Gli oggetti della sua infanzia vissuta tra la campagna pavese e Milano raccontati nel libro “Che cosa vi siete persi”. Gli esordi in radio. L’amarezza per le generazioni future: “Non lasceremo ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo vissuto noi….”. Intervista a uno dei volti televisivi più amati degli italiani, Gerry Scotti, che rivela: “Mamma e papà se ne sono andati all’improvviso e in quel momento ho provato tutta la mia impotenza”. E su TikTok…

Quando nei primi anni Ottanta Claudio Cecchetto lo presentò a Silvio Berlusconi come il volto nuovo per lanciare Deejay Television, il Cavaliere commentò: “Proprio lui che sembra il mio ragioniere?”. Salvo poi ammettere di essersi sbagliato e ai funerali di Raimondo Vianello, nel 2010, prenderlo da parte: “Quando accendo la tv e ti vedo, mi sento a casa“.

Se c’è un’icona della televisione nazionalpopolare, quella è Gerry Scotti. Mediaset è la sua tana da più di trent’anni. Rassicurante, ecumenico, trasversale. Da quando, nel ’90, Fatma Ruffini gli affidò Il gioco dei nove ha fatto di tutto, sempre macinando ascolti: Passaparola, la Corrida, ardua eredità di Corrado, Paperissima, Striscia la notizia, Io canto, Lo show dei record, The Money Drop, Avanti un altro!, giudice prima a Italia’s Got Talent e poi a Tú Sí Que Vales fino a entrare nel 2011 nel Guinness come presentatore che ha condotto il maggior numero di puntate di Chi vuol essere milionario? in tutto il mondo.

Finendo, oltre che nei salotti, anche nelle credenze di tutti gli italiani perché gli inserzionisti pubblicitari, soprattutto quelli dell’industria alimentare, vogliono sempre e solo lui come testimonial: “Forse”, spiegò una volta, “mi collegano ai buoni sapori”.

Ora Gerry Scotti ha deciso di raccontarsi in maniera insolita, attraverso gli oggetti della sua infanzia e adolescenza, nel libro Che cosa vi siete persi (Rizzoli), un memoir nostalgico e divertente che deroga alla massima di Enzo Ferrari (“vecchi si diventa solo quando i ricordi prendono il posto dei sogni”) perché i ricordi, in fondo, sono le uniche dolcezze che non fanno crescere il diabete.

C’è la “Greca”, ossia la proprietaria del bar della piazza di Camporinaldo, il paesino nelle campagne pavesi dove Scotti è nato il 7 agosto 1956 e dove ci si riuniva per guardare insieme il varietà del sabato sera davanti all’unico televisore del paese. Il set di cucito della madre a cui si accompagnava la richiesta: “Mi aiuti a infilare il filo nella cruna dell’ago?”. Il gelosino, uno dei primi registratori a nastro utilizzati negli anni Sessanta. O il Ciao, il mitico motorino a pedali della Piaggio, una delle icone dell’Italia spensierata del boom economico.

Che cosa vi siete persi di Gerry Scotti

Gerry, che cosa ci siamo persi?
“Una realtà, una vita, una società fatta di cose semplici e meno aspettative rispetto a oggi. E quando hai meno pretese, le gioie sono più grandi. È un sillogismo che viene naturale. Quella che stiamo vivendo adesso, che vivono i miei figli e i miei nipoti, è una società che non si accontenta mai, ha molti mezzi e altrettante pretese, però ho paura che le gioie siano un po’ piccole”.

Che infanzia è stata la sua?
“Semplice e spensierata, popolata da persone umili. Prima nella campagna pavese e poi alla periferia di Milano. Un’epoca in cui si cresceva sereni, dove non avevamo nulla e non ci mancava nulla. Sì, magari c’era qualche compagno di scuola che aveva un soldino in più perché il padre era medico o lavorava in banca, ma noi giocavamo con un pallone sgonfio e andavamo in tre sulla bicicletta”.

Non è troppo nostalgico?
“Eravamo spensierati, cioè non sentivamo il senso di preoccupazione e di angoscia che oggi vedo in molti ragazzi. Sapevamo di essere circondati dall’affetto della famiglia, di avere davanti il futuro e che i nostri sogni, pochi o tanti, si sarebbero realizzati. Ora che devo passare il testimone avverto un peso enorme”.

Quale?
“Sono figlio di una generazione che era convinta di lasciarci un mondo migliore di quello che aveva vissuto e questa consapevolezza per noi è stata un viatico formidabile, un’eredità preziosa, una borsa di studio. Ora non sono più convinto che lasceremo ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo vissuto noi”.

Perché ha scelto gli oggetti per raccontarsi?
“Ne ho messo solo alcuni, potevo metterne il doppio. Perché ognuno evoca fatti, persone, sentimenti della mia vita di prima, di quando non ero ancora Gerry Scotti. Mi sembrava il modo migliore per narrare la mia route 66, il viaggio della mia vita prima che entrassi in radio e iniziasse la mia carriera”.

