La storia dei corpi che abitiamo e la storia di come li abitiamo: torna in libreria “Il corpo in cui sono nata”, memoir di Guadalupe Nettel. L’autrice messicana ripercorre la propria infanzia e adolescenza tra Messico e Francia in seno a una famiglia progressista che, suo malgrado, si trova a fare i conti con gli anni ‘70 e la fine di una certa utopia…

Pubblicato la prima volta nel 2014 in Italia da Einaudi, torna in libreria Il corpo in cui sono nata di Guadalupe Nettel grazie a La nuova frontiera (traduzione di Federica Niola), che dell’autrice ha già pubblicato Petali, Bestiario sentimentale e La figlia unica.

Il corpo in cui sono nata è un memoir in cui l’autrice messicana ripercorre la propria infanzia e adolescenza tra Messico e Francia in seno a una famiglia progressista che, suo malgrado, si trova a fare i conti con gli anni ‘70 e la fine di una certa utopia.

guadalupe nettel copertina il corpo in cui sono nata

Sin dalle prime pagine Nettel traccia alcune delle linee che si svilupperanno lungo il racconto: il rapporto con il corpo, il rapporto con le altre specie, in particolare con gli insetti, e il rapporto tra educazione e classe. Da subito scopriamo infatti che Nettel è affetta dalla nascita da un disturbo alla vista che spinge i genitori a cercare vari consigli medici e tentare varie procedure per migliorarlo, come bendare l’occhio sano per allenare quello malato o tenere la testa in una scatola buia per riposare la vista. Già qui si intuisce che la vista non è solo un difetto fisico, ma una metafora che permette di inquadrare il racconto di Nettel, tanto che, non a caso,il libro si concluderà proprio con l’appuntamento da un oculista per un’operazione che dovrebbe, secondo la madre, finalmente risolvere questo difetto. Eppure è proprio questo difetto che permette a Guadalupe di sviluppare una “vista” più acuta sul mondo che la circonda.

Proprio perché isolata a causa di quella che originariamente sembra una deficienza, e che ha la forma di una grossa benda sull’occhio, Nettel comprende sin da giovane cosa significhi guardare il mondo non solo “con occhi diversi”, ma anche da un punto di vista minoritario. Perché appartiene al gruppo dei “deformi” (così si definisce con durezza da bambina), spesso si trova al margine, eppure in questo margine, come spesso accade, riesce a sviluppare poteri nuovi, come ad esempio quello dell’immaginazione che la porterà a scrivere sin da piccola storie che incantano i compagni, e a sviluppare una profonda empatia per quelli di loro che come lei vivono in questo margine.

Lo sforzo di correggere il problema da parte dei genitori, e della madre in particolare, pone l’attenzione sulla riflessione attorno al ruolo dell’educazione, per la quale Nettel ha un’opinione piuttosto chiara: il progressismo dei genitori, tipico di una certa generazione, che vede nella trasparenza e nella mancanza di autorità e limiti la sua forma migliore, non è necessariamente la via più adatta per crescere persone liberali e aperte. A un’eccessiva liberazione sessuale nei genitori può talvolta corrispondere una certa ritrosia e insicurezza nei figli, così come nell’autorità e freddezza (si veda la relazione con la nonna) a volte può rivelarsi un forte amore e sostegno.

L’educazione dunque cerca di “raddrizzare” e “curare” la vista, ma non sempre l’accanimento porta ai risultati migliori. In certi casi bisogna lasciare il corpo, e lo spirito per riflesso, svilupparsi liberamente perché nell’accettazione di quel che si è e si ha può nascondersi molta più bellezza e ricchezza della forma “perfetta” a cui si tende.

La vista sembrerebbe, o potrebbe, essere anche lo strumento magico che permette a Nettel bambina e poi scrittrice di muoversi con facilità tra una visione realista e una visione quasi fantastica della vita, tipica della scrittura, ma anche di una certa tradizione latinoamericana, da cui però il libro si tiene a distanza. Così in vari punti torna una fascinazione per gli insetti, sia per la loro posizione marginale nella vita degli umani, che per la loro resilienza in un mondo in continua evoluzione. Rapportandosi più volte agli insetti e descrivendone la fascinazione l’autrice paga anche tributo a due autori la cui influenza si può percepire nelle sue pagine, Cortazar e in particolare Kafka che raccontando di axolotl e scarafaggi hanno indagato la natura umana.

Spostandosi tra continenti e case, raccontando le vicende a tratti picaresche dei genitori, illuminando con brevi e improvvisi lampi la storia del Messico negli anni ‘60-’70, Nettel racconta una storia personale in cui si trova una dimensione universale: la storia dei corpi che abitiamo e la storia di come li abitiamo. Perché è tramite questi, come dirà la voce narrante nel rivolgersi a una misteriosa dottoressa Sazvlaski, presumibilmente la sua psicanalista, che percepiamo il mondo e in esso prendiamo parte.

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