Chi è stato Jorge Mario Bergoglio, morto a 88 anni nel giorno di Pasquetta? Il Papa dei gesti dirompenti. Delle rotture del protocollo. Delle scelte discusse. Il Papa che è stato pietra d’inciampo e spina nel fianco. Incompreso da gran parte dell’Occidente. Il Papa che ha invitato la Chiesa ad alzare lo sguardo, fidarsi dello Spirito, navigare in mare aperto, anche a rischio di sfracellarsi o affondare, spronandola a immaginare il futuro. Viaggio nel pontificato di Francesco

Il Papa dei gesti dirompenti. Il Papa delle rotture del protocollo. Il Papa delle scelte discusse. Il Papa che è stato pietra d’inciampo e spina nel fianco. Il Papa incompreso da gran parte dell’Occidente. Il Papa che ha invitato la Chiesa ad alzare lo sguardo, fidarsi dello Spirito, navigare in mare aperto, anche a rischio di sfracellarsi o affondare, spronandola a immaginare il futuro. Avvertendo, però, che nessun futuro è possibile se si perde di vista l’annuncio del Vangelo, la parola antica e sempre nuova di Cristo, lo scandalo irriducibile, e per molti incomprensibile, di chi ha fatto degli scarti la pietra d’angolo.

Il Papa callejero, che preferiva le periferie, da Lampedusa a Timor Est, da Bangui a Ulan Bator, alle grandi capitali occidentali, dove il cristianesimo è ridotto a questione residuale, se non museale, un reperto del passato che nulla ha più da dire al sofisticato uomo che lo abita. Il Papa che, da missionario quale avrebbe dovuto diventare da giovane prete, sognava la Cina, che non è riuscito a visitare e che, sui media di Stato, sembra aver ignorato quasi completamente la notizia della sua morte. Il Papa argentino che, da Pontefice, non è più tornato nel suo Paese che ha proclamato una settimana di lutto nazionale.

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Primo papa latinoamericano nella storia della Chiesa, primo Papa gesuita, Jorge Mario Bergoglio, romano pontefice che ha scelto il nome del Poverello d’Assisi, ha regnato sulla Chiesa cattolica per dodici anni, da quella piovosa serata del 13 marzo 2013, quando apparve alla Loggia delle Benedizioni della Basilica vaticana con un inedito “buonasera”, chiedendo al popolo lì presente di pregare per lui fino a Pasqua di quest’anno, quando si è affacciato dalla stessa Loggia – il volto contorto in una maschera di dolore e un filo di voce – per dare la benedizione ai fedeli al termine del Messaggio pasquale Urbi et Orbi prima di scendere in piazza per salutarli a bordo della papamobile.

Javier Cercas Il folle di Dio alla fine del mondo

Cosa abbia rappresentato per la Chiesa e per il mondo questo pontificato, non lunghissimo dal punto di vista temporale ma enorme da quello delle sfide lanciate e dai processi aperti, lo diranno il tempo e la storia.

Un Papa, Francesco, che si è ispirato a Paolo VI, il papa dimenticato ed equivocato che, chiudendo il Concilio Vaticano II, nel 1965, parlava di una Chiesa “samaritana”, “ancella dell’umanità”, che doveva essere più incline a “incoraggianti rimedi” che a “deprimenti diagnosi”, a “messaggi di fiducia” che a “funesti presagi”. L’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Francesco – manifesto programmatico del pontificato – si ispirava molto alla Evangelii Nuntiandi di Montini. “Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua», scriveva Francesco in quel documento cruciale, e un evangelizzatore non dovrebbe avere «una faccia da funerale». L’invito era quindi quello di «recuperare la freschezza originale del Vangelo», trovando «nuove strade» e «metodi creativi» perché tutti i cristiani sono chiamati a «uscire dalla propria comodità», a una «nuova ‘uscita’ missionaria”.

