“Le maternità di cui scrivo sono sempre problematiche e storte, mentre nel nuovo libro l’intento è sondare le conseguenze del disamore che queste sorelle hanno vissuto in famiglia. Volevo raccontare la deprivazione affettiva che si soffre in certe famiglie, che oggi chiamiamo ‘disfunzionali’. Che cosa diventano queste mancanze nella vita adulta? A quali scelte ci conducono?”. In occasione dell’uscita di “Borgo Sud”, ilLibraio.it ha parlato con Donatella Di Pietrantonio di amore, tradimento e di come la letteratura debba sempre avere a che fare con il dolore. Ma anche del rapporto tra scrittura e pandemia: “Credo sia quasi impossibile non inserire quello che stiamo vivendo in quello che scriviamo”. E riguardo a una possibile candidatura del suo nuovo libro al premio Strega…

Donatella Di Pietrantonio ha una voce calma, dolce e composta. Con una nota più ruvida in sottofondo. Si esprime con parole esatte, dosandole con grazia e intelligenza. Rispecchia lo stile della sua prosa. Non una sbavatura, né un’esagerazione. Quando risponde alle nostre domande, durante una chiacchierata telefonica, sembra quasi di leggerla tra le pagine di uno dei suoi romanzi.

La scrittrice, originaria abruzzese, vive a Penne, un paese in provincia di Pescara, dove alterna il lavoro di autrice a quello di dentista pediatrico. Si è imposta all’attenzione con L’Arminuta (Einaudi), romanzo che le è valso il Premio Campiello 2017, e che ora trova una vita nuova nel seguito, Borgo sud (di nuovo, Einaudi).

Nel nuovo libro, che conserva la stessa carica emotiva del precedente, tornano i personaggi che avevamo imparato a conoscere, i sentimenti di abbandono e timore, lo spaesamento, la prosa scarna ed essenziale, bruciante e dolorosa come l’amore. Torna anche l’Abruzzo: il vento, la riviera, la sabbia tra i denti, il dialetto, l’odore degli arrosticini per le strade. Una terra che l’autrice ama, e che celebra nei suoi libri attraverso descrizioni evocative e di forte impatto (come anche era successo in Bella mia, in cui aveva raccontato il terremoto de L’Aquila).

Con la stessa delicatezza e la stessa schiettezza, Di Pietrantonio torna a raccontare gli strappi della vita, le voragini che rischiano di inghiottirci per sempre, le crepe che si annidano nei posti più impensabili. Ma che, allo stesso tempo, come direbbe Leonard Cohen, lasciano passare la luce.

Borgo sud Donatella di Pietrantonio

Da subito Borgo Sud si lega al romanzo precedente. Tornano l’Abruzzo e Adriana e, ovviamente, il personaggio protagonista. Il libro si può definire una sorta di seguito dell’Arminuta?
“Fin dall’inizio, quando ho cominciato a scrivere di queste due sorelle ne L’Arminuta, avevo immaginato di raccontare le loro vite fino alla mezza età. E poi scrivendo della loro adolescenza, del loro primo incontro dopo aver vissuto due infanzie separate, mi sembrava che il ciclo narrativo si fosse come chiuso nelle mie mani. Dopo aver consegnato L’Arminuta all’editore queste due sorelle non mi davano pace, mi chiedevano di seguirle nell’età adulta, negli incroci delle loro vite, nelle relazioni che hanno costruito e che sono molto determinate da quello che hanno vissuto durante la loro infanzia. Mi chiedevano di mantenere la promessa iniziale”.

Dunque quando stava scrivendo L’Arminuta aveva già in mente di lavorare a un secondo libro?
“Sì, certo. Perché sentivo, soprattutto per il personaggio di Adriana, l’esigenza di trovare un posto nuovo. Adriana, come me, è nata e cresciuta in montagna, e sapevo che lei aveva bisogno di un orizzonte più ampio, di aprirsi a un mondo diverso. E così ho cominciato quasi per caso, accompagnata da un’amica, a fare dei sopralluoghi a Borgo Sud, il quartiere dei pescatori di Pescara”.

E può dirci se ci sarà una terza uscita?
“Penso di aver concluso la storia con questi due volumi. Ma non posso esserne certa. A volte i personaggi sono imprevedibili e sorprendenti, e hanno ancora qualcosa da dire all’autore. Sento di aver soddisfatto quel bisogno di raccontare le mie protagoniste da grandi, di raccontare anche i loro matrimoni, soprattutto quello dell’Arminuta. Ecco, anche per me questo è stato un tema abbastanza nuovo”.

Come mai?
“Perché interviene un personaggio maschile determinante, Piero, al quale mi sono accostata con un certo timore, aspettando di entrare nelle pieghe più intime di un personaggio maschile. Anche questa è stata una sfida”.

