Straordinario agitatore culturale, Giorgio Colli (16 gennaio 1917 – 6 gennaio 1979) ha portato i classici della filosofia al grande pubblico. Aristocratico torinese, antifascista dal temperamento dionisiaco e dall’intelletto apollineo, radicale e metodico (combinazione meravigliosa quanto rara), ha infatti sempre coltivato l’ambizione di portare la filosofia al popolo. E ora un podcast ne ripercorre la vita e la carriera nell’editoria

Il giorno di Epifania del 1979 muore nella sua casa di Fiesole, nei pressi di Firenze, il filosofo italiano più originale del Novecento, Giorgio Colli. Un podcast imperdibile in 18 puntate, da 17 minuti circa ciascuna, ne racconta la storia, che è anche un pezzo di storia fondamentale dell’industria culturale italiana: a cura del figlio Marco, voce narrante del bravissimo Edoardo Camurri.

Con tante sorprendenti notizie, una su tutte quella del nonno di Colli, Pietro, la cui attività commerciale a Torino a fine Ottocento si trovava nello stesso edificio in cui viveva Friedrich Nietzsche. E pare che il filosofo tedesco regalò a Pietro Colli una copia in tedesco dello Zarathustra, che finirà nella libreria di famiglia e più tardi nelle mani del nipote Giorgio allora sedicenne.

Antifascista dal temperamento dionisiaco e dall’intelletto apollineo, radicale e metodico, combinazione meravigliosa quanto rara, negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale Giorgio Colli sarà costretto a fuggire in Svizzera per scampare alla cattura.

podcast colli

Elabora e costruisce negli anni un sistema filosofico dal potenziale ancora parzialmente inespresso, contenuto nel suo libro teoreticamente più importante, Filosofia dell’espressione (1969).

La conoscenza è soltanto memoria”, ricordo, rievocazione. Anche l’impressione sensibile, il dato originario e immediato secondo gli empiristi, non sarebbe possibile senza memoria. Seppur da mondi differenti, l’intuizione alla radice del sistema di Colli rimanda e evoca snodi e personalità illustri della filosofia analitica come Peter Strawson o il Wilfrid Sellars di Empirismo e filosofia della mente (1956), il testo meno conosciuto dei tre che hanno segnato la trasformazione della filosofia analitica nella seconda metà del Novecento: I due dogmi dell’empirismo di Quine (1951) e le Ricerche filosofiche di Wittgenstein (1954).

Straordinario agitatore culturale, Giorgio Colli ha portato i classici della filosofia al grande pubblico. Aristocratico torinese, ha sempre coltivato l’ambizione di portare la filosofia al popolo.

Sempre distante dal mondo accademico ritenuto inadatto a trasmettere la vita che c’è nella filosofia, Colli sostiene fin dalla sua tesi di laurea su Platone che “la conoscenza si raggiunge nella comunità e per la comunità”.

Nel secondo dopoguerra Giulio Einaudi gli consegna le chiavi della collana dei Classici della filosofia, che aprirà le danze con la straordinaria traduzione dell’Organon di Aristotele.

Nel 1957 esce la sua traduzione della Critica della ragion pura di Kant, ancora oggi la migliore, ben più lucida e aderente al testo di quella di Giovanni Gentile imbrigliata nelle maglie dell’idealismo.

Il podcast è pieno di storie di vita e aneddoti. Quando gli arriva da Einaudi la prima copia dell’Organon, Colli se la porta nel letto e la notte ci dorme accanto. Uno dei suoi primi allievi, Angelo Pasquinelli, muore in Svizzera all’età di 29 anni mentre stava traducendo sempre per la collana dei classici di Einaudi i frammenti dei Presocratici. Lascerà una cassa di libri e una vecchia bicicletta.

Colli traduce ogni giorno per otto ore al giorno, la sera va al cinema e prima di rientrare a casa si ferma al bar e ordina un cappuccino. Vita e filosofia sono nel suo caso indistinguibili e anche il momento del cappuccino assume la forma di un gesto filosofico.

Nel 1958 dà corpo alla seconda straordinaria avventura editoriale che lo vedrà in prima linea e protagonista, con Paolo Boringhieri. Nasce l’Enciclopedia di autori classici, 90 volumi, fino al 1965.

Primo libro Schopenhauer come educatore di Nietzsche, opera rivolta a quei giovani che non hanno ancora deciso che strada prendere e sono alla ricerca di un maestro. “Vivere significa essere in pericolo”, scrive Schopenhauer. Con Boringhieri la missione è quella di fare classici a buon mercato. Libri per tutti. L’erudizione è mitigata sempre dalla disciplina dello studio.

Chiunque può avere accesso alla sapienza contenuta nei grandi libri e le introduzioni memorabili di Colli lo testimoniano fin dalle prime righe. Ecco l’incipit dell’Etica di Spinoza: “L’Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a loro disposizione. Se le si concede tutto questo, in cambio offre molto di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l’enigma di questa nostra vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare”.

La qualità dei libri dell’Enciclopedia è sempre altissima. Progetto grafico dell’amico di Colli Nino Cappelletti, l’autore di quel cielo stellato che diventerà il logo della casa editrice. Carattere Bodoni, corpo 12, e via con la stampa. Infine l’impresa della vita, l’“azione Nietzsche” come la chiama Colli, l’avventura straordinaria dell’edizione critica del filosofo che ha segnato più di chiunque altro il nostro tempo.

Un’impresa di valore mondiale, nata in Italia, grazie al rigore e alla determinazione di Colli e dei suoi allievi, quei ragazzi che Calvino chiamava i Nietzsche Boys: ovviamente Mazzino Montinari, praticamente il braccio destro di Colli, in quegli anni a Weimar dove si trova l’archivio con tutti gli scritti di Nietzsche, e insieme a lui, tra gli altri, Marilù Pampaloni, Sossio Giametta.

L’“azione Nietzsche” è sostenuta con forza da Luciano Foà, che conosce Colli all’Einaudi, dove arriva nel 1951 per sostituire Cesare Pavese morto suicida pochi mesi prima. Foà lascerà lo Struzzo che nel frattempo rifiuta per ragioni ideologiche l’edizione critica di Nietzsche e porterà l’impresa come struttura portante e fondamento della sua nuova avventura editoriale, l’Adelphi.

Foà riesce a coinvolgere Gallimard nell’impresa. I tedeschi, il paese del filosofo, arriveranno solo tre anni dopo, l’editore De Gruyter risponderà alle critiche del filosofo Karl Lowith, di cui Colli aveva tradotto in italiano il libro Da Hegel a Nietzsche.

Potrei andare avanti per righe e righe tanto è ricco il racconto nel podcast. Straordinaria la figura della moglie di Colli Annamaria, il Nou, l’Anima. Come anche straordinario il racconto delle serate al cinema. Nel 1956 Colli è stregato dal film L’arpa birmana di Ichikawa che preferisce a Rapina a mano armata di Kubrick.

Nel ’61 vedrà più volte La dolce vita, la trama sognante di Fellini insieme all’ordito irriverente e dissacrante di Flaiano lo conquistano.

Muore per un aneurisma il 6 gennaio 1979 all’ora del tè mentre è intento a completare l’ultimo volume della Sapienza greca dedicato a Eraclito. Sul tavolo i fogli aperti e un frammento: “Chi non spera l’insperabile non lo scoprirà, poiché è chiuso alla ricerca, e a esso non porta nessuna strada”.

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