Kate Tempest, esponente della spoken-word poetry, torna nelle librerie italiane con “Hold Your Own / Resta Te Stessa”, una raccolta poetica dal sapore estremamente contemporaneo, ma dalla curiosa ispirazione classica – L’approfondimento

In un panorama confuso e ricco di stimoli come quello contemporaneo, risulta curiosa l’attenzione che un genere antico, definito di nicchia, come la poesia si stia allargando a un pubblico più vasto. Innegabile è, a prescindere dell’effettiva qualità, il fenomeno social dell’insta-poetry, dove il verso libero si sposa a illustrazioni grezze (basti ricordare il successo internazionale di Rupi Kaur), dimostrando come il linguaggio poetico possa subire continue sperimentazioni e ibridazioni, adattandosi ai media e all’evoluzione della parola di ogni epoca.

Kate Tempest Hold your own Resta te stessa

Verrebbe dunque da chiedersi che posto occupi Kate Tempest, poetessa e prima ancora rapper, capace di scalare le classifiche editoriali inglesi e raccogliere consensi al di fuori dei confini nazionali. Con due album all’attivo e diverse raccolte poetiche, i poemi di Tempest non sono oscuri al pubblico italiano: il precedente Let Them Eat Chaos / Che mangino caos (e/o, traduzione di Riccardo Duranti) è stato un piccolo e trasversale caso editoriale.

Sia come rapper, esponente della spoken-word poetry, sia come poetessa, Tempest dimostra che la sua crescente fama ha una conferma: il suo uso straordinario della parola, in musica e su carta. Un talento che si ritrova anche nell’ultima sua uscita per l’Italia. Hold Your Own / Resta Te Stessa (e/o, traduzione di Riccardo Duranti), pubblicato in Inghilterra nel 2014.

Una raccolta poetica dal sapore estremamente contemporaneo, ma dalla curiosa ispirazione classica: il mito di Tiresia, l’indovino che ha saputo sperimentare sia l’identità di uomo sia quella di donna e, secondo una delle tante versioni, punito con la cecità da Era per aver rivelato che, nell’atto sessuale, la donna gode più dell’uomo. La privazione della vista è stata compensata con la facoltà divinatoria.

Il mito è l’anima del libro, un lungo poema quadripartito dove l’autrice dimostra la sua capacità di mescolare l’aulico con il basso, la rabbia con la dolcezza e confermando di possedere uno sguardo lucido, abile nel dissezionare le angosce, la solitudine e gli affetti della nostra epoca. Il mito danza con cenni autobiografici e immagini potenti, costringendo la società (e il lettore) a guardarsi dentro, specchiandosi nella propria intimità e nelle proprie ipocrisie.

Una lettura ritmata come un rap, un tour de force magnetico che sconquassa e, allo stesso tempo, di cristallina bellezza.

 

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