“I ricordi dell’avvenire” di Elena Garro (1916 – 1998) è un romanzo sulla disuguaglianza, sull’abuso di potere, sulle forme di repressione e violenza a cui sono soggette soprattutto le donne. Ed è l’occasione per (ri)scoprire una delle più importanti scrittrici messicane

“Da dove arrivano le date? E dove vanno? Viaggiano per un anno intero e, con la precisione di una freccia, si conficcano nel giorno stabilito, ci mostrano un passato, presente nello spazio, ci abbagliano e si spengono. Si levano puntualmente da un tempo invisibile e in un istante recuperiamo il frammento di un gesto, la torre di una città dimenticata, le frasi degli eroi disseccate nei libri o lo stupore del mattino in cui il battesimo ci ha dato un nome”.

I ricordi dell’avvenire di Elena Garro

A prendere parola ne I ricordi dell’avvenire di Elena Garro (Sur, traduzione italiana di Francesca Lazzarato) è Ixtepec, paese messicano finzionale ispirato a Iguala, località dove l’autrice è cresciuta, all’indomani della Rivoluzione, poco prima dello scoppio della guerra civile, conosciuta come Guerra Cristera.

Ixtepec si fa portavoce di una condizione generale dei suoi abitanti, soggetti a crimini, violenza e abusi continui, in cui la giustizia è presa come un gioco dei più forti e la decadenza è il punto di partenza del racconto.

Il paese è più di un oggetto animato o di un semplice strumento di narrazione: apre le porte del romanzo, è il racconto stesso; mentre percorre le strade, si fa spazio tra la gente, si intrufola nella piazza e sotto agli alberi, ci indica la trama, apre il sipario ai personaggi e come un’esistenza-essenza che tutto sa e tutto vede, tira i fili della memoria e della storia.

È su questi due piani, infatti, che si sviluppa il romanzo; da un lato la memoria, custodita dal paese stesso e dal suo essere vivo in un tempo eterno, che ha un passato, un presente e un futuro: “Gli angoli delle mie strade e i miei cieli rimasero senza campane, le feste e le ore vennero abolite e io retrocessi fino a un tempo sconosciuto. Mi sentivo strano senza domeniche e senza giorni della settimana” o ancora: “Sono passati molti anni, nessuno dei Moncada è più tra noi, resto solo io a testimoniare la loro sconfitta e ad ascoltare ogni giorno, alle sei del pomeriggio, l’arrivo del treno da Città del Messico”.

Dall’altro la storia, che è il tempo del ricordo, lo spazio dei personaggi, in cui questi vivono, dando movimento e passione al racconto: “In piazza, Andrés si rifugiava sotto il tendone della sua bancarella di dolciumi e con un piumino rosa scacciava le vespe e le mosche, che si posavano avide sui pasticcini al cocco”.

Lo sguardo di Ixtepec è complice nei confronti dei personaggi: soffia nel vento, si perde nell’aria e li sfiora, accendendo in questo modo la narrazione, illuminando amori impossibili, scomparse, uccisioni, malignità e soprusi.

Ixtepec è un luogo in cui crediamo subito: è vivo, ci parla, ci sussurra nelle orecchie la verità celata dai personaggi, in un gioco di palcoscenico e dietro le quinte che si muove costantemente. Garro scrive affreschi e ci regala un personaggio che facciamo fatica a tenere insieme: ora ci tira ora ci sfugge. Proviamo a rincorrerlo e molto presto ci rifugiamo in lui come lettori, lo cerchiamo e quando abbiamo bisogno di un parere è a lui a cui chiediamo di prendere parola. L’incantesimo che Elena Garro costruisce è delizioso, ci sorregge dentro un mondo effervescente, variopinto, pieno di personaggi indimenticabili e che possiamo vedere e toccare quasi con mano: il generale sanguinario e la corte di militari, il matto del paese, le famiglie rispettabili, il prete, e di questa collezione di uomini e donne rimaniamo agganciati a scrutare e sbriciare ogni cosa, ogni piccolo movimento della loro vita.

