“Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi è un romanzo epico, d’avventura, corale e tentacolare, che sviluppa per oltre 800 pagine le tematiche più disparate: dalla guerra all’amore, passando per la religione e la morte. Un caso editoriale sostenuto dal passaparola e dalla critica, protagonista al Premio Strega 2023

Tra i 12 libri giunti alla semifinale del Premio Strega 2023 spunta un titolo che ha fatto tanto parlare nei mesi scorsi. Si chiama Ferrovie del Messico ed è un romanzo edito Laurana, nella collana fremen diretta da Giulio Mozzi, scritto dall’autore astigiano classe ’76 Gian Marco Griffi.

Un’opera che ha conquistato numerosi premi e riconoscimenti (solo per citarne un paio, il Premio Mastercard Letteratura e il Libro dell’anno di Fahrenheit). Fino ad arrivare alla “ciliegina sulla torta”, la già citata dozzina dello Strega (il romanzo è stato proposto dallo storico Alessandro Barbero).

Riconoscimenti che non sono passati sottotraccia all’estero: il romanzo di Griffi sarà infatti tradotto e pubblicato in Francia dalla prestigiosa casa editrice Gallimard.

La copertina di Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi

Ferrovie del Messico è un romanzo epico, d’avventura, corale e tentacolare, che sviluppa per oltre 800 pagine le tematiche più disparate: dalla guerra all’amore, passando per la religione e la morte. Insomma, un libro difficilmente riassumibile in poche righe senza incorrere in una banalizzazione del contenuto.

Per questo, a introdurre il romanzo (e a introdursi a lettrici e lettori) può essere lo stesso protagonista, Cesco Magetti, che ritroviamo nei primi capitoli chino sopra un foglio, armato di penna e buona volontà, intento a mettere nero su bianco il proprio aspro e bizzarro vissuto. Il tutto, accompagnato da un imperituro mal di denti che da tempo ormai immemore gli ruba il sonno…

“Cari futuri,
Mi chiamo Magetti Francesco (detto Cesco), faccio ventitré anni il ventuno luglio e sono un milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria (ferroviaria = delle ferrovie, dove camminano i treni. Lo specifico nel caso in cui da voi i treni non esistano più, sostituiti da navicelle volanti, e di conseguenza nemmeno le ferrovie) […] Mi sono fatto attrarre dall’idea di lasciare un segno del mio passaggio sul pianeta terra realizzando una capsula del tempo”.

Un tenero messaggio con cui il giovane decide di aprirsi al mondo per raccontare la sua grama vita, costellata da fastidi e turbolenze. Oltre al già citato mal di denti, il milite astigiano deve infatti fare i conti con un’assillante e bizzarra richiesta (posta sotto forma di obbligo) del suo diretto – e insolente – superiore: tracciare una mappa della rete ferroviaria del Messico. Un ordine tanto perentorio (il tempo scorre, caro Magetti) quanto immotivato se si analizza il contesto spaziotemporale – o meglio, uno dei tanti contesti – in cui è ambientata la vicenda, ovvero la provincia di Asti del 1944.

Una gravosa incombenza che piomba addosso al povero malcapitato dopo un vortice kafkiano di deleghe, rimandi e “scaricabarile”. La provenienza dell’ordine, ignota al protagonista, è da rintracciare direttamente nei vertici massimi del comando nazista che, ormai agli sgoccioli della Seconda guerra mondiale, vede nella mappa delle ferrovie messicane l’unico modo per portare a compimento un astruso piano top secret. Ed è proprio intorno a questo espediente narrativo – pretestuoso motore di Ferrovie del Messico – che si sviluppa l’intero romanzo.

Con uno stile ironico e scanzonato, leggero e commovente, Griffi trasporta lettrici e lettori nel magico e disordinato mondo di Cesco, fatto di personaggi dalle mille sfaccettature, tutti unici e tra loro complementari.