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Il Papa che mal sopportava l’arroganza dei potenti e dei ricchi, e le denunciava senza molti giri di parole. Il Papa dell’umorismo, testimone perfetto di quel “Dio di tutte le cose buone sulla terra” invocato da San Tommaso Moro nella sua preghiera. Il Papa che nelle meditazioni scritte per l’ultima Via Crucis al Colosseo lo scorso Venerdì Santo ha parlato di “mondo a pezzi” e di “Chiesa lacerata” e ha stigmatizzato questa umanità, amabile e deprecabile, che ha costruito «un mondo che funziona così: un mondo di calcoli e algoritmi, di logiche fredde e interessi implacabili», un mondo efficiente ma ingiusto, sazio ma disperato.

Un Papa che è sembrato deludere sia i progressisti sia i conservatori.

Ci sono quattro immagini di questo pontificato che ne raccontano, più di ogni altra, il senso più profondo. Papa Francesco l’8 luglio 2013 a Lampedusa nel primo viaggio apostolico del pontificato su un altare posticcio costruito con i resti dei barconi dei migranti, per pregare per le vittime delle stragi in mare e denunciare agli occhi del mondo la vergogna del Mediterraneo sempre più striato di sangue e indifferenza.

Papa Francesco il 27 marzo 2020 nella piazza vuota a implorare la fine della pandemia facendo suo il grido dei discepoli sorpresi dalla tempesta sul mare di Galilea: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Lo smarrimento dell’umanità piagata dal Covid che diventa, per il Pontefice, un’occasione di conversione e rinnovamento: «Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari: tutti chiamati a remare insieme. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: ‘Siamo perduti’, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.”.

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Papa Francesco l’8 dicembre 2022 ai piedi dell’Immacolata, in piazza di Spagna a Roma, che scoppia in lacrime e non riesce a proseguire la sua preghiera: “Avrei voluto, Madre, portarti oggi il ringraziamento del popolo ucraino, per la pace che da tempo chiediamo al Signore. Invece devo ancora presentarti la supplica dei bambini, degli anziani, dei padri e delle madri di quella terra martoriata dalla guerra“.

Papa Francesco che ogni sera chiama padre Gabriele Romanelli, il parroco della comunità cattolica della Sacra Famiglia di Gaza, per portare conforto a chi è sotto le bombe e muore, anche di fame, per le bombe sganciate da Israele sulla Striscia dopo il massacro del 7 ottobre di Hamas.

Quattro immagini, quattro pietre d’inciampo. Papa Francesco ha tentato di rispondere con la sua missione alla domanda, antica e sempre nuova, di Isaia: “Chi si affligge per la loro sorte?”.

È sembrato predicare nel deserto dell’odio e dei conflitti che dilaniano il mondo, non si è risparmiato nella sua missione di annunciare il Vangelo, è stato spina nel fianco e pietra d’inciampo per molti potenti di questo mondo che hanno reso programma politico l’ostentazione della ferocia e della cattiveria, è andato tra gli ultimi degli ultimi, nelle periferie estreme della terra, per dare coraggio agli smarriti di cuore e agli sfiduciati, consolare gli afflitti, dire una parola di pace, rompere l’assedio dell’odio, denunciare l’ingiustizia che impedisce la pace.

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Ha portato avanti fino alla fine, con caparbietà e abnegazione, il compito che fu affidato da Cristo al pescatore ebreo Simon Pietro sulle rive del lago di Tiberiade:”Pasci le mie pecore”.

In un tempo ricco di intelligenze – artificiali, computazionali, predittive – Papa Francesco ha tentato di rilanciare lo scandalo del Vangelo che propone un altro tipo di intelligenza: quella della Croce di Cristo che non calcola, ma ama, che non ottimizza ma si dona. Un’intelligenza non artificiale ma relazionale, fondata non sull’efficienza ma sull’amore che, di sua natura, si consegna senza pretendere ricompense o tornaconti, come ha scritto nell’ultima Enciclica, Dilexit nos.

Il Papa che ha indetto un Giubileo straordinario della Misericordia nel 2016 aprendo la Porta Santa a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana.

Il Papa che, a Natale, è riuscito ad aprire la Porta Santa del Giubileo della Speranza, affannato e sfinito.

Misericordia e speranza, quella che abbiamo smarrito, quella che non abbiamo più, quella che gli algoritmi ci suggeriscono di non desiderare.

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