“Cold War”, il nuovo film del regista polacco Pawel Pawlikowski, premio Oscar 2015 per “Ida”, sembra appartenere a un’epoca antica. E non solo perché la vicenda si svolge tra il 1949 e il 1964, ma perché racconta la storia di due amanti destinati ad appartenersi e ad amarsi per sempre… – L’approfondimento

Ecco dov’erano finiti i romantici: nel film Cold War del regista polacco Pawel Pawlikowski, premio Oscar 2015 per il precedente lungometraggio Ida. La pellicola, girata in bianco e nero in formato 1:1.33, sembra appartenere a un’epoca antica, probabilmente la stessa in cui si svolge la vicenda.

La storia è ambientata tra il 1949 e il 1964, in una gelida Polonia sotto il regime sovietico e in una Parigi emblema della libertà e della spensieratezza occidentali. 

Ma non è tanto l’ambientazione a rendere Cold War un film d’altri tempi, bensì i suoi protagonisti, Wiktor e Zula, due amanti destinati ad appartenersi per sempre. Lui è un pianista di talento, appassionato di jazz, colto e raffinato; lei è la tipica femme fatale, cantante e ballerina con una forza e un’energia in grado di conquistare chiunque. S’incontrano, s’innamorano e non riescono a dimenticarsi mai più.

Ebbene sì, Cold War è la storia di un amore senza fine, un amore che supera tutto, le incomprensioni, le incompatibilità caratteriali, gli anni di silenzi, le lunghe separazioni, i tradimenti e per fino il regime comunista. Un amore che forse oggi non esiste, o che comunque fatica ad essere rappresentato. Un amore con il quale potrebbe sembrare difficile entrare in empatia, ma che invece riesce quasi immediatamente a conquistare lo spettatore. Merito degli attori, della regia e dell’effetto nostalgia che permea ogni scena di romanticismo puro. Come quella in cui Wictor e Zula preparano il loro prossimo concerto in una piccola mansarda parigina; o quella in cui si scambiano un bacio nascosto nel bagno di un treno.

C’è tutto in Cold War: le fughe organizzate, la gelosia, la disperazione, la musica, le promesse infrante. Gli abbracci silenziosi e le dichiarazioni plateali (“lei è la donna della mia vita“, continua a ripetere Wictor senza sosta, a chiunque glielo chieda).

Ma, allo stesso tempo, non c’è nulla. Il film copre un arco di tempo molto lungo, quindici anni, in cui vediamo crescere il rapporto tra i due personaggi. Eppure tante, tantissime dinamiche non vengono mostrate, e non vengono neppure spiegate. Vediamo gli amanti insieme e poi, a seguito di un violento stacco (un vero e proprio black out sullo schermo), li troviamo anni dopo, che si rincontrano dopo essere stati a lungo separati. Non sappiamo cosa sia successo, non sappiamo perché si sono allontanati e, soprattutto, non sappiamo come abbiano fatto a ritrovarsi, ma una cosa è certa: si amano ancora. 

Così gli eventi si susseguono in modo quasi casuale e sono circondati da una dose altissima di non detto: “proprio come nella vita vera”, ha specificato il regista nelle note. Ma tutti questi sottintesi non impediscono la comprensione del film, né richiedono l’urgenza di essere colmati da spiegazioni; forse l’impresa impossibile sarebbe stata proprio cercare di ricostruire le motivazioni di un amore impossibile. E probabilmente a nessuno interessa capire perché Wictor e Zula continuino ad amarsi, anche se la domanda che conserva lo spettatore fino alla fine del film è molto simile: continueranno ad amarsi? 

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