“Goodbye Hotel”, secondo romanzo di Michael Bible, suggerisce l’idea che il fine ultimo di ogni essere vivente (non più solo gli umani, come nel suo acclamato esordio, “L’ultima cosa bella sulla faccia della Terra”), sia cercare di parare i colpi del destino cieco, del grande palcoscenico che è la vita, e provare a rimanere vivi…
I primi due elementi che tornano anche in questo secondo romanzo di Michael Bible, Goodbye Hotel (traduzione di Martina Testa) e che ci ricacciano immediatamente nel suo esordio narrativo, L’ultima cosa bella sulla faccia della Terra (sempre tradotto da Martina Testa) sono: la cittadina di Harmony e l’evento iniziale, quello che modifica in modo ineluttabile le vite dei protagonisti.
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Con Goodbye Hotel di Michael Bible si ha la sensazione, ancora una volta, di non avere bisogno di molto di più: le prime pagine orientano la lettura in un universo fatto di contorni sfocati e esistenze sempre un po’ secche, sul punto di scoppiare, di collidere con la realtà che li circonda, senza avere certezza della sopravvivenza.
Il suo stile, la sua voce risuonano subito a chi ha già letto il suo esordio e cercano il solito patto narrativo: fermarsi un passo prima dell’apocalisse per vederla accadere. Micheal Bible anche in questo romanzo, come nel primo, ci mette nella condizione di avere degli appigli – gli anni Duemila, la cittadina di Harmony “piena di persone che desiderano disperatamente qualcosa di meglio”, due adolescenti che tornano da una festa di notte e Mulberry Road, la strada dove la cosa sta per succedere.
Una overture, quattro capitoli, per altrettanti protagonisti, e una storia che in questo modo si fraziona, ciascuna per raccontare un pezzo della narrazione principale. François, Lazarus, Eleonor e Little Lazarus ci accompagnano attraverso le loro vite che si intersecano l’una nell’altra e, capiamo fin da subito, ci dicono che Goodbye Hotel è fatto di frammenti che si sparpagliano e di tanto in tanto si ricompongono.
L’overture racconta l’evento scatenante, la scena in cui François, Eleonor, Lazarus sono insieme e succede un incidente che cambierà le loro vite e quella di Little Lazarus. L’antefatto indica che senza quel momento in un non meglio precisato passato, niente altro sarebbe accaduto. Le premesse narrative però sono anche premesse emotive: è chiaro che François e Eleonor sono in auto insieme perché sono coinvolti l’uno dall’altra, perché c’è una storia personale tra di loro, e fuori Lazarus e il suo accompagnatore con una tuta da Seersucker sono lì per un destino che deve compiersi.
“Era più un vagabondo. In un luogo e in un’epoca diversi lo avrebbero definito un flâneur o un boulevardier squattrinato. Harmony l’aveva ribattezzato Seersucker. Lui e la sua tartaruga, Lazarus, giravano di città in città predicendo il futuro”.
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Nelle storie di Michael Bible le collisioni sono micce incendiarie, più o meno metaforiche, e coinvolgono i personaggi in gradi differenti ma mai senza conseguenze. Il fuoco, l’incidente – il fuoco è accezione dell’apocalisse, l’incidente invece è inettitudine alla vita degli esseri umani che commettono un errore fatale – sono motivazioni narrative ma anche emotive e innescano la storia e ne giustificano il proseguo. Senza incidente, François e Eleonor non avrebbero vissuto come hanno vissuto, non avrebbero vagato e cercato qualcosa, non avrebbero continuato a pensare l’uno all’altro e in ultimo non avrebbero continuato a rimanere legati.
Scrive Bible a proposito dell’evento: “È qui che il passato diventa futuro. Due tartarughe, due innamorati e un uomo con un completo di Seersucker. Tutti destinati a questo luogo e a questo tempo”.
