“L’amore a vent’anni” di Giorgio Biferali, romano classe ’88, è “un romanzo d’amore, ma anche un romanzo familiare e di formazione…”, come l’autore racconta a ilLibraio.it. Nell’intervista spiega il ruolo giocato nella narrazione dall’ambientazione romana, che “prelude l’emotività dei personaggi”, e si sofferma sulla madre del protagonista (“un archetipo”) e sulla nostalgia dell’infanzia come “rifugio sicuro”…

Giulio e Silvia abitano uno di fronte all’altra. Lui lo sa, quando la incontra, volutamente per caso, in Università. Lei non lo sa, ma lo sta per scoprire. Giulio non si è mai innamorato prima, Silvia sì. Lui nostalgico di un’infanzia che pullula di bei ricordi e piccoli oggetti significativi. Lei, disillusa da storie trascorse, non crede di potersi legare a qualcuno.

giorgio biferali l'amore a vent'anni tunué copertina

Sul palcoscenico di una Roma imprevedibile ed estremamente umana nei suoi sbalzi d’umore, prende vita la loro storia: L’amore a vent’anni (Tunué) di Giorgio Biferali è qualcosa di più di un romanzo d’amore; è un’educazione sentimentale che non si limita a lui e lei, ma sconfina negli affetti familiari, nelle amicizie, in tutti i rapporti umani che lasciano una traccia nella sfera emotiva di una persona. È un romanzo di formazione, narrato in prima persona dal suo protagonista, Giulio, che si ritrova a scoprire il prezzo del biglietto d’ingresso all’età adulta: il compromesso.

Autore di una favola illustrata dedicata a Italo Calvino, Italo Calvino. Lo scoiattolo della penna (La Nuova Frontiera Junior, illustrazioni di Giulia Rossi) e del diario di viaggio A Roma con Nanni Moretti, scritto a quattro mani con Paolo Di Paolo (Bompiani), Giorgio Biferali, romano classe ’88, è al debutto nel mondo del romanzo (ed è tra i 41 titoli segnalati dagli Amici della Domenica al Premio Strega, ndr). ilLibraio.it lo ha incontrato.

Come definirebbe il suo romanzo?
“Devo ammettere che mi sto affidando molto alle parole dei lettori e alle recensioni per discuterne, perché mi rendo conto di essere ancora troppo coinvolto per poterne parlare da fuori e in maniera chiara, come dovrebbe fare un autore”.

È un romanzo d’amore?
“È sicuramente un romanzo d’amore, ma anche un romanzo familiare, e allo stesso tempo un romanzo di formazione: alla fine di questo grande flash back Giulio è cambiato e, forse, ricordare serve anche a schiarire quello che sembrava un po’ sfuocato. Mette a fuoco alcuni punti e alcuni passaggi, soprattutto quello che poi è il passaggio all’età adulta, e riesce a lasciarsi alle spalle l’infanzia”.

Infanzia di cui Giulio, all’inizio, ha una forte nostalgia.
“L’infanzia è anche un rifugio abbastanza comodo, familiare in entrambi i sensi: sia perché legato alla famiglia sia come qualcosa che un po’ riconosci. È un terreno in cui ci muoviamo, un po’ come in quella frase del film Her ‘(il passato è solo una storia che raccontiamo a noi stessi’); nel romanzo c’è un po’ di questo, perché con i ricordi ci si gioca. Oggi va di moda la nostalgia, perfino la nostalgia di tempi non vissuti, ma l’infanzia serve soprattutto a guardarsi indietro, come cartina per orientarsi nel tempo attuale”.

Gli oggetti che rievocano l’infanzia di Giulio sono estremamente dettagliati. È un aspetto autobiografico?
“La vicenda, di per sé, non è autobiografica, ma i dettagli e alcune immagini, quelle sì, fanno parte del mio vissuto. Volevo liberarmi di alcuni fantasmi, che sono fantasmi familiari ma oggetti, cose che vedo e ritrovo oggi: mi capita di trovare, a un mercatino vintage, le sorprese dell’ovetto kinder in vendita a un euro, quelle che io scartavo negli anni ’90, cose che per me non hanno prezzo. Li compro e faccio una sorta di accumulo di ricordi e di scarti del passato che mi crea un po’ di confusione e mi blocca anche nel presente”.

