Dopo la morte del gemello, incapace di superare il lutto, una venticinquenne italiana fugge da Roma per trasferirsi nella cosmopolita e ipnotica Shangai, nel disperato tentativo di ricalcare i sogni del fratello perduto. Qui incontra la magnetica e affascinante Xu, dando inizio a una relazione tossica, tra giochi di potere, droghe, gelosie e disinibizioni. In “Fame blu” Viola Di Grado racconta della distanza emotiva tra i suoi personaggi, colmata solo da un avvicinarsi costante di corpi, e dove il vero spazio in cui si incontrano le protagoniste è il linguaggio

La ricerca di una identità propria che passa attraverso il bisogno ossessivo dell’altro sfuma i confini tra amore e sofferenza. Il nuovo romanzo della scrittrice catanese Viola Di Grado, Fame blu (La nave di Teseo), mette in scena questo processo e condivide con l’opera dell’autrice una particolare esplorazione del linguaggio, non tanto come mezzo, ma come campo di azione, in cui tutta la storia si innesta.

viola di grado fame blu

Una venticinquenne italiana fugge da Roma a Shangai dopo la morte del gemello. Incapace di superare il lutto, mette in discussione la sua identità nel tentativo di costruirsi una nuova vita che ricalca i sogni del fratello perduto. Una notte incontra una ragazza cinese, Xu, affascinante e magnetica. È l’inizio di una relazione tossica, tra giochi di potere, droghe, gelosie e disinibizioni.

Sullo sfondo, una Shangai cosmopolita e ipnotica, città dei soldi e degli amori veloci, di grattacieli di lusso e fabbriche e mattatoi abbandonati. Ma il vero spazio in cui si incontrano le protagoniste del romanzo è il linguaggio.

Cinese, italiano e inglese si alternano a seconda del momento e della volontà di esporsi. E se da un lato, la pluralità di linguaggi arricchisce il loro incontro, in ognuna di queste lingue la comunicazione non è mai totale, c’è sempre un non-detto, un trattenuto da entrambe le parti.

Sulle labbra di Xu, il linguaggio – o la sua assenza – diventa poi strumento di controllo: è lei a scegliere quando è il tempo di parlare o tacere, dettando con una punta di sadismo i tempi e le modalità della relazione. Asservita alla volontà dell’altra, la protagonista di Fame blu annulla sé stessa in funzione della nuova amata, in un’irrequieta oscillazione tra felicità transitorie e abusi emotivi, in un tentativo di riempire il vuoto che la morte del gemello ha lasciato nella sua vita.

“Vita e morte non come evento, ma come processo”, dichiarava l’autrice in un’intervista a proposito del suo romanzo Cuore cavo, il racconto post-mortem di un suicidio, dalla prospettiva della suicida stessa. Di Grado resta fedele alla sua visione e anche in Fame blu vita e morte non sono mai fenomeni statici, ma appaiono sempre fluidi, dissolti l’uno nell’altro.

Su questa dicotomia di vita-morte, Di Grado spezza la simbiosi dei gemelli e approfondisce lo stato di confusione identitaria che la rottura può portare. Rimasta sola in un mondo in cui non era mai riuscita a trovare una dimensione propria e stabile, infatti, la protagonista si aggrappa il più possibile all’immagine del gemello e si immedesima a tal punto in lui da dimenticare se stessa. Si appropria dapprima delle sue ambizioni – la Cina era da sempre il sogno del fratello, non il suo – e infine addirittura del suo nome: Ruben, come si farà chiamare da Xu. “Non era il nome di tuo fratello?” Le chiede Xu durante il loro primo incontro. “Sì, ora è il mio”. In una repressione totale di sé.

La distanza emotiva che Di Grado delinea tra i suoi personaggi è colmata solo da un avvicinarsi costante di corpi: è la fame blu del titolo, quella voracità di sentimenti e abbuffate di emozioni che la protagonista ricerca per evitare di confrontarsi con il suo dolore. È un altro terreno comune: una mangia per tappare il senso di vuoto, l’altra accumula ossessivamente cibo attorno a sé, per poi vomitare quanto ingurgitato. Il conflitto personale di entrambe ha un’espressione comune, che in ultimo riporta al corpo: “mangiami“, dice la protagonista a Xu la prima volta in cui vanno a letto insieme ed è su questa parola, sulla fame, sul mangiarsi a vicenda, divorarsi che si instaura la loro unione e l’intera narrazione.

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