In effetti nei suoi romanzi la rappresentazione delle figure femminili è sicuramente centrale, mentre in Borgo Sud è come se avesse scelto di dare spazio anche a quelle maschili.
“Questa volta ho avuto la possibilità di andare più a fondo grazie al matrimonio tra la protagonista e Piero, scendendo così nell’intimo di questo personaggio. Loro si sposano da giovani e, come è capitato anche a me tanti anni fa, ahimè, questi matrimoni a volte rispondono ai dei bisogni, più che essere delle scelte libere e consapevoli. Questa era un’altra cosa che mi interessava esplorare: matrimoni giovanili in cui c’è poca consapevolezza. Purtroppo, però, sulla lunga distanza queste decisioni non offrono la garanzia della durata, perché vengono fuori delle contraddizioni insanabili”.

E si finisce per tradirsi.
“A volte i tradimenti sono funzionali alla conservazione del legame. Molti matrimoni durano perché c’è uno spazio in cui l’uno o l’altro membro della coppia riesce a trovare delle gratificazioni esterne per andare avanti. Quello che racconto io, però, non è un tradimento di svago, non è una distrazione. Nel caso di Piero e dell’Arminuta è un atto necessario a uno dei due per scoprire la propria vera identità. Ed è quindi inevitabile”.

E il tema della maternità, dell’appartenenza e della perdita, che sono punti cardine in tutti i suoi romanzi precedenti, come vengono trattati in questo libro?
“In realtà il tema materno c’è ancora. È come un sottotesto che resiste dietro le pagine, ma non ho più bisogno di raccontarlo così diffusamente come un tempo. Le maternità di cui scrivo sono sempre problematiche e storte, mentre in questo libro l’intento è quello di sondare le conseguenze del disamore che queste sorelle hanno vissuto in famiglia. Volevo raccontare la deprivazione affettiva che si soffre in certe famiglie, che oggi chiamiamo ‘disfunzionali’. Che cosa diventano queste mancanze nella vita adulta? A quali scelte ci conducono? Come queste relazioni primarie che non hanno funzionato si riflettono poi nelle nostre relazioni mature?”.

Oltre a questo, sembra che nei suoi romanzi sia anche forte il tema di un passato che ritorna, che chiede sempre di pagare i conti, e che non lascia scampo. Un’impostazione quasi da tragedia classica. 
“Come punto di partenza l’elemento tragico è sempre presente. Non saprei scrivere di altro e credo che in generale non abbia molto senso che la letteratura si occupi di altro. Personalmente non apprezzo la letteratura consolatoria o di evasione. O meglio, posso anche leggere per distrarmi, ma è qualcosa che scivola via. Se invece cerco qualcosa che resti, lo cerco inevitabilmente nella letteratura del dolore. Con questo non voglio assolutamente lasciare una visione pessimistica, perché in fondo tutti i miei personaggi lavorano tanto alla trasformazione della sofferenza e della tragedia. Possono riuscirci, oppure no. Alcuni soccombono, è vero, ma altri riescono a elaborare il dolore, a portarlo a un livello più ampio di consapevolezza. Usano il dolore per diventare persone più strutturate”.

Per quanto riguarda il difficile momento presente, come vede la letteratura in tempi di pandemia? Crede che ci sia bisogno di storie che rappresentino quello che stiamo vivendo?
“Magari non esplicitamente, ma credo sia quasi impossibile non inserire quello che stiamo vivendo in quello che scriviamo. Per quanto mi riguarda, quando è iniziata la pandemia ero già in una fase avanzata della stesura del testo, quindi è ovvio che il mio romanzo non parli di Covid. Ma è anche vero che nelle scritture successive il contagio è entrato anche in Borgo sud.

Ci spieghi meglio.
“Nel senso che ci sono dei personaggi che dicono qualcosa che non avrebbero detto se tutto questo non fosse accaduto. In particolare mi riferisco a Rafael che, a un certo punto, parlando di certezze, dice che da un momento all’altro può accadere qualcosa che ti fa perdere tutto. Ecco, da questa battuta emerge un pensiero sulla provvisorietà e sulla precarietà della vita umana, che se non avessi vissuto quello che stavo vivendo, Rafael non avrebbe mai esternato con queste parole: semplici, sintetiche e profonde. Che esprimono a pieno un senso di insicurezza planetaria”.

Cambiamo argomento. Riguardo alle riprese de L’Arminuta, che dovrebbe diventare un film, cosa ci può dire?
“Ho collaborato alla sceneggiatura e il film si sta girando”.

E com’è andata?
“È stata una bella esperienza”.

Ha vinto il Premio Campiello 2017, e già si parla del nuovo libro come candidato allo Strega. Le piacerebbe?
“È ovvio che mi piacerebbe, ma in questo momento non ci penso. È un periodo molto duro, anche per l’editoria. Mi rendo conto delle difficoltà che aspettano Borgo sud, che nell’immediato non potrà essere presentato, almeno non in presenza. Confido comunque che possa arrivare a quanti più lettori possibile. Tutto il resto, adesso, viene dopo”.

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