eroine è un libro divertente, disturbante, ironico, gioioso e terribile al tempo stesso. Mettendo insieme le grandi storie della tradizione occidentale insieme ai discorsi patologizzanti sul sesso e sul genere, Cahun crea uno spazio di riappropriazione e di sovvertimento, un “gioco al massacro”, come lo ha definito Calanni Rindini nell’introduzione, capace di “creare dei paradigmi interpretativi inediti della femminilità”.
Per certi versi questa raccolta può essere considerata anche come un’anticipazione dell’idea di politicità della letteratura che Cahun esporrà negli anni Trenta nel pamphlet Les paris sont ouverts, dove identifica come unica parola in grado di agire sulla società non quella propagandistica o che affronta in maniera diretta i problemi, ma quella indiretta, l’unica efficace, che si basa sulla libertà del détournement.
Eroine è una raccolta di continui detours, di depistaggi, di straniamenti, come poi sarà tutta l’opera successiva di Cahun, verbale e visuale (e talvolta verbo-visuale insieme, come nell’inclassificabile Aveux non avenus). E non possiamo non sperare allora che questo di VandA Edizioni non sia che il primo detour nell’opera di un’artista straordinaria, a cui va finalmente riconosciuto il posto che merita nell’estetica d’avanguardia del Novecento.
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