“Mi fa orrore il mondo politico attuale. Ho voluto immaginare un rappresentante di quello che chiamo Partito nuovo, che rappresenta il Movimento 5 Stelle e che non è lontano da altre forme di politica attiva che hanno segnato la nostra storia recente, ma in questo caso coincide con una grande dispersione, di forze, di risorse, di idee”, Alberto Rollo dialoga con ilLibraio.it in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo: “Il miglior tempo”. Nell’intervista, l’autore ed editor racconta le tematiche principali del libro e gli aspetti più importanti della sua scrittura

Alberto Rollo conosce bene i meccanismi della narrazione e delle storie: dopo aver lavorato una vita intera sui libri degli altri, in case editrici come Feltrinelli, dove è rimasto come direttore letterario per più di vent’anni, ma anche come Baldini+Castoldi e Mondadori, di cui è attualmente consulente per la narrativa italiana. Ai progetti personali, invece, si è dedicato soprattutto nell’ultimo periodo: per l’editore pugliese Manni, infatti, è uscito nel 2016 con Un’educazione milanese, in cui ha esplorato la forma del memoir e con L’ultimo turno di guardia, un monologo in versi del 2020.

Da pochi giorni Rollo è tornato in libreria con il romanzo Il miglior tempo (Einaudi Stile Libero), un’opera di narrativa in cui segue le vicissitudini esistenziali di un giovane irrequieto e carico di un’incontenibile sete di conoscenza: Filippo Cantor Castelli, un personaggio complesso, inafferrabile nella sua perenne fuga. Seguendone le tracce, si incontrano per intrecciare imprevedibilmente le proprie storie il suo pediatra e primo maestro di vita, il dottor Romagnoli, e una scalcagnata famiglia di personaggi, come la fidanzata di Cantor, Anna, o l’amico Sabir, avvocato di origini pakistane.

Il miglior tempo inizia come storia di un singolo e si trasforma di pagina in pagina nella storia di molti, un romanzo corale in cui Rollo si diverte a dare voce al riflessivo e più anziano Romagnoli e a seguire, con un narratore esterno lirico e attento, le peregrinazioni di Cantor dalla Pianura Padana al meridione.

Alberto Rollo, Il miglior tempo, Einaudi Stile Libero

Dopo una vita passata a lavorare sui libri degli altri, negli ultimi anni si è dedicato ad alcuni progetti personali, tutti usciti a poca distanza di tempo: il memoir Un’educazione milanese, il monologo in versi L’ultimo turno di guardia e infine Il miglior tempo, in cui ha scelto una forma di narrativa “pura”.
Come dice l’amico Andrea Bajani, siamo di fronte a un ‘Rollo desecretato’. E forse è davvero così. Tutto è cominciato con un progetto antichissimo, Un’educazione milanese, a cui ho iniziato a lavorare alla fine degli anni Novanta per la rivista Linea d’ombra. Però il mio mestiere è sempre stato quello editoriale e per almeno trent’anni non mi è mai venuta la tentazione di passare alla scrittura. Quando quella tentazione è arrivata, ho riannodato i fili di due progetti del passato: Un’educazione milanese, appunto, e L’ultimo turno di guardia. Il miglior tempo nasce invece più recentemente, circa due anni e mezzo fa: dapprima avevo in mente di giocare con la narrativa, diciamo così ‘tecnicamente’, ma, nel momento in cui ho cominciato a scrivere, la scrittura ha chiesto subito ‘serietà’ e di gioco ce n’è stato ben poco. Sono stato visitato dalla figura di un giovane inquieto, estremo, antipatico, provocatore, che mi ha veramente ossessionato. E alle ossessioni bisogna obbedire: così è nato Filippo Cantor Castelli”.

Il romanzo ha una struttura a capitoli alternati, in cui a una voce personale, quella del pediatra Romagnoli, si succede la voce, più lirica, di un narratore esterno.
Mi sono reso conto che una narrazione in terza persona non avvicinava Cantor a sufficienza al lettore e io stesso non mi sentivo abbastanza coinvolto nella storia. Per questo motivo ho cercato una voce che mi somigliasse, quella del dottor Romagnoli. Romagnoli è il primo maestro che Cantor trova (o crede di trovare) e fa il pediatra: una specializzazione che mi ha sempre attratto. La vicenda di Romagnoli mi ha coinvolto, e mi sono divertito a riflettere su questo personaggio, che ha qualche anno più di me, è innamorato della musica (soprattutto di Robert Schumann), è vedovo ma è in continuo colloquio con la moglie, Lena, che è stata fondamentale per lui. Romagnoli mi consentiva di portare in scena una convivenza e un conflitto di generazioni”.