Prima su tutti: la bella Tilde Giordano, una ragazza stravagante e a tratti folle, imbevuta di letteratura, della quale il protagonista si innamora perdutamente dopo un primo fugace incontro. Un colpo di fulmine che si perpetra in ogni occhiata e che mette in ombra il sofferto amore del giovane milite per Isotta, la sua storica “fiamma”, ora nella lontana e sconosciuta Africa. Una relazione in balìa delle strambe ossessioni dell’amata, vera e propria Beatrice per Cesco che, tra fitte inguaribili e assurde richieste da assolvere, sembra essere capitato nel più crudele girone infernale dantesco.

Un esempio di questi comportamenti atipici? La morbosa attenzione di Tilde per le orecchie del ragazzo, a detta sua strane, irregolari. Un commento all’apparenza banale, che però scombussola i pensieri già agitati del giovane milite. Tra pirandelliane autoanalisi (“Mi infilai in bagno per esaminare le mie orecchie […] mi parvero normalissime“) e pulsanti fantasticherie dettate dallo sfarfallio nello stomaco (“S’era inventata quella storiella per poterle toccare, per intrufolarsi nella mia intimità“) Cesco giunge alla conclusione che, orecchie a parte, Tilde è effettivamente speciale, diversa da tutte le altre ragazze.

Ma la strampalata signorina Giordano non è l’unico personaggio che irrompe prepotentemente nella vita del protagonista. A comporre l’eterogeneo corollario di personalità ritratte da Griffi troviamo, tra gli altri, Steno, fidanzato di Tilde, un partigiano senz’armi che per la sua amata andrebbe in capo al mondo; oppure Epa, lo spiantato cartografo samoano che tra una poesia e l’altra aiuta il giovane milite nella sua infinita ricerca. Per non parlare del Führer, Adolf Hitler, presente in prima persona nel romanzo insieme alla consorte Eva, intento a combattere l’uso – e abuso – di anglicismi (da outfit a dress code), che proprio non riesce a sopportare…

E come non citare Angelo Zanon, detto Lito, l’addetto cimiteriale alla bollitura di cadaveri che, insieme al suo muto sodale Mec, entra a far parte della vita del povero Magetti dopo un incontro fortuito. Proprio da uno scambio tra Lito e Cesco si sviluppa un dialogo che rappresenta a pieno la spiccata creatività e l’abilità di scrittura di Gian Marco Griffi, capace di passare con olimpionica disinvoltura da uno stile parlato e colloquiale a una prosa estremamente letteraria e ricca di rimandi ad autori del passato.

“In fondo la vita è un bruciare di domande. Crepitano come ceppi di legno, si sciolgono come candele, esplodono come petardi, ardono come carbone, anneriscono come la carta dei libri. Talvolta dalle montagne si avvicina un temporale, le nubi gonfie lasciano cadere al suolo una risposta qua e là, una domanda si smorza. Ma non appena questa si smorza, dai cespugli al di là del bosco, nella radura, spunta un nuovo focolaio, una nuova domanda avvampa. Siamo pompieri, soldatino, impugniamo una manichetta antincendio dal primo momento in cui l’autocoscienza germoglia in noi, e non la molliamo più”.

La penna di Griffi tesse trame infinite che strizzano l’occhio alla scrittura postmoderna di Thomas Pynchon e ai personaggi sregolati di Roberto Bolaño (con rimandi diretti al capolavoro dell’autore cileno, I detective selvaggi) e che fanno propri gli espedienti narrativi utilizzati da grandi maestri della letteratura quali Milan Kundera, Kurt Vonnegut e Jorge Luis Borges. E così come nelle Finzioni dello scrittore argentino, il romanzo dell’autore astigiano prende vita biforcandosi lungo innumerevoli sentieri e ospitando al proprio interno inaspettate figure letterarie, come in una moderna biblioteca di Babele dove i testi si compenetrano e si fondono in continuazione.

In Ferrovie del Messico Gian Marco Griffi (allo stesso modo del suo protagonista, Cesco Magetti), armato di carta e penna (le “manichette antincendio” dello scrittore), decide di addentrarsi in un fitto bosco di domande alla ricerca di focolai da placare. E, proprio come insegnano le sagge parole di Lito Zanon, ogni volta che in questo lungo viaggio trova la risposta a un quesito, molti altri iniziano ad ardere e a bruciare in maniera incontrollata, in una vampata pronta a travolgere e stravolgere anche i lettori più coraggiosi.

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