Così come oggi in diverse parti si parla del mondo di discriminazione delle donne, sin dall’antichità le disparità di genere erano presenti in Occidente come in Oriente: dai Romani ai Greci, passando per il mondo musulmano e l’estremo Oriente, solo per fare degli esempi (e molti altri se ne potrebbero fare, sia in relazione al passato, sia al presente). “Gli inganni di Pandora”, nuovo saggio di Eva Cantarella, si inserisce nel lento processo di riappropriazione dei saperi da parte del genere femminile, soffermandosi in particolare su quanto avveniva nell’antica Atene – L’approfondimento

Gli inganni di Pandora (Feltrinelli), il nuovo saggio di Eva Cantarella, è un altro importante scritto che si aggiunge alle opere di un’autrice che da anni ci insegna a riflettere sulle connessioni tra le differenze di genere e l’origine della nostra cultura.

Cantarella fa ciò che il femminismo di questi anni si ritrova ad affrontare come urgenza primaria per porre modelli educativi alternativi alle donne del futuro: riappropriarsi dei luoghi di sapere. Tutta la nostra cultura, infatti, discende da un’eredità che risente fortemente dello sguardo maschile, dalla politica alla biologia. Per questo motivo, per sbarazzarsi del pensiero che è stato a lungo dominante, bisogna ricostruire storicamente i passaggi da cui deriva la nostra formazione sociale e intellettuale. Un processo talvolta doloroso, ma necessario al fine di demolire il modello di successo che per troppi secoli è rimasto invariato: la donna, passiva e subalterna, il cui ruolo principale è quello di essere madre oppure oggetto di piacere.

Gli inganni di Pandora

Spesso l’opinione comune tende a percepire come positiva l’enorme influenza che il lascito dell’antica Grecia, in particolar modo l’antica Atene, ha impresso su tutta la contemporaneità. Ma come ogni civiltà complessa anche quella greca ha dovuto affrontare i propri abissi di senso, battezzando da un lato la democrazia e la filosofia, che ancora oggi determinano il nostro approccio alla riflessione, e dall’altro radicandosi su un modello sociale classista e spietato nelle gerarchie di genere.

Le discriminazioni, ci spiega Cantarella, già analizzatrice di altri anfratti della civiltà antica in libri come Secondo natura e Itaca, hanno il loro momento fondativo nella mitologia. La figura della prima donna per esempio, capostipite di una “razza maledetta”, si racconta, nella Teogonia di Esiodo, che venne mandata sulla Terra dagli dei come punizione per i peccati di hybris (tracotanza) degli uomini.

Itaca Elena Cantarella

È abbastanza chiaro che la prima donna greca, Pandora, ha molto da spartire con la Eva biblica, tranne forse un particolare: differentemente da lei, fatta di carne e sangue, Pandora ha una natura aliena che nulla ha a che fare con quella maschile; è infatti un impasto di terra e acqua a cui le divinità hanno donato tutte le bellezze per essere una “trappola alla quale non si può sfuggire”.

Va certamente sottolineato che la filosofia sin dalla sua nascita si pose spesso come radicalmente alternativa ai miti, in particolare alle cosmogonie, rendendo i suoi primissimi pensatori dei portatori di strumenti nuovi per comprendere la realtà delle cose, con il fine ultimo di ricercare un lume che i postulati del mito non potevano far altro che spegnere.

Secondo Natura Elena Cantarella

Il mito, prima dell’avvento della filosofia, era considerato come un fondamento sacrale del pensiero di gran parte della popolazione, ed è quindi facile capire che molte delle differenze di genere dell’epoca affondavano le proprie radici nella credenza che il sesso femminile fosse di fatto non solo il secondo sesso, ma anche, come sostenuto dai molti racconti dell’epica classica, emblema di inganno e disonestà. Basti considerare la figura ambigua di Calipso (letteralmente “la nasconditrice”) nell’Odissea, o le caratterizzazioni estetiche e morali delle divinità femminili dell’Olimpo. Origini concettuali, queste, che impressero sul vivere comune greco un’atavica diffidenza nei confronti della donna, che dovette sopportare una dipendenza totale dal sesso maschile che, al contrario suo, era un modello di onestà e di eroismo esclusivo.

Come emerge nel saggio di Cantarella, alcuni pensatori, come Socrate e Platone, arrivarono in parte a comprendere che la differenza tra uomo e donna fosse per lo più l’effetto di una diversa istruzione ricevuta e non di una differenza biologica. E come loro ancor di più Antistene, fondatore della scuola cinica, secondo il quale uomini e donne avevano le “stesse virtù”, e Pitagora che riteneva il genere femminile in grado di governare al pari di quello maschile. Insomma, nell’epoca d’oro del pensiero filosofico c’era chi tentava di scardinare la figura della donna vista come beffarda o naturalmente inferiore all’uomo, in contrapposizione non solo a molti dei miti più popolari del tempo ma, soprattutto, in conflitto con molte delle discriminazioni sociali e giuridiche di allora. Per esempio, parlando di diritti, le leggi ateniesi non prevedevano un crimine specifico (né l’uso di un termine specifico) per indicare la violenza sessuale, lasciandoci intuire che non esistevano leggi che regolassero i rapporti sessuali non consenzienti.

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Purtroppo, accanto a una minoranza illuminata, tra gli intellettuali l’idea più diffusa era che la donna fosse uno strumento passivo per la riproduzione o il piacere. E tra loro sicuramente il più famoso e influente è stato Aristotele, il quale ha lasciato scritto che “il maschio rispetto alla femmina è tale che per natura l’uno è migliore, l’altra peggiore, e l’uno comanda, l’altra è comandata”.

Leggendo Gli inganni di Pandora si ha spesso l’impressione che, in parte, la società contemporanea sia uno stampo quasi fedele di quella classica, in cui il mito di allora fa eco ai moderni pregiudizi e populismi che attraversano il cosiddetto mondo civile odierno contro cui l’opposizione del sapere è l’unica arma possibile.