Lazarus e Little Lazarus sono due tartarughe: nell’overture una si trova per strada intenta a rosicchiare una mela caduta, l’altra in una scatola in camera di Eleonor, in una casa gialla non lontano da lì. Nella scena è presente anche Little Lazarus, perché casa di Eleonor si vede dalla strada dove ha luogo l’incidente e questo per la struttura narrativa del racconto è fondamentale: Bible sintetizza tutti gli elementi principali in un unico quadro, li fa stare tutti nella stessa cornice e nell’attimo esatto in cui le cose succedono è importante che siano sempre tutti presenti, altrimenti il destino non si compie.
Somiglia quasi a un incantesimo narrativo: c’è la sospensione, il rito, la formula magica, il fatto che si compie e che non è certo che si possa annullare.
Dopo l’overture, si passa ai quattro capitoli principali, in cui ogni personaggio prende la parola e narra la propria versione della storia. Non racconta però solo l’incidente, ma anche il prima e il dopo. Ciascuno di loro annoda i fili della propria vita come se questo fosse il punto centrale e di svolta, da cui poi sarebbe disceso tutto il resto. Dopo l’incidente, François e Eleonor si separano, ma si penseranno costantemente e vivranno nell’incostanza, nel ricordo, nel senso di colpa dell’abbandono. Lazarus e Little Lazarus si passano un testimone e vivono per essere loro stessi testimoni. Little Lazarus più di tutti è il personaggio che guarda tutti, conosce le ragioni degli altri, sente l’incidente accadere e anche per lui le cose cambieranno, ma lo faranno in un modo un po’ diverso: a lui è infatti destinato l’ultimo capitolo del libro, quello dedicato al riannodare i fili per raccontare il futuro.
Lazarus e Little Lazarus sono tartarughe e sopravvivono agli umani che incontrano, al dolore quanto alla gioia. Riescono, per tutto il corso del romanzo, ognuno per la sua parte, a introdurci nei mondi e a presentarci le persone che via via incontrano nella loro esistenza. Non solo François e Eleonor ma anche la figura del Seesucker e di chi si è preso cura di loro nel corso del tempo. Per tutto il romanzo c’è una storia che riguarda le due tartarughe e la loro funzione primordiale: quella di essere le creature più longevi della Terra e dunque avere la precisa responsabilità della testimonianza. Non con parole o gesti ma con la loro stessa presenza, con le loro azioni di animali che lasciano tracce, eredità, conseguenze per il solo fatto di esistere, almeno finché non sono colti da un evento fatale che li riconduce, come un essere umano, al ricordo che scalda l’esistenza.
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Goodbye Hotel suggerisce l’idea che il fine ultimo di ogni essere vivente, non più solo gli umani come in L’ultima cosa bella sulla faccia della Terra, sia cercare di parare i colpi del destino cieco, del grande palcoscenico che è la vita e provare a rimanere vivi per il maggior tempo possibile, nelle migliori condizioni possibili e su piani narrativi differenti, dentro questo romanzo, c’è sempre un gruppo di esseri umani che cerca di cavarsela, un altro che invece ce la fa, quello dei Seesucker, perché essi si impegnano a vivere solo con ciò che hanno e di ciò che riescono a ottenere, seppur espedienti. Niente di più. “L’unica regola è che non devi mai parlare mentre indossi il completo e non devi mai restare nello stesso posto troppo a lungo”.
Sembra implicito che l’essere umano che vive come la tartaruga, in simbiosi con la tartaruga, alla fine ottenga ciò che desidera, liberandosi del superfluo. C’è una convinzione francescana quasi a prendere questa strada, in netta contrapposizione con chi nel romanzo è sempre a un passo dalla collisione fatale: cerca l’amore, il calore, il senso ultimo della vita nell’opportunità di darsi a ogni piacere conosciuto.
“Dicono che due particelle possono avere un legame così forte da cambiare direzione nello stesso istante a un milione di chilometri di distanza. Una danza cosmica che supera il tempo e lo spazio. Non sono abbastanza intelligente da sapere se è vero. Ma mi piace pensare che ogni momento possa essere così intrecciato a un altro, legato per sempre, che il tempo e lo spazio perdono importanza”.
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