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La protagonista di I ricordi dell’avvenire, Isabel Moncada, è una sorta di pretesto: si muove nel racconto, il romanzo è il suo, ma non esiste senza Ixtepec, non ha volontà senza la volontà del paese intero, si colora quando Ixtepec lo decide e questo disegno superiore che la sovrasta rende la sua vita, come quella degli altri personaggi, ineluttabile.

Isabel “poteva trasformarsi in una cometa, fuggire e cadere nello spazio senza lasciare tracce visibili di sé”; Julia è “una creatura la cui fragilità attirava violenza”; Francisco Rosas, “il generale alto e violento, […] incapace di disegnare i suoi giorni, viveva fuori dal tempo, senza passato né futuro”.

L’unico che sembra scostarsi dagli altri e che anche il paese non sa come definire è Felipe Hurtado, l’anima rivoluzionaria, portatore a Ixtepec di un sogno sconosciuto e che incarna il forestiero, colui che non si conosce e quindi è quasi una speranza, lontano dagli orrori abitudinari.

I luoghi nel romanzo hanno un ruolo duplice: non sono solo spazi in cui accadono i fatti ma sono anche attori che in modo più o meno rilevante danno un aiuto o sono da ostacolo ai personaggi. La casa dei Moncada, ad esempio, assume dei contorni emotivi, che vanno di pari passo con i sentimenti dei componenti della famiglia e l’Hotel Jardín ha un’anima: “La vita era segreta e appassionata. La gente sbirciava dai balconi, cercando di scorgere qualcosa di quegli amori e quelle donne, tutte belle e stravaganti e tutte amanti dei militari”.

Le strade, il treno delle sei del pomeriggio, la chiesa e il cimitero si tingono, sono parte del paese ma anche organi vitali che lo lasciano a soffrire, ad amare, tanto a vivere quanto a morire. In questo modo, non esistono spazi in cui i personaggi possono nascondersi. Il paese lascia aperte tutte le porte e l’intimità è sempre svelata (o mal celata).

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I personaggi femminili e quelli maschili sono in questo romanzo in perfetta dicotomia: Isabel è una donna anticonformista, le relazioni sono descritte secondo le dinamiche di coppia in cui gli uomini sono sempre agenti di sopraffazione e le donne hanno il sogno e la convinzione di liberarsi di loro, di fuggire, di scappare, di essere diverse. Il generale Rosas è l’esempio di questo atteggiamento e fin da subito lui come altri appaiono sconfitti: non lo sono nelle vicende narrate, quanto da un punto di vista etico: da qualche parte, in un momento del passato o del presente o in un ricordo dell’avvenire i soprusi saranno puniti, la violenza debellata, la libertà conquistata.

Il paese e i luoghi in generale parteggiano per le donne, le sostengono. Sono complici quando esse vogliono mettere in atto il riscatto e tanto per Julia quanto per Isabel, ad esempio, la distanza e la vicinanza sono le misure della loro esigenza di emanciparsi, ma sono anche le modalità che ha Ixtepec di avvicinarle, farcele incontrare e poi tenerle lontane, affinché possano condurre la vita che vogliono e fare le scelte che desiderano. Ma non solo: registrano anche i soprusi, affinché non vengano dimenticati.

I ricordi dell’avvenire di Elena Garro (Puebla de Zaragoza, 11 dicembre 1916 – Cuernavaca, 22 agosto 1998) è un romanzo sulla disuguaglianza, sull’abuso di potere, sulle forme di repressione e violenza a cui sono soggette soprattutto le donne e come annota Guadalupe Nettel nella prefazione (traduzione italiana di Giulia Zavagna): “In un’epoca in cui essere femminista era ancor più eroico di oggi, Elena Garro ragiona in tutta la sua opera sull’oppressione vissuta dalle donne non solo nella società ma anche all’interno della coppia”.

Lo scritto di Guadalupe Nettel restituisce una cornice molto importante per collocare il romanzo all’interno dell’opera dell’autrice e all’interno della storia della letteratura messicana, anche perché di Elena Garro abbiamo molto probabilmente letto poco e niente e questo romanzo ci regala un tassello prezioso per cominciare (finalmente) a conoscerla.

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