Torna in libreria con “Cuori in piena” Alessio Torino, autore del premiato “Tetano”. Un romanzo che ci trasporta in un’estate calda, malinconica e avvelenata, in cui tra amori estivi e scorribande giovanili riemergono vecchi attriti e fantasmi del passato… Una storia di formazione in cui l’autore, passando da una scrittura grave e posata a uno stile libero e scanzonato, ci racconta cosa vuol dire crescere, tra prime relazioni e antichi (e a volte insuperabili) dolori

Forse. Una piccola – e apparentemente insignificante – parola che durante l’estate dell’87 riemerge prepotentemente nella vita del dodicenne Corsi, protagonista di Cuori in piena (Mondadori) di Alessio Torino, autore, tra gli altri, del premiato Tetano (romanzo uscito prima per minimum fax e poi come Oscar Mondadori).

“Pensa che la maestra mi diceva che eri l’unico a usare il ‘forse’. Avevi sei anni”, gli ripete con entusiasmo Sebastiano, uomo razionale e quadrato a cui Corsi si rivolge, a seconda del contesto, con tre differenti appellativi: il formale “papà“, il colloquiale “babbo” o, utilizzando quello slang giovanile che riduce le sillabe all’osso e che i genitori tanto odiano, ““.

Ma quando approda a casa della nonna per le vacanze estive, a Pieve Lanterna, piccolo borgo dov’è nato e vissuto il padre prima di emigrare nell’eterna Roma, Corsi scopre che la vita non è fatta di soli “forse”

Cuori in piena Alessio Torino

Un anno prima, un ragazzo è morto tuffandosi nelle Caldare, agognata meta estiva di tutti gli adolescenti di Pieve. Si chiamava Andrea Gori. Corsi lo aveva visto di sfuggita durante alcune uscite con i suoi due compagni d’avventure: Giorgio Angradi e Achille Spada. Andrea era figlio di Arcangelo, in paese noto come Arcacciolo, un vecchia conoscenza del padre Sebastiano che, toccato nel profondo da questo evento tragico, obbliga il figlio a giurare di non tuffarsi, mai e poi mai.

“Lo devi giurare su di me”. Un’imposizione che ha il sapore di un’affettuosa minaccia (e che varrà al padre l’appellativo di “moralista del cazzo”), tanto motivata quanto castrante per il giovane che vede nei lunghi pomeriggi spesi alle Caldare il contesto perfetto per far colpo sulla bella Céline, la ragazza belga che gli ha rubato il cuore…

Ma al peggio non c’è fine: oltre all’obbligo imposto dal padre, Asha, il cane di Giorgio, viene ritrovata morta in seguito a un inspiegabile avvelenamento da metaldeide, un pesticida inodore e altamente venefico. Inizia a circolare la voce che il colpevole sia Arcangelo Gori, presenza ancor più fantasmatica ed evanescente dopo la morte del figlio. Un mistero che porterà il giovane Corsi ad addentrarsi ancor più nelle Caldare, l’affascinante e proibito “giardino dell’Eden” che il padre gli ha severamente vietato…

L’epoca dei forse è definitivamente giunta al capolinea: se mostrare il proprio dubbio in prima elementare gli conferiva una parvenza adulta, giunto nel “mondo dei grandi” Corsi scopre che crescere significa, spesso e volentieri, iniziare a ragionare per assunti categorici e compartimenti stagni. In poche parole, dividere il mondo in squadre e fazioni: o questo, o quello; o noi, o loro.

Come nel caso delle “baruffe” tra il trio di amici e i giostrai (appellati dispregiativamente “gli zingari”) che a più riprese li istigano con minacce e sberleffi. O come nel caso degli attriti tra il padre di Achille Spada, Semolino, e Sebastiano Corsi: un rivisitazione dell’eterna e cartoonesca contrapposizione tra “topi di campagna” e “topi di città“.

Il primo accusa il secondo di essersi “imborghesito“, abbandonando così le proprie origini, la propria terra e i propri amici (o presunti tali…). Il padre di Corsi, dal canto suo, rivendica fermamente la propria scelta, lanciando velenose frecciatine ai genitori dei compagni durante i discorsi a cuore aperto con il figlio.

Citando proprio le parole del giovane Corsi: “Mi tornò in mente il modo spietato in cui mio padre aveva chiamato i suoi amici. Vecchi chiodi arrugginiti. Gente che non si era mai mossa di casa per una vita intera. Gente che non aveva mai visto Venezia“.

Alessio Torino ci trasporta con questo romanzo in un’estate calda, malinconica e avvelenata (non solo dal potente pesticida), in cui riemergono vecchi attriti e scheletri nell’armadio. Un’estate all’insegna dei lunghi pomeriggi assolati presso il Grand Hotel Tetano (il grande palazzo abbandonato dove i tre amici si ritrovano, schivando pericolosi ferri arrugginiti), infiniti giri in bicicletta, bagni nel fiume e sfide all’ultimo sangue su autoscontri e calcinculo, tra manovre al limite della legalità e prepotenti spinte per accaparrarsi la tanto agognata cordicella.

Un’estate in cui, tra sfrenate scorribande e scontri, fioriscono anche i primi amori adolescenziali, fatti di mani che si sfiorano fugacemente e cocenti delusioni. Un idillio a cui però fa da sfondo il lamento di un padre che ha perso il figlio, trasfigurato dal dolore e per questo motivo emarginato. Se i figli sono un pezzo di cuore, perderne uno equivale a morire, abbandonando per sempre parti di sé.

Un romanzo di formazione in cui Torino, passando da una scrittura grave e posata a uno stile libero e scanzonato, ci racconta cosa vuol dire crescere, tra labili amori e antichi (e a volte insuperabili) dolori.

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