Abbiamo intervistato Emilie Pine, professoressa di drammaturgia allo University College di Dublino, che in Irlanda ha fatto molto parlare con “Appunti per me stessa”, il suo primo memoir, che raccoglie sei saggi, sei ferite. L’autrice rivela con estrema franchezza le fragilità insite nella vita di una donna. Prova (e riesce) a rimettere insieme i pezzi di un’esistenza e sprona chi la legge a fare lo stesso

Appunti per me stessa (Rizzoli, traduzione di Ada Arduini) di Emilie Pine è un libro che lascia disarmati, attoniti come lo si può essere davanti a una sconosciuta che, spogliandosi di vestiti e pudori, ti invita ad ascoltare i dettagli più intimi della sua storia.

I sei saggi che compongono il libro, infatti, affondano le mani nelle viscere dei segreti più taciuti della vita di una donna, in questo caso quelli della sua autrice: fra gli altri, il rapporto con un padre alcolista, l’aborto spontaneo e la ricerca disperata della maternità, l’adolescenza dissoluta e la violenza sessuale.

Data questa premessa, è chiaro che i racconti di vita di Pine non si arrestano alla superficie delle cose che non vogliono nemmeno essere accomodanti, anzi. Scaraventato in medias res, chi legge giunge immediatamente al cuore pulsante della questione: sei saggi come sei ferite, a diversi livelli di guarigione, che vengono esposte alla luce del sole e allo sguardo altrui. 

appunti per me stessa

Appunti sull’intemperanza, il saggio dedicato al padre che apre la raccolta, Pine provò a proporlo a diverse riviste ricevendo in cambio solo rifiuti. Lo sottopose allora a quello che divenne l’editore irlandese (Tramp Press), “un azzardo, considerato che aveva sempre e solo pubblicato fiction”, come spiega l’autrice rispondendo alle domande de ilLibraio.it.

Quello è stato l’inizio di una storia fortunata: “Hanno amato talmente tanto il primo saggio che volevano che ne scrivessi un libro intero”, scritto poi nel corso di un intero anno. “Si trattava di esperienze così potenti,che è come se le parole fluissero fuori di me: avevo così tanti ricordi che non avevo condiviso con nessuno fino a quel momento e che sono esplosi sulla pagina… Ero spinta dall’amore e dalla rabbia in egual misura”.

Una volta pubblicato, il libro è diventato un bestseller e si è aggiudicato l’Irish Book Award, il maggiore riconoscimento letterario irlandese, richiamando editori interessati da tutto il mondo.

La natura della sofferenza che emerge in ciascun saggio (come per esempio la vergogna della perdita di un figlio durante la gravidanza e l’accanimento delle cure e dei trattamenti per diventare madre) è quasi sempre legata alla pressione del ruolo di donna nella società e dimostra come ciò spesso impatti sulla salute mentale delle singole persone.

“Scrivere è un atto molto terapeutico, certo”, prosegue Pine, “e scrivere di esperienze dolorose mi ha dato una sorta di controllo: volevo afferrare la mia storia e per estensione afferrare me stessa un po’ di più. Per farlo, dovevo andare in profondità, esperire le emozioni ancora una volta e rivivere gli eventi”. Un processo doloroso, “che ti offre qualcosa, ma che ti costa altrettanto”, continua Pine. Dalle donne ci si aspetta che raccontino storie in cui sono buone e carine, aggiunge l’autrice. “Trovo sia stato molto liberatorio scrivere la mia storia e poter essere onesta sui modi in cui sono vulnerabile e forte, e felice e triste, e anche su come ho infranto le regole e ho fallito. Non ho edulcorato nulla”, conclude.

Se potenzialmente chiunque potrebbe scrivere la propria storia, non è da tutti venir pubblicati. Viene spontaneo chiedersi e chiedere, quindi, cosa comporta essersi esposti così al proprio pubblico. Pine prova ad articolare: “Molte delle mie storie sono del tipo di cui le donne si suppone che debbano tacere. In Irlanda negli ultimi vent’anni abbiamo fatto un enorme lavoro per liberarci dai tabù e dal silenzio, e il risultato è una società più aperta e solidale”. Un senso di responsabilità non solo legato al proprio Paese, ma che ne travalica i confini, secondo l’autrice: “La pubblicazione dei miei memoir credo sia stata un contributo, in un senso più ampio, alle voci delle donne che finalmente vengono ascoltate”.

Allo stesso tempo però, pubblicare le proprie storie può portare a un’esposizione privata: “Ero preoccupata di ricevere risposte negative o di essere bullizzata”, ci racconta Pine, “e mi preoccupava che la mia carriera di professoressa universitaria potesse venirne danneggiata. Ma la verità è che ho ricevuto tanta compassione, da tutti”.

Un effetto-valanga positivo che caratterizza i lavori di tante altre scrittrici, come Eve Ensler, la quale grazie ai suoi Monologhi della Vagina è stata in grado di smuovere le coscienze sui tabù femminili e di raccogliere le esperienze difficili di tante donne. 

Pine quindi ribadisce: “Sono stati tutti molto comprensivi e a loro volta mi hanno raccontato le loro storie: soprattutto donne alle prese con le difficoltà di diventare madri e con le loro perdite. Storie che spezzano il cuore. Si innesca una solidarietà che fa dire ‘è successo anche a me’, anche se attraverso dolore, violenza e perdita”. E continua: “Pensavo che molte cose fossero peculiari dell’Irlanda, ma ho scoperto che nel mondo in tante si sentono zittite o hanno paura di rivelare sé stesse. Il nostro potere è proprio quello di condividere storie di vulnerabilità, nella nostra compassione l’una per l’altra ed essenzialmente nella compassione per noi stesse.”

Alla domanda finale, se volesse aggiungere qualcosa per permettere ai lettori di conoscerla meglio, risponde così: “Non dormo bene, di notte mi sveglio nel buio e in quel momento sento tutte le mie preoccupazioni e le paure: è un’esperienza fisica. Molte delle storie raccontate nel libro sono ciò che mi passa per la testa mentre sono distesa a letto nell’oscurità. Scriverle è stato un modo per esorcizzare le paure dal mio corpo e guardarle meglio sulla pagina”.

Chimamanda Ngozi Adichie ci avrebbe messo in guardia dalla narrativa di una singola storia, ma Pine ci insegna che la singola storia parla a tutti e crea un’epica. “Riesco a vedere tutto il dolore di cui ho scritto, ma anche vedere tutta la felicità che ho trovato”, conclude in definitiva. “Nessuno di noi ottiene un ‘e vissero felici e contenti’, però possiamo scegliere la felicità quando la incontriamo”.

Fotografia header: Emilie Pine - Appunti per me stessa - © Ruth Connolly

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