“I miei giorni a Parigi” è, insieme, un memoir e un racconto storico, scritto da Banine (pseudonimo di Umm-El-Banine Assadoulaeff) e pubblicato in Francia nel 1947. Nelle sue pagine c’è l’emancipazione di una donna profondamente novecentesca, figlia di una ricca famiglia di petrolieri azeri, prigioniera liberata da un matrimonio combinato e personaggio capace di attirare a sé le figure più singolari del suo tempo. Per Banine, la capitale francese è liberazione e nuova vita – dopo quelle trascorse a Baku e a Istanbul – e questo libro è una restituzione onesta di cosa significhi costruirsi una casa, una vita e un futuro a propria immagine…

“L’Orient Express sfreccia con tutta la sua potenza verso di lei, la Terra Promessa”. Comincia così I miei giorni a Parigi (Neri Pozza, traduzione di Sonia Folin) e comincia così anche la storia di emancipazione della sua autrice, Banine.

I miei giorni a Parigi

Banine, pseudonimo di Umm-El-Banine Assadoulaeff, è una scrittrice di origine azera nata a Baku nel 1905, figlia di una madre morta dandola alla luce e di un ricco industriale.

Banine, dunque, è stata l’ultima di quattro figlie, con tre sorelle di parecchi anni più grandi di lei. Per questo, è stata una bambina piuttosto sola, ma in definitiva felice e fantasiosa, cresciuta nel fermento di una famiglia di milionari del petrolio, “incredibilmente, si potrebbe dire ridicolmente, ricchi — che in una generazione erano passati dalla condizione contadina alla plutocrazia grazie al petrolio scoperto sulla loro terra”.

La sua infanzia trascorre in una villa sfarzosa, sola sì, ma sempre circondata da familiari e amici, in un ambiente fedele alle tradizioni musulmane e azere, e tuttavia aperto alla “modernità occidentale”. Non per altro, nel corso della sua crescita Banine viene istruita da diverse governanti europee – tedesche, inglesi e francesi.

Dopo la sua infanzia trascorsa a Baku, Banine si sposta a Istanbul (o, meglio, a Costantinopoli) dove nel 1920, all’età di soli quindici anni, sposa un avvocato di molti anni più vecchio.

Il matrimonio combinato era stato frutto di un accordo per liberare il padre di lei dal carcere, dove era finito dopo la Rivoluzione Russa.

Quando nel 1924 Banine sale sull’Orient Express, il padre – insieme alla sua nuova moglie, alle altre figlie, al marito di una di loro e ad altre persone care – vive a Parigi. Nel suo viaggio da Istanbul alla capitale francese, Banine sogna una vita libera, un nuovo inizio.

“Stavo già vivendo una vittoria enorme: l’arrivo in Terra Promessa dove finalmente approdavo, dopo la fuga dal Caucaso e poi da Costantinopoli, dove avevo abbandonato mio marito subissandolo di false promesse. Lui sperava di raggiungermi; io speravo di non rivederlo mai più. Pover’uomo, vittima come me della Storia che avanza e ci annienta”.

La prima vera casa di Banine, a Parigi, è una stanza di servizio al settimo piano di un edificio in zona Champ-de-Mars, “dove abitava un’amica (ancora ricca) dei miei genitori. Un dettaglio cambiava però la situazione: non sarei andata a stare nel suo bell’appartamento, bensì in una stanza della servitù che al momento non era occupata”. Il primo lavoro è quello di mannequin per la prestigiosa casa di moda Worth: “Per la prima volta nella vita ero libera, di una libertà totale che mi faceva girare la testa”.

È così che inizia a prendere forma la vita parigina di Banine, circondata da emigrati russi, da artisti e dalla sua famiglia. Ma se i suoi compatrioti in esilio vivono di ricordi e pretese, Banine preferisce addentrarsi nella contemporaneità, cogliendo le opportunità di emancipazione che Parigi le offre.

Aiutata dalla sorella Zuleykha, che ora ha un pittore spagnolo come amante, e dalla sfacciata cugina Gulnar, Banine si trasforma in un modello di liberalismo occidentale. Si toglie il velo, si taglia i capelli, impara a truccarsi e si avventura nella sregolata Montparnasse degli anni Venti, terra di artisti e follie. È qui, nei caffè della zona, che si ritrova a stretto contatto con Ossip Zadkine, Ernest Hemingway e altri personaggi di questo calibro.

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Sfilano così, tra le pagine de I miei giorni a Parigi, generali russi, principi georgiani, artisti bohémien, ereditiere americane e i frequentatori malinconici dei locali notturni russi della città. E sfila Gulnar, il suo amante tedesco.

La vita di Banine “è quella di un personaggio da romanzo che ha attraversato il secolo, attirando, come un magnete, le più singolari figure del suo tempo”.

Un po’ memoir, un po’ racconto storico, I miei giorni a Parigi – che arriva dopo I miei giorni nel Caucasosi legge come un romanzo, con la sua prosa sontuosa e spietata. L’opera di Banine è un inno alla libertà, all’emancipazione, ai nuovi inizi e ai “non è mai troppo tardi”. Tuttavia, non manca di criticare l’eredità coloniale della Russia, che ha negato la speranza di una nuova vita a molti suoi compatrioti in esilio.

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