Come deejay?
“No, mi chiamò un amico perché serviva qualcuno che mettesse in ordine i dischi alla fine di ogni trasmissione di Radio Hinterland Milano2, con sede al nono piano di un hotel di Cinisello Balsamo. Prendevo cinquecento lire all’ora. Poi una mattina mentre ero lì al lavoro, chiamò il proprietario della radio e risposi io. Il deejay di turno stava male e lui voleva andare avanti con le trasmissioni. Mi chiese: ‘Sai accendere un mixer?’. Dissi di no. Alla fine ci riuscii e iniziai a condurre”.

Gerry Christmas

Gerry Christmas è il disco del conduttore più “memato” in Italia, molto amato da TikTok e dalla Generazione Z, e qui in veste di interprete: un viaggio nei classici musicali natalizi attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale…

Se lo ricorda il primo disco che ha fatto suonare?
Wake up everybody di Harold Melvin & The Blue Notes”.

Tornando al libro, a quale oggetto è più affezionato?
“Al Ciao, il più bel motorino di sempre e non capisco perché la Piaggio non lo produca più. È l’oggetto che mi ha permesso di vivere i primi amori, mi ha fatto respirare il senso d’indipendenza, libertà e avventura perché potevo uscire fuori dal quartiere, avere a portata di mano la città, andare a trovare le ragazzine e gli amici”.

Poi c’è la calamita da auto con la foto dei suoi genitori e la scritta “Sii prudente, pensa a noi”.
“Ce l’ho ancora. In pelle verde. È stata su tutti i cruscotti delle auto di famiglia: la Topolino, la 600, l’850 e infine la 124 Special che mio padre Mario, addetto alle rotative del Corriere della Sera in via Solferino, si ‘regalò’ quando dopo tanti sacrifici fu promosso caporeparto. Era l’invito affettuoso che tutti gli italiani hanno ricevuto dai genitori a essere prudenti e non andare veloci”.

Una volta ha detto “Ho smesso di credere nei soldi quando non sono riuscito a salvare né mio padre né mia madre”. Che significa?
“Quando i miei genitori sono morti all’improvviso e senza dirmelo, e questo mi addolora ancora molto, ero già un personaggio famoso e agiato. In entrambi i casi, però, non sono potuto intervenire. Mia madre se n’è andata nel 1994 in due ore, dopo aver avuto un malore. In quei momenti capisci che tutte le tue possibilità economiche, il tuo io, la tua fama, le conoscenze, non possono fare nulla per le persone che ami”.

E suo padre?
“È sopravvissuto alla mamma qualche anno, ma erano talmente legati che si vedeva che non aveva più voglia di andare avanti. Forse con le mie possibilità avrei potuto obbligarlo ad andare in una casa di cura e avere un’ottima assistenza ma, probabilmente, più che aiutarlo, l’avrei ucciso prima. Se n’è andato piano piano, come fanno tutti i nostri anziani, magari dimenticandosi apposta di prendere le pastiglie. Io gli telefonavo la sera per sincerarmi che non se lo scordasse. E lui diceva: ‘Sì, sì, non preoccuparti’, con il tono di chi non gliene importava nulla”.

La sorprende avere oltre un milione di follower su TikTok?
“No. Ho scoperto questo mondo dei ragazzi che mi ama e mi rispetta. In tanti anni di carriera, non ho mai preso in giro i loro padri e loro mi ricambiano con un affetto quasi parentale. Non a caso sono lo zio Gerry perché allo zio si raccontano cose che ai genitori non diresti mai. Ringrazio questa generazione che mi ha dato la voglia di fare cose nuove, che nella ripetitività della mia carriera, dopo tanti anni, un po’ si è spenta”.

Aldo Grasso ha detto di lei: “Non è una Ferrari, è un trattore: lo metti e marcia. Ma non si ferma”.
“Una volta al Costanzo Show mi definì un mediano spettacolare dicendo che i campionati si vincono con i mediani. Qualche giorno fa ha scritto che Gerry Scotti merita qualcosa di più di ciò che gli fanno fare e probabilmente anche questa è un’amara verità. Io sono uno che ha sempre trovato gioia in quello che mi è capitato di fare”.

Il libro finisce con il capitolo “Buio a San Siro” che volevano tirare giù.
“Per fortuna questo pericolo è passato. L’Inter o il Milan possono farsi lo stadio che vogliono ma San Siro era e rimane la scala del calcio, lo dico con tutte le gioie che mi ha dato il Milan e con tutti i dolori che mi ha dato l’Inter. Anzi, te lo dico con la voce di Zucchero: San Siro è come il blues, non morirà mai”.

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Fotografia header: Gerry Scotti, foto Getty Editorial

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