Infatti Cantor e Romagnoli sono anagraficamente molto distanti: ci sono punti di contatto tra queste due generazioni?
No, non credo ce ne siano veramente. Romagnoli fa fatica a intendere la vita di Cantor. Perché Cantor non si fa prendere, porta ogni esperienza all’estremo. E Romagnoli sa cosa vuol dire l’estremo, ma non l’ha mai conosciuto in questi termini, così fortemente individuali e slegati dal contesto pubblico. Cantor, da parte sua, prova a stare ‘nel mondo’, vuole essere utile, ma non ci riesce. Tutte ciò che fa, lo fa bene: sa fare l’infermiere, sa fare il muratore, sa industriarsi, si mette in gioco, sa prendere partito per i raccoglitori africani nei campi di pomodori del Sud, ma non porta nulla a compimento. E questo è un elemento che li distanzia, perché Romagnoli ha vissuto una vita in cui aveva un senso ‘compiere’, ‘portare a termine’. Mi chiedo anche se quella di Cantor sia veramente una generazione e non invece la somma di tante individualità: il mondo di Cantor è poliglotta, inclusivo, ma anche molto segnato da esperienze vissute segmento per segmento, difficilmente riconducibili a un progetto universale”.

Il romanzo comincia con due protagonisti forti, Cantor e Romagnoli, poi di pagina in pagina viene popolato da altri personaggi, che reclamano il loro spazio e crescono di importanza.
Cantor assiste a una morte, allo spreco di una vita in un incidente stradale, e deve fare i conti con questo trauma che lo spezza e lo getta nel mondo. Non avendo dato al Miglior tempo, deliberatamente, una struttura di tipo romanzesco, gli altri personaggi costituiscono, con le loro individualità, il tessuto del racconto, sono allo stesso tempo coro e coprotagonisti. Una volta messi in scena procedono da soli, e io non li abbandono, in modo tale che il lettore riesca ad avere confidenza con tutti”.

Prima ha detto di essersi riconosciuto nella figura di Romagnoli. Ma Alberto Rollo è presente anche in Cantor?
Certamente sì. Cantor incarna il tema della giovinezza e io penso di averne vissuta una fantastica, molto interessante, dunque ho gli elementi per avvertire ciò che, nella giovinezza, è universale al di là delle generazioni: l’ansia del sacrificio. Che a volte significa buttarsi via, a volte dedicarsi ad altro da sé, ma comunque, mazzinianamente, immolarsi. In Cantor c’è una giovinezza romantica, un romanticismo che è una disposizione nei confronti della vita e di un mondo che è piatto e senza sbocchi, come quello politico”.

Un mondo politico di cui lei racconta due aspetti: quello della politica “su strada”, incarnata per esempio da chi si occupa quotidianamente di accoglienza, a cui si contrappone quello dei partiti.
Mi fa orrore il mondo politico attuale. Ho voluto immaginare un rappresentante di quello che chiamo Partito nuovo, che rappresenta il Movimento 5 Stelle e che non è lontano da altre forme di politica attiva che hanno segnato la nostra storia recente, ma in questo caso coincide con una grande dispersione, di forze, di risorse, di idee. E Cantor, attraverso il confronto con il fratello, esponente del Partito nuovo, fa emergere queste contraddizioni. Cantor è curioso, vuole andare a vedere cosa sta succedendo, ma resta deluso”.

Cantor si muove in continuazione, si avvicina a cose e situazioni ma poi si allontana, cerca sempre altro. E a questo si aggiunge quella continua ricerca di un “maestro” che inizia con Romagnoli.
Cantor è alla disperata ricerca non tanto di qualcuno con cui dialogare, quanto di qualcuno che gli indichi una strada. Mi piacerebbe si percepisse questo aspetto, io cerco di raccontarlo in molti incontri ma soprattutto attraverso quello con un sacerdote che è a capo di una organizzazione di formazione e di reclutamento di personale sanitario per l’Africa. La ricerca di un maestro da parte di Cantor è dispersiva e talvolta addirittura autopunitiva. Nel senso che appena intravede una via, si allontana. Deve trovare una strada dove immolarsi e perdersi. Alla fine il perdersi è l’altra faccia del narcisismo: quando non ci specchia si sparisce, si smette di esistere”.

Anche in questo libro ha grande importanza Milano. La città che viene raccontata nel Miglior tempo è diversa rispetto a quella legata alla sua memoria di Un’educazione milanese?
No, non differisce molto, c’è una continuità tra le due Milano. Se Cantor può essere quello che è, è proprio perché vive in questa città complicata, contraddittoria ma generosa. Generosa nel senso di generativa. In una città come Roma, per esempio, Cantor sarebbe inghiottito dai piccoli mondi di cui è composta. Un luogo come Milano è comunque una garanzia di apertura al mondo”.

Un altro tema è quello del camminare: i suoi protagonisti camminano tantissimo e mentre camminano riflettono, creano i loro mondi.
In questo mi somigliano. Per me le distanze sono tutte quelle che riesco a coprire camminando, proprio come esperienza quotidiana. Ci deve sempre essere, nel rapporto esperienziale con le cose che si vedono e che si fanno, una distanza da coprire, possibilmente faticando. Sia il più maturo Romagnoli, sia il giovane Cantor, hanno delle gambe e le usano, perché il camminare è esperienza”.

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