Scrivere aiuta a esorcizzare?
“Anche: questo romanzo l’ho visto come una sorta di autoanalisi e credo di essermi liberato di alcune cose che volevo raccontare. Mi sento più libero anche di svagare e pensare a storia completamente diverse”.

Parliamo di Roma: la città è molto più di uno sfondo nel romanzo, diventa quasi un personaggio…
“Roma è come se fosse un personaggio aggiunto, sì. Perfino il colore della copertina è stata una scelta condizionata dal voler coinvolgere Roma nel libro: abbiamo scelto il color albicocca, perché mi ricordava uno dei colori principali del crepuscolo romano. È un colore di passaggio, perché il tramonto è il momento del passaggio alla sera, quando le cose si fanno più sbiadite, per cui è molto simile a quelli che sono i passaggi dell’amore, quella fase dell’innamoramento in cui tutto è più incerto, siamo tutti più insicuri e un po’ meno noi stessi”.

E Roma mette in scena questo innamoramento.
“Perfino il meteo segue molto l’andamento della storia: nel momento in cui sta per succedere qualcosa è pronto uno di quei temporali estivi che non è tanto meteoropatia, ma più il contrario: Roma prelude l’emotività dei personaggi. Qualcuno la definiva una città che non finisce mai e io penso che sia così: per quanto sia stata consumata, letterariamente e cinematograficamente, è ancora possibile usarla come sfondo e tutto il resto”.

Il titolo invece, L’amore a vent’anni, è tratto da un film collettivo degli anni ’60. Come mai?
“Di quel film collettivo si conosce praticamente solo l’episodio di François Truffaut. Mi piaceva fare riferimento a un regista che amo molto e a quell’episodio, Antoine e Colette: il personaggio di Antoine per me è fondamentale. Con le sue sigarette e il cappotto più grande di lui, è un po’ un ragazzo che gioca a fare il grande, come Giulio, che deve misurarsi con il mondo degli adulti, al quale si deve ancora abituare. Ed è un mondo difficile, con tante ombre, ma soprattutto con il famoso compromesso, che lui non riesce ad accettare: alla fine dell’adolescenza non ci sono compromessi”.

Un personaggio adulto ben costruito è la madre di Giulio, una donna titanica.
“Lei per me è la quintessenza della madre, un archetipo. Credo molto nella figura materna, in un senso anche personale, perché ho un ottimo rapporto con mia madre. Questa madre è una figura gigante, ma mai ingombrante: ti lascia lo spazio di fare una sorta di inversione di ruolo, perché quando lei sta male, è lui a prendersi cura di lei. È un rapporto madre figlio alla pari”.

È anche un figura stimolante.
“Fa mille cose e riesce a fare tutto questo senza farlo pesare. In quelle sigarette di cinque minuti in cui il mondo si ferma si trova una una base importante su cui Giulio si muove, che tiene presente per rimanere in piedi nel mondo. La scelta finale di Giulio sarà fatta soprattutto per salvare lei”.

Oltre a quella tra Giulio e Silvia, è molto forte l’intimità domestica descritta nel romanzo, pur rimanendo in sordina.
L’amore a vent’anni non riguarda solo Giulio e Silvia, comprende anche quello che si prova per la famiglia e i genitori. È una forma d’amore che sicuramente è un modello per Giulio: sotto sotto, anche se non è d’accordo con i compromessi, sa che, pur essendoci l’amore, i suoi si sono formati sui compromessi. Ne è venuta fuori la sua famiglia che, con tutte le ombre, è una buona famiglia, unita, ed è ciò che lo fa rimanere in piedi”.

In questo senso il romanzo si può definire un’educazione sentimentale a trecentosessanta gradi?
“All’inizio i due grandi nuclei di partenza erano l’amore e la famiglia. Poi mi sono accorto che sentivo il bisogno di fare anche un elogio al rapporto con gli altri: all’amico, che c’è sempre e non lo giudica mai. Volevo scrivere un inno ai rapporti umani, all’educazione sentimentale come dovrebbe essere davvero, cercando di trovare ancora quel po’ di purezza che c’è nel mondo”.

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