Con la sua voce cristallina e tagliente, con il suo sguardo acuto capace di scardinare i meccanismi più consolidati del vivere sociale, con la sua visione personale e coerente, in “Coventry” – raccolta di scritti sulla vita, l’arte e la letteratura – Rachel Cusk consegna una testimonianza di una terra dove la verità – ci dice – fuma sotto le rovine della storia…

C’è una curiosa espressione in Inghilterra per indicare quando qualcuno smette deliberatamente di parlarci: si dice “essere mandati a Coventry“.

Coventry è una cittadina delle Midlands che possedeva una splendida cattedrale rasa al suolo durante la guerra. “È un luogo di frantumi e rovine”, spiega Rachel Cusk nell’omonimo saggio che dà il titolo alla raccolta del 2019, appena pubblicata in Italia da Einaudi (nella traduzione di Anna Nadotti e Isabella Pasqualetto). È, soprattutto, un luogo simbolico che sembra incarnare il principio della sospensione dell’incredulità che sta alla base di ogni narrazione: “sarebbe difficile mandare a Coventry qualcuno che rifiuta di credere di essere lì”.

Coventry di Rachel Cusk

Quando i suoi genitori hanno smesso di parlarle per un’offesa presunta e mai chiarita, Cusk si è ritrovata sola tra le macerie, terrorizzata e al freddo, estromessa dalla sua propria storia – eppure, via via che il silenzio s’inspessiva, ha cominciato a respirare una sorta di libertà, a cercare in quello stesso silenzio la verità sepolta sotto i detriti della narrazione. E sembra proprio che Cusk, come donna e come scrittrice, abbia scelto di rimanere lì, a Coventry, nel luogo in cui il racconto è finito, per portarci una dolorosa e illuminante testimonianza della realtà.

Tutta l’opera narrativa e saggistica di Rachel Cusk ruota attorno alla ricerca di verità, una verità che è recepibile solo se si è abbastanza coraggiosi da smettere di credere al paradigma narrativo in cui viviamo costantemente immersi per lasciarsi sorprendere dall’orrore del reale.

Se con la sua trilogia (Resoconto, Transiti, Onori) Cusk è stata in grado di dare al racconto la forma della vita, in Coventry – affrontando le tematiche più disparante, dalle dinamiche familiari alle questioni di genere, dalla critica d’arte a quella letteraria – scrive di come la vita stessa assuma le forme del racconto e di quanto possa essere difficile guardare in faccia la realtà quando il racconto è finito.

La prima delle tre parti che costituiscono il volume raccoglie un insieme di scritti che partono dalla biografia dell’autrice per interrogarsi su temi a lei cari: il rapporto tra la sincerità e i paradigmi sociali, il linguaggio come strumento di verità, la coscienza divisa della donna contemporanea.

Ne La guida come metafora, il saggio che apre la raccolta, Cusk traccia una sorta di “drammaturgia della strada” interrogandosi sulla relazione tra la sua storia di guidatrice e le sue scelte personali, arrivando a mettere a nudo il proprio sé in un istante di catastrofica consapevolezza. Alcuni episodi vissuti in aeroporto prima e dopo la Brexit sono invece lo spunto, in Sulla maleducazione, per una riflessione sulla base morale del linguaggio e sulla trasgressione verbale che può essere vissuta da una parte come violenza e dall’altra come strumento d’immunità, specie per chi – come l’autrice – ha deciso di “scommettere tutto sul dire la verità“.

Se in Metter su casa Cusk cerca di liberarsi dalla narrazione attorno al proprio ruolo di donna imposta dalla società patriarcale e assorbita a tal punto da spingerla a trarre “un orrendo potere dalla mancanza di potere”, in Leoni al guinzaglio prende le distanze da un altro tipo di narrazione, quella che noi offriamo ai nostri figli quando diventiamo genitori, e verrebbe da chiedersi se il conflitto adolescenziale non sia in realtà una meritata punizione “per aver mistificato la storia, per non aver onorato la verità”. In Dopo, infine, Cusk racconta la difficile separazione dal marito attraverso il proprio affrancamento da quei valori che aveva sempre ritenuto femministi, ma che in realtà altro non erano che l’introiezione dei valori paterni travestiti e dei valori antifemminili di sua madre. La casa e la famiglia figurano nelle pagine dell’autrice nel doppio ruolo di rifugio e prigione, in un’impossibile conciliazione tra tradizione e radicalismo e quindi, metaforicamente, tra storia e – ancora una volta – verità.

Le stesse tematiche tornano nella seconda e nella terza parte di Coventry, in cui Cusk abbandona il genere del memoir per focalizzarsi sull’opera di alcuni artisti e scrittori, da Edith Wharton a Kazuo Ishiguro – ponendo al centro delle sue riflessioni la complessità del rapporto tra produzione artistica ed esistenza. Se le Suites on Fabric di Louise Bourgeois offrono uno spunto per indagare sull’intreccio di pubblico e privato nell’esperienza femminile, il ritratto di San Francesco di Cimabue nella basilica di Assisi diventa indicativo dell’insorgere del “personale” nell’arte. Lì dove L’arcobaleno di D. H. Lawrence è elogiato come “libro di verità” perché capace di un’assoluta «franchezza sulla vita del corpo nella sua forma più prosaica, più universale e più riconoscibile», un best-seller come Mangia, prega, ama di Elizabeth Gilbert pone delle domande sul “culto comico della personalità femminile” in molti romanzi di successo, in cui domina il “senso di sé” e nulla è davvero messo in discussione.

Particolarmente interessanti il saggio intitolato Le sorelle di Shakespeare e quello dedicato a Natalia Ginzburg, che s’interrogano sul significato di una “scrittura femminile“, definizione verso la quale sarebbe lecito nutrire una certa ostilità, ma che per Cusk va rivendicata con fermezza perché avere una “letteratura tutta per sé” è oggi più importante che avere “una stanza tutta per sé“. La parabola di Ginzburg, in questa volontà di rivendicazione, diventa esemplare: se all’inizio la scrittrice era terrorizzata all’idea che si capisse che era una donna da ciò che scriveva, col tempo comprese che proprio “l’accettazione del suo essere donna” era fondamentale per la sua nascita come artista, e non per “arruolarsi in una visione della vita determinata dal genere”, ma per essere in grado di parlare “con la propria voce”.

E con la sua voce cristallina e tagliente, con il suo sguardo acuto capace di scardinare i meccanismi più consolidati del vivere sociale, con la sua visione personale e profondamente coerente, Rachel Cusk ci consegna un’altra coraggiosa testimonianza dalla terra di Coventry, dove la verità – ci dice – fuma sotto le rovine della storia.

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Fotografia header: Rachel Cusk, credit Siemon Scamell-Katz

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