La scrittrice sudcoreana Han Kang, in occasione dell’uscita di “Atti umani” (dopo il successo de “La vegetariana”), conversa con ilLibraio.it e spiega il motivo che l’ha spinta a scrivere di un momento tra i più sanguinosi nella storia del suo paese, il massacro di Gwangju: “Riflettere sulla violenza e sull’umanità”. Dice la sua anche sul pericolo rappresentato dalla Corea del Nord e si dice a favore di una “globalizzazione della cultura”. Inoltre, svela il suo interesse per autori italiani come Primo Levi, Giorgio Bassani e Italo Calvino, oltre che per la scrittrice indiana Arundhati Roy… – L’intervista

Han Kang, dopo il successo de La Vegetariana (Adelphi, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) che ha vinto il prestigioso International Booker Prize, torna in libreria con Atti umani (Adelphi, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra), grazie al quale l’autrice ha ricevuto anche il Premio Malaparte.

Se La Vegetariana è la storia di una donna che decide di opporsi alla violenza e al dolore, Atti Umani è quella di una cittadina, Gwangju, e dei suoi abitanti che si sono opposti al colpo di stato militare di Chun Doo-hwan. Tutto inizia quando i militari aprono il fuoco su una protesta pacifica e sfocia in un massacro. Donne, uomini, perfino studenti delle scuole medie. I corpi vengono raccolti da decine di giovani volontari negli edifici pubblici della città, ma ben presto i militari prendono in mano la situazione e la risolvono con ulteriore violenza: i cadaveri bruciati, i volontari incarcerati o uccisi.

Han Kang

Da un evento storico sanguinoso Han Kang trae spunto per imbastire un romanzo corale che trascende il tempo e mostra al lettore le conseguenze della violenza a breve e lungo termine. Caduti, sopravvissuti, prigionieri,  dissidenti, editori vessati dalla censura: tutti accomunati dall’aver preso parte alla resistenza il giorno del massacro, il 18 maggio 1980.

Han Kang, perché ha scritto un romanzo sul massacro di Gwangju, un momento buio della storia del suo paese, la Corea del Sud?
“Sono nata a Gwangju, ma la mia famiglia si è trasferita a Seul quando ero piccola, solo pochi mesi prima del massacro del 18 maggio del 1980. Non ho mai pensato di scrivere dell’evento finché non mi sono trovata a vivere una sorta di blocco emotivo che ha fatto tornare a galla delle domande viscerali che mi sono posta fin dall’infanzia. Cosa può definire una persona se parliamo di violenza?”.

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Infatti Atti Umani affronta la sofferenza e la violenza, temi che ha già trattato anche ne La vegetariana
“Esatto, ne La vegetariana, però, si tratta di un punto di vista individuale: una donna rifiuta la violenza e il dolore. In Atti Umani il punto di vista è universale, c’è un rifiuto della violenza e una riflessione sull’umanità intera”.

In entrambi i romanzi il corpo e le sensazioni percepite attraverso di esso hanno uno spazio predominante: quanto è importante scrivere anche della fisicità?
“Sono asiatica e per me il corpo e la mente sono entità ben unite: non concepisco una divisione tra le due parti. Probabilmente per questo motivo racconto il corpo”.

Atti Umani è un romanzo corale, ma molte delle voci sono di donne. Perché adotta spesso lo sguardo femminile?
“Ci sono delle caratteristiche che mi fanno sembrare le donne più capaci di provare compassione, per questo c’è una grande presenza di voci femminili. Inoltre ho voluto fare un tributo alle donne di Gwangju che si sono distinte per coraggio e attivismo e dare dignità alle loro voci”.

Parliamo ora del presente: le politiche della Corea del Nord e degli stati vicini la preoccupano?
“Il plurale mi sembra la scelta giusta, perché fa riflettere: il problema non è un solo stato governato da un personaggio pericoloso, ma una dinamica che interessa numerose nazioni, come Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti. La preoccupazione è ovvia in questa situazione. Anche perché le logiche che muovono le guerre sono ben lontane dagli interessi del popolo, ma dipendono dal mercato delle armi e da speculazioni e dal desiderio di profitto dei potenti”.

Recentemente il mondo della letteratura sta dando spazio a numerose opere di autori orientali. Come se lo spiega?
“Si tratta di un fenomeno molto positivo di apertura ad altre voci. Mi sembra importante per capire le culture diverse e far riflettere sulle similitudini e le differenze. Dietro c’è la globalizzazione che sta unificando sempre di più la cultura”.

La globalizzazione: non teme che un giorno porterà a un’unificazione totale della cultura?
“La globalizzazione è un processo inevitabile che porta alla condivisione e all’ibridazione. Sono ottimista perché credo che esistano tratti incancellabili della cultura di ogni paese. Io mi sento una cittadina del mondo e spero che in futuro ci sarà un’unione e un contatto tra culture che permetterà di vedere tutto con più chiarezza. Una consapevolezza comune non permette di celare la verità”.

Chi sono gli autori contemporanei che ama leggere?
“Mi piace leggere di tutto, non mi dispiace neanche quello che scrivo. Stimo molto Arundhati Roy: ho letto Il dio delle piccole cose e ora sono molto curiosa di leggere Il ministero della suprema felicità. Sono stati scritti a vent’anni l’uno dall’altro e intanto la scrittrice si è dedicata all’attivismo. Una scelta molto interessante. Amo anche Amos Oz e tra gli italiani Primo Levi, Italo Calvino e Giorgio Bassani, che ho scoperto grazie a un amico”.

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