Come le persone, anche le parole custodiscono nel proprio corpo delle storie incredibili. Una riflessione ispirata dalla lettura di “Salvato dai migranti – Racconto di uno stile di vita” di don Mattia Ferrari
Gli infanti
Come le persone anche le parole custodiscono nel proprio corpo delle storie incredibili. Una che mi ha sempre affascinato molto, ad esempio, è la parola “infante“. È composta da due parti: in dovrebbe essere una negazione; fante deriva invece dal verbo latino fari, che esprime i verbi del dire. L’infante sarebbe, letteralmente, «colui che non parla». Che noi traduciamo molto semplicemente come “bambino“.
Forse, però, possiamo sostare ancora un attimo su questa etimologia.
Perché, in realtà, quell’in potrebbe anche intendere “dentro“, suggerire un’interiorità; quel fari, d’altro canto, esprime nella lingua latina il dire, è vero, ma anche il dire profetico (fatum, appunto). Allora, un’altra possibile lettura della parola infante sarebbe “colui che custodisce dentro di sé una profezia“. Che è un bambino non per l’età anagrafica, ma per la sua vulnerabilità: colui che conserva in sé il futuro, custodisce una profezia, ma non ha ancora la forza, le parole, il modo di annunciarla.
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A questo proposito, mi vengono in mente due versi del Benedictus, il cantico che viene recitato ogni mattina durante le lodi mattutine della liturgia delle ore:
“E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo,
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade”.
Sono le parole di Zaccaria riferite a suo figlio, Giovanni il Battista. Quel bambino, quando diventerà grande, quando avrà la forza di dire, porterà fuori da sé la profezia, affidando la sua vita al deserto e diventando una voce che grida contro le ingiustizie e annuncia ideali di fraternità e di pace.
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I profeti
Mi viene da chiedermi, dopo questa passeggiata tra le parole, che aspetto abbia davvero un profeta. In che modo possiamo riconoscerlo? Nel Vangelo di Marco (1,6) leggiamo: “Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico”. Oggi dobbiamo aspettarcelo così?
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Forse no. E ne scrive con grande passione don Mattia Ferrari, nel suo nuovo libro Salvato dai migranti. Racconto di uno stile di vita (EDB), parlando di due ragazzi, Samy e Bentolo.
Entrambi camerunensi, affidano la loro vita al deserto, avendo nel cuore una profezia, la speranza di un futuro di amore in un nuovo continente. Vengono fermati dalla “Guardia costiera libica“, prima Samy e poi Bentolo. Samy non ce la farà, dopo l’esperienza del lager a Rocho Fana, il suo corpo sarà così martoriato che non potrà sognare più alcun domani. Nelle ultime ore di vita, chiede di ricevere una benedizione. Bentolo con una videochiamata su WhatsApp raggiunge don Mattia che, osservando Samy, si trova davanti a una profezia incarnata, a un futuro che non si può accettare.

Salvato dai migranti – Racconto di uno stile di vita di Mattia Ferrari (con una presentazione di Papa Francesco)
Questa storia, però, non finisce qui. Non è la morte a chiuderla. Perché Bentolo riuscirà ad attraversare il Mediterraneo, sarà salvato dalla Sea Watch 4 e, grazie all’aiuto di don Mattia, racconterà la sua storia e quella di Samy direttamente a Papa Francesco.
Questa storia non si spegne con la morte, ma con l’annuncio della profezia. Con la voce di due uomini che, duemila anni dopo, continuano a gridare nel deserto. E a farsi ascoltare.
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Quando Gesù Cristo si mette a parlare di Giovanni Battista davanti alle folle, comincia con una domanda: “Cosa siete andati a vedere nel deserto?”.
In questo nostro tempo, se trovassimo il coraggio, potremmo rispondergli così: Samy e Bentolo, i